Barrett sistemò le luci infrarosse, affinché ardessero (invisibili) sulla superficie del tavolinetto posto di fronte alla cabina. Dopo averle accese passò una mano sul piano del tavolinetto. Si udì un clic, quando le due macchine fotografiche sincronizzate scattarono. Soddisfatto, Barrett controllò il dinamometro e il globo del telecinetoscopio. Tirò fuori della creta da modellare, e rimescolò la paraffina che si stava sciogliendo in un crogioletto su un piccolo fornello elettrico.
«Adesso siamo pronti» disse poi.
Come se avesse capito quelle parole, il gatto saltò giù dal grembo di Edith e si diresse verso il vestibolo. «Incoraggiante, no?» ella disse.
«Non significa nulla» le disse Barrett. Abbassò al minimo le lucette rosse e gialle. Poi andò a girare la chiavetta dell’interruttore centrale: il salone piombò nell’oscurità. Barrett prese posto al tavolo. Mise in moto il registratore. «22 dicembre 1970» pronunciò, al microfono. «Presenti: dottor Barrett e signora. Benjamin Franklin Fischer. Medium: Miss Florence Tanner.» Recitò in fretta le raccomandazioni di rito, poi disse: «Possiamo procedere».
Florence pronunciò un’invocazione quindi si mise a intonare un inno. Quando il canto finì, si udì il suo respiro agitato. Ben presto, le gambe e le braccia cominciarono a tremarle come per effetto di scosse elettriche. Muoveva la testa in qua e in là. Le guance le si erano arrossate. Lievi gemiti le uscivano dalla gola. «No» mormorava. «No, non adesso.» A poco a poco quei gemiti si fecero più lievi finché, dopo un profondo sospiro, stette zitta.
«Ore 14 e 38. Miss Tanner evidentemente in trance» disse Barrett al microfono. «Pulsazioni: 85. Respirazione: 15. Tutti e quattro i contatti elettrici a posto.» Controllò il termometro. «Nessuna alterazione alla temperatura: 73 virgola 2, Farenheit. Il dinamometro segna 1870.»
Di li a venti secondi parlò di nuovo: «Il dinamometro è sceso e adesso segna 1823. Anche la temperatura si abbassa: 66 gradi virgola 6, adesso. Pulsazioni: 94, e stanno accelerando».
Edith riunì le gambe, le strinse l’una contro l’altra, poiché sentiva quel freddo venir su da sotto la tavola. Fischer sedeva immobile. Anche se lui si teneva al riparo, avvertiva l’arcano potere congregarsi intorno a sé.
Barrett consultò di nuovo il termometro. «La temperatura è scesa di 12 gradi virgola 3. La tensione del dinamometro si è ridotta a 1779. Pressurometro negativo. Contatti elettrici in ordine. Aumenta ritmo respirazione. 50… 57… 60. E continua a salire.»
Edith fissava Florence. Alla fioca luce riusciva a distinguere appena il viso e le mani della medium. Questa pareva reclinare all’indietro sulla sedia, con gli occhi chiusi. Edith inghiottì. Sentiva un vuoto alla bocca dello stomaco, e neanche il tono calmo di voce di Lionel riusciva a mandarlo via.
Diede un balzo, quando udì lo scatto dell’obiettivo delle due macchine fotografiche.
Barrett disse: «Raggi infrarossi interrotti, scattate foto». Guardò lo strumento blu scuro e si fece teso per l’eccitazione.
«Inizio evidenza REM.»
Fischer lo guardò. Cosa significava REM? Certo, qualcosa di molto importante per Barrett.
«Respirazione della medium adesso 210» stava dettando Barrett. «Dinamometro 1460. Temperatura…»
Si interruppe perché Edith aveva gettato una lieve esclamazione. «Ozono presente nell’aria» disse. In abbondanza, pensò.
Passò un minuto, ne passarono due. Il freddo e l’odore aumentavano in modo costante. D’un tratto Edith chiuse gli occhi. Attese, li riaprì, fissò le mani di Florence. Non era frutto della sua immaginazione!
Dai polpastrelli della medium colava una materia viscosa, bianchiccia.
«Si va formando del teleplasma» disse Barrett. «Filamenti separati che si uniscono in un’unica treccia. Tenteremo penetrazione materia.» Attese che quel cordone di teleplasma si fosse alquanto allungato, poi disse rivolto a Florence: «Solleva la campanella». Attese, poi ripeté il comando.
Quel tentacolo viscoso cominciò a muoversi e sollevare il capo come un serpente. Edith, tenendosi salda alla sedia, lo vide scivolare a mezz’aria, penetrare attraverso le maglie della rete, dirigersi sul tavolinetto.
Barrett dettò: «Stelo di teleplasma penetrato reticolo dirige su tavolino. Dinamometro segna 1340 e seguita a scendere ancora. Contatti elettrici in ordine».
La sua voce divenne un ronzio confuso agli orecchi di Fischer che guardava quel tentacolo luminescente, umidiccio, avanzare piano piano sul tavolo come un gigantesco verme. Gli balenò un’immagine alla mente: se stesso, a quattordici anni, in trance, e una bava simile a quella che gli usciva dalla bocca, filamentosa. Rabbrividì: ora quel serpentello si attorcigliava intorno al manico della campanella. Le spire si serrarono, lentamente. D’un tratto, il tentacolo sollevò la campanella. La scosse. I nervi di Fischer si tesero in maniera spasmodica.
«Grazie. Ora rimettila giù, per favore» disse Barrett. Edith lo guardò, stupita che riuscisse a conservare un tono di voce cosi normale. Poi tornò a guardare il tavolino, mentre quella grigia propaggine di materia deponeva la campanella e scioglieva le sue spire dal manico.
«Tenteremo prelievo d’un campione» disse Barrett. Si alzò, andò a posare una ciotola di porcellana sul tavolinetto davanti alla cabina. Al suo avvicinarsi, il tentacolo guizzò, fece come per ritrarsi spaurito. «Lasciane un pezzo dentro la ciotola, per favore» disse Barrett, ritornando al suo posto.
Quella grigia sottile appendice cominciò a ondeggiare qua e là, come una pianta sottomarina cullata dalla corrente. «Lasciane un pezzetto nella ciotola» ripeté Barrett. Osservò il registratore REM: l’ago aveva superato il 300, sul quadrante. Egli ebbe un moto di soddisfazione. Volgendosi di nuovo verso la cabina, ripeté il suo ordine.
Sette volte fu costretto a ripeterlo ancora, prima che il luccicante filamento si desse per inteso. Pian piano si diresse verso la ciotola. Edith lo guardava fisso, con repulsione eppure affascinata. Sembrava un serpentello cieco dalle scaglie grigiastre. Quando ebbe raggiunto la ciotola, strisciò su verso l’orlo di essa. Ma qui si ritrasse di scatto. Edith diede un balzo. Ecco di nuovo il “vermiciattolo” strisciare verso la ciotola, con estrema cautela si direbbe… e d’un tratto di nuovo ritrarsi.
La cosa si ripeté più volte. Alla quinta, il tentacolo si decise a entrare nella ciotola, avvolgendosi in spire, lentamente, languidamente, sul fondo del recipiente. Finché questo non fu colmo. Dopo trenta secondi si ritrasse. Edith sobbalzò: era scomparso alla vista.
Barrett si alzò e andò a prendere la ciotola. Edith osservò il liquido trasparente che v’era contenuto. «Campione raccolto in ciotola» disse Barrett, osservandolo. «Inodoro. Incolore, ma lievemente torbido.»
«Lionel.» Egli sollevò lo sguardo a quel richiamo urgente di sua moglie.
Si stava formando una massa nebulosa intorno al mento e alla bocca di Florence.
«Materia teleplastica va formandosi intorno alla parte inferiore del viso della medium,» dettò Barrett al magnetofono «emessa da bocca e narici.»
Seguitò ancora a dettare, descrivendo il fenomeno di materializzazione e leggendo i vari manometri. Edith fissava quella strana emanazione sul viso della medium: ora sembrava una specie di fazzoletto, dagli orli sfilacciati, tutto spiegazzato e sudicio. La sommità del fazzoletto cominciò a salire, con un movimento ondeggiante. E ricoprì dapprima il naso, poi gli occhi e infine anche la fronte della medium, la cui faccia era interamente coperta adesso da quella formazione di materia, come da un velo tutto grinze, attraverso il quale i tratti della donna si distinguevano appena.
«Velo teleplastico comincia a condensarsi» disse Barrett. È una cosa davvero notevole, pensò. Che una medium mentale producesse una tale quantità di teleplasma, alla sua prima seduta perdipiù, era davvero cosa senza precedenti. Egli osservava il fenomeno con crescente interesse.
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