Forse queste parole potevano aiutare a spiegare l’enigma.
Chiuse il rubinetto, uscì di sotto alla doccia, sulla stuoia. Rabbrividendo per il freddo, afferrò l’asciugatoio e cominciò a strofinarsi, alacremente. Asciugatasi, s’infilò la camicia da notte, dalle maniche lunghe. Si lavò i denti. Poi passò in camera da letto, depose la candela, si coricò sul letto più vicino alla porta del bagno. Agitò le gambe per scaldare un po’ le lenzuola, si allungò, tirò su le coperte fin sotto il mento. Dopo un po’ i brividi di freddo cessarono. Si umettò due dita e allungò una mano per spegnere la candela.
La casa era avvolta da un massiccio silenzio. Chissà cosa starà facendo Ben, ella pensò. Sospirò per lui. Pover’uomo deluso, povero fallito. Ma scacciò questo pensiero. Li rimandò a domani. Ora doveva pensare a sé, al proprio ruolo nell’impresa. Quella voce. A chi sarà appartenuta? Sotto quel tono minaccioso si celava tanta disperazione, un’infinita angoscia.
Florence volse la testa. La porta della camera si era aperta. Ella scrutò le tenebre. La porta si richiuse. Lentamente.
Dei passi si avvicinarono al suo letto.
«Sì?» disse lei.
I passi seguitarono ad avvicinarsi, attutiti dal tappeto. Florence fece per afferrare la candela, ma poi ritrasse la mano, non serviva, non era uno degli altri tre. «Va bene» mormorò.
I passi si arrestarono. Florence tese l’orecchio. Udì un respiro, a piè del letto. «Chi è là?» domandò.
Solo il respiro le rispose. Il suo sguardo frugava le tenebre, ma erano impenetrabili. Chiuse gli occhi. Domandò ancora, e il suo tono era calmo, senz’ombra di spavento: «Chi è là, per favore?».
Quel respiro, e nient’altro.
«Desiderate parlare con me?»
Solo il respiro.
«Siete voi quello che ci ha ingiunto di andarcene via?»
Il respiro si fece più rapido.
«Sì» lei disse. «Allora siete voi.»
Il respiro divenne affannoso. Era quello di un giovane. Le pareva quasi di vederlo, là, in piedi a piè del letto, con la faccia tesa, un’espressione di tormento.
«Dovete parlare, o inviarmi qualche segno» ella disse. E attese. Non vi fu risposta. «Io v’aspetto in nome d’Iddio. Lasciate che v’aiuti a trovare quella pace di cui, lo so, siete sitibondo.»
Vi fu un singhiozzo? Ella si fece tesa. «Sì, ho sentito, capisco. Ditemi chi siete, e come posso aiutarvi.»
D’un tratto la camera divenne silenziosa. Florence portò una mano a coppa dietro un orecchio e attese, ascoltando attentamente.
Il respiro non si udiva più.
Con un sospiro di delusione, allungò una mano e cercò tentoni la scatola di fiammiferi sul cassettone. Ne stropicciò uno, accese la candela. Si guardò intorno. C’era ancora qualcosa nella stanza.
«Devo spegnere la candela?» domandò.
Silenzio.
«Molto bene.» Sorrise. «Lo sapete dove sono. Quando volete…»
S’interruppe. Trattenne il fiato. Il copriletto si sollevò volò in aria, ricadde, assestandosi con un fruscio.
C’era una figura là sotto.
Florence riprese fiato. «Sì, adesso vi vedo» disse. Valutò la statura di quell’essere. «Quanto siete alto?» Rabbrividì, ricordando le parole di Fischer. « Lo chiamavano il Gigante Ruggente. » Guardò fisso la figura celata sotto il copriletto. Vide come si sollevava l’ampio torace, per effetto della respirazione.
«No» disse d’un tratto. Non era Belasco. Si sollevò a sedere, sempre guardando fisso quella figura. Scivolò con le gambe oltre la sponda del letto, si tirò su in piedi. Le testa si girò sotto la coltre, come se la figura si voltasse per guardarla avvicinarsi. «Non siete Belasco, voi, nevvero? Belasco non proverebbe la pena che provate voi. Io lo sento, quanto siete angosciato. Ditemi chi…»
Il copriletto d’un tratto ricadde, si afflosciò. Florence stette un po’ a fissarlo, immota, poi si chinò per raccoglierlo.
Diede uno scarto, trattenendo a stento un grido: una mano le aveva accarezzato le natiche. Arrabbiata, girò lo sguardo intorno a sé. Ci fu una specie di chioccolio: sommesso, ironico. Florence disse, con voce un po’ tremula: «Perlomeno m’avete dimostrato a quale sesso appartenete». Il chioccolio si ripeté, più distinto. Florence scosse la testa, con commiserazione. «Ma se siete tanto bravo, come mai siete prigioniero di questa casa?»
Il chioccolio cessò. Tutte e tre le coperte volarono via dal letto, come se qualcuno le avesse tirate rabbiosamente. Poi volarono le lenzuola, quindi i cuscini. In capo a sette secondi tutte le coltri giacevano ammucchiate qua e là sul tappeto, e i materassi penzolavano dal letto.
Florence attese. Non accadde altro. Allora disse: «Vi sentite meglio adesso?».
Sorridendo fra sé, cominciò a rassettare il letto. Qualcosa tentò di strapparle una coperta di mano. Ella diede uno strattone. «Ora basta però. Non è mica divertente!» Si rimise all’opera. «Andate via, adesso, e tornate quando siete disposto a comportarvi come si deve.»
Mentre rifaceva il letto, udì aprirsi la porta. Non si volse neanche a guardarla richiudersi.
ore 7.01
«Temo di no.» Barrett tirò fuori il piede dall’acqua. «Forse per domattina sarà calda abbastanza, però.» Si asciugò il piede e si rimise la pantofola. Alzandosi in piedi, guardò Edith con un sorriso rammaricato. «Avrei potuto lasciarti dormire ancora.»
«Non fa niente.»
Barrett si guardò intorno. «Chissà se funziona il bagno turco, di là.»
Edith spinse un battente della pesante porta di metallo e lo tenne dischiuso per lui. Barrett entrò, zoppicando, e si volse. Sua moglie lo seguì. La porta si richiuse con un tonfo. Barrett sollevò la candela e scrutò all’ingiro. Si sporse in avanti, strizzando gli occhi.
«Ah.» Posati il bastone e il candeliere, puntò un ginocchio in terra e si provò ad aprire il rubinetto della presa d’acqua.
Edith sedette dirimpetto a lui, sulla panca a muro, appoggiando le spalle contro le piastrelle della parete. Le sentì fredde attraverso la vestaglia, e si raddrizzò sulla schiena. Guardava Lionel, un po’ assonnata. Le fiammelle delle candele vacillavano appena, proiettando inquiete ombre contro le pareti, che parevano palpitare. Chiuse gli occhi un momento, li riaprì. Guardò l’ombra sul soffitto sovrastante Lionel. Le parve che si allargasse. Come poteva essere? L’aria era immota in quella stanza. Adesso le fiammelle delle candele ardevano diritte. Era Barrett, ma sì, che si muoveva, trafficando con la manopola del rubinetto.
Ella batté gli occhi, scosse la testa. Eppure, avrebbe giurato che gli orli di quell’ombra si allargavano come una macchia d’inchiostro che si spande. La stanza era silenziosa, tranne per il respiro di Lionel. Andiamo via, ella pensò. Tentò di pronunciare quelle parole a voce alta, ma qualcosa gliel’impedì.
Guardava l’ombra. Poco fa, non arrivava mica fino allo spigolo. Usciamo di qui, pensò. Non sarà niente, ma usciamo.
Sentì il suo corpo irrigidirsi. Era sicura di aver visto un lembo di parete illuminata offuscarsi. «Lionel…» chiamò, con voce appena udibile. Un flebile bisbiglio nella gola. Inghiottì saliva. «Lionel.»
Il richiamo suonò così improvviso che Barrett sobbalzò, e trattenne il fiato. «Che c’è?»
Edith batté le palpebre. Ora l’ombra sul soffitto pareva di nuovo normale.
«Edith!»
Ella respirò profondamente. «Vogliamo andare?»
«Nervosa?»
«Sì, io… vedo certe cose.» Ebbe un pallido sorriso. Non glielo voleva dire. Eppure, doveva dirglielo. Forse significava qualcosa, e lui doveva esser messo al corrente. «M’è parso di vedere la tua ombra diventare più grande.» Lui si tirò in piedi, raccolse il bastone e il candeliere. Andò verso di lei. «È possibile,» disse «ma dato che hai passato la notte quasi insonne, sono più incline a credere che si tratti di uno scherzo della tua immaginazione.»
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