«Belasco si drogava?» domandò Barrett.
«Dapprincipio sì. In seguito, smise di partecipare a ogni stravizio dei suoi ospiti. Aveva in mente di compiere uno studio sul male, e non avrebbe potuto farlo, ragionò, se avesse preso parte attiva alle sregolatezze. Sicché comincò ad appartarsi, e concentrava tutte le sue energie per corrompere gli altri, in grandi quantità.»
Fece una pausa e poi seguitò: «Nel 1926, Belasco concepì un disegno più grandioso. Intensificò i suoi sforzi per persuadere i propri ospiti a concepire e tradurre in atto ogni sorta di giochi crudeli e perversi, ogni sorta di nefandezze e orrori. Organizzava concorsi, a chi avesse le idee più efferate. Si disputavano gare. C’erano feste speciali, come il Giorno delle Sozzure, in cui per ventiquattr’ore filate si dava via libera a ogni sorta di depravazione. Ci fu pensino una messinscena delle Centoventi giornate di Sodoma del Marchese de Sade. Belasco faceva venire qui, da ogni parte del mondo, dei mostri di natura e li mescolava coi suoi ospiti: nani, gobbi, ermafroditi, ogni sorta di essere deformi» .
Florence chiuse gli occhi e chinò il capo, stringendosi la fronte fra le mani.
«A questo punto,» seguitò Fischer «tutto cominciava ad andare a catafascio. Non c’era servitù per la manutenzione della casa: non si distinguevano più, ormai, i servitori dai frequentatori. Non funzionava un servizio di lavanderia, ognuno doveva lavarsi da sé la sua roba: e non tutti erano disposti a farlo. Non c’erano cuochi, e bisognava arrangiarsi con quel che si trovava: e si trovava sempre meno roba, dato che nessuno provvedeva alle compere, in mancanza di persone di servizio. Poi, nel 1927, un’epidemia di influenza colpi questa casa. Prestando fede a quel che gli dissero alcuni medici, annoverati fra i suoi ospiti, che la nebbia di questa vallata era nociva alla salute, Belasco fece murare le finestre. A questo punto, il generatore di corrente principale, privo di adeguata manutenzione, cominciò a funzionare irregolarmente, e bisognava stare per lo più a lume di candela. Nell’inverno del 1928 si ruppe la caldaia e nessuno si preoccupò di farla aggiustare. La casa divenne fredda come una ghiacciaia. La polmonite uccise tredici ospiti. Ma nessuno degli altri ci fece caso. Ormai erano arrivati al punto che si preoccupavano solo di ricevere la loro “dose quotidiana di débauche”, come si esprimeva Belasco. Cosi si era giunti al fondo: omicidio, necrofilia, cannibalismo e tortura qui regnavano sovrani.»
I tre ascoltavano in silenzio, immobili. Florence a testa bassa, Barrett e sua moglie guardando fisso innanzi a sé. E Fischer seguitava a raccontare, in apparenza calmo, imperturbabile come se facesse un resoconto di cose ordinarie.
«Nel giugno del 1929, Belasco diede nel suo teatro una versione moderna del circo di Roma imperiale: il punto culminante dello spettacolo fu quando una vergine venne divorata da un leopardo tenuto digiuno per giorni. Nel luglio seguente, un gruppo di medici drogati cominciarono a condurre esperimenti su animali e su uomini, per studiare fino a che punto giungesse la sopportazione del dolore fisico, per eseguire trapianti di organi, per creare ibridi mostruosi.»
Dopo una pausa Fischer seguitò: «A questo punto tutti, tranne Belasco, erano scesi al livello delle bestie. Non si lavavano più, indossavano abiti a brandelli, mangiavano quel che capitava, si uccidevano a vicenda per un sorso di liquore, per un po’ di cibo, o soltanto per il gusto del sangue umano, che avevano cominciato a bere come vampiri, e così pure avevano cominciato ad apprezzare il sapore della carne umana, come cannibali. E fra questi selvaggi, questi ruderi, si aggirava ogni giorno Belasco, freddo, impassibile, distaccato. Belasco, novello Satana, si aggirava fra le rovine da lui stesso provocate. Era sempre vestito di nero. Gigantesca figura terrificante, re dell’inferno che aveva creato.»
«E com’è finita?» domandò Barrett.
«Se fosse finita, saremmo forse qui?»
« Ma adesso finirà » esclamò Florence.
Barrett insisté: «Che fine ha fatto Belasco?».
«Nessuno lo sa» disse Fischer. «Quando, nel novembre del 1929, fu eseguito un sopralluogo, in seguito a una denuncia da parte dei parenti di qualcuno degli ospiti, qui dentro non furono trovati che ventisette cadaveri. Ma Belasco non era in mezzo a loro.»
ore 20.46
Florence attraversò il salone e si appressò alla tavola rotonda. Per dieci minuti era rimasta seduta in un cantuccio, «per prepararsi» aveva detto. E adesso era pronta. «Quanto lo si può essere in un clima come questo. L’umidità eccessiva costituisce sempre un handicap.» Sorrise. «Vogliamo prendere posto?»
I quattro sedettero intorno alla grande tavola rotonda. Fischer dirimpetto a Florence. Barrett a una certa distanza da lei, ed Edith accanto a suo marito.
«Mi sono accorta,» disse Florence «che in questa casa il male è tanto concentrato che costituisce un costante richiamo per gli spiriti maligni. In altre parole, credo che questa casa funzioni come una gigantesca calamità per le anime degradate. Questo potrebbe spiegare la complessità di tanti fenomeni.»
Cosa si può rispondere a una affermazione del genere? pensò Barrett. Gettò uno sguardo a Edith e si sforzò di reprimere un sorrisetto, vedendo l’espressione con cui sua moglie fissava Florence. Poi disse: «Non danno noia, questi apparecchi?» .
«No, affatto. Anzi non sarà male mettere in azione il registratore, quando Nuvola Rossa comincerà a parlare. Potrebbe dire qualcosa di interessante.»
Barrett annuì, senza entusiasmo.
«Funziona anche a batteria, vero?»
Di nuovo Barrett annuì.
«Bene.» Florence sorrise. «Gli altri apparecchi, naturalmente, a me non servono.» Guardò Edith. «Suo marito le avrà spiegato, suppongo, che io non sono una medium fisica. Io entro in contatto mentale soltanto, con gli spiriti. Io ammetto la loro esistenza soltanto sotto forma di pensiero.» Si guardò intorno. «Vogliamo spegnere le candele adesso?»
Edith si fece tesa. Lionel si umettò due polpastrelli e strizzò fra loro lo stoppino della sua candela. Fischer spense la sua con un soffio. Solo la sua restava accesa: una piccola fiammella tremolante con il suo alone di chiarore nella vastità del buio: il fuoco al caminetto era spento da oltre un’ora. Edith non riusciva a spegnerla. La spense per lei suo marito.
L’oscurità le piombò addosso, così le parve, come un’onda di marea, togliendole il fiato. Cercò tentoni la mano di Lionel. Si ricordò di quella volta che aveva visitato le Grotte di Carlsbad. In una delle caverne, la guida aveva spento le luci, e l’oscurità era stata così intensa che lei ne aveva avvertito materialmente il peso premere contro le sue palpebre.
«Oh Spirito dell’Amore e della Tenerezza,» cominciò Florence. «noi siamo qui raccolti questa sera per giungere a una migliore comprensione delle leggi che governano la nostra esistenza.»
Barrett sentì quant’era fredda la mano di sua moglie. Lo sapeva cosa stesse provando in quel momento. Anche lui aveva provato le stesse cose, decine di volte, ai primi tempi. È vero ch’essa aveva già preso parte a sedute spiritiche, con lui, ma mai però in un luogo così terrificante.
«Dacci, o Divino Maestro, il modo di comunicare con quelli dell’aldilà, in particolare con quanti si agitano senza requie in questa casa di tormenti.»
Il respiro di Fischer era irregolare. Ricordava la sua prima seduta, nel 1940, in quella stessa sala, a quello stesso tavolo. Degli oggetti erano stati scagliati. Il dottor Graham era stato tramortito da uno di essi. Una nebbiolina verde traslucida aveva riempito l’aria. Fischer si sentiva la gola arida. Non dovrei essere qui, pensò, non dovrei trovarmi qui adesso.
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