Se dapprima era come una nebbiolina, poi la nuvola assunse l’aspetto di latte rappreso: in meno di mezzo minuto, il viso di Florence scomparve. Quindi tutta la sua testa scomparve dietro la nube opaca, poi scomparvero le sue spalle. Si poteva pensare a un grigio sudario che la coprisse a mano a mano. Ora stava scendendo verso il suo grembo, tessuto compatto, grigiastro, largo qualche centimetro. Man mano che scendeva cominciava a colorarsi.
Barrett dettava: «Tessuto va espandendosi verso il basso. Colore rossastro prevale su grigio. Come se la materia si infiammasse. Si fa più vivida… più distinta. Ecco, adesso ha assunto il colore della carne viva».
Fischer si sentiva intorpidito. Gli parve che la sua sedia si inclinasse all’indietro. Osservava quella materia alterarsi, cangiare colore, tutt’intorno a Florence. D’un tratto fu preso dal panico. Stava andando sotto! Conficcò le unghie nel palmo delle mani, finché il dolore fisico prevalse su tutto il resto.
Il sudario che avvolgeva Florence si andava facendo più albuminoso, adesso, e via via assumeva il colore d’un panno di lino. Divenne quasi bianco, ma qua era trasparente e là invece opaco. Apparvero altre strisce dello stesso materiale su altri punti del suo corpo: sulla gamba sinistra, su un braccio, sulla mammella destra, al centro dell’addome. Era come se un lenzuolo sudicio fosse stato immerso in un qualche liquido iridescente, poi fosse stato fatto a brandelli, e i brandelli fossero stati gettati addosso a lei alla rinfusa, il pezzo più grosso sulla testa e le spalle.
Edith spinse forte la schiena contro la sua sedia, ma senza accorgersi di compiere questo movimento. Aveva già assistito a fenomeni fisici, in precedenza, ma mai a nulla di simile. La sua faccia era come una maschera. Guardava i brandelli di materiale teleplastico che, adesso, cominciavano a riunirsi. Pezzo per pezzo, si saldavano a formare una figura. Di nuovo il colore era biancastro. Poi apparve un braccio, dalla spalla al polso.
«Qualcosa prende forma» annotò Barrett.
Di lì a ventisette secondi, una bianca figura completa apparve di fronte alla cabina, ritta in piedi, con indosso una tunica, senza sesso, con le mani simili a rudimentali artigli. Si distingueva una bocca, due buchi neri per le narici, e aveva due occhi che sembravano fissarli. Il respiro di Edith si fece rasposo. «Calma» disse Barrett. «Si è formato una figura teleplastica. Imperfetta…»
S’interruppe, poiché la figura aveva emesso un chioccolio.
Edith si lasciò sfuggire un’esclamazione di spavento.
« Calma » le disse Barrett.
La figura rise: una risata profonda e risonante, come un rullo di tamburo. Edith sentì qualcosa formicolarle alla radice dei capelli. La figura stava girandosi dalla sua parte. Anzi le parve che si facesse più vicina a lei. Un gemito di paura le riempì la gola.
« Non fiatare » le bisbigliò Barrett.
D’un tratto la figura allungò una mano verso di lei, ed Edith urlò, coprendosi la faccia con le mani. Con un rumore che sembrò quello di un enorme elastico che si spezza, la figura svanì.
Florence gettò un grido rauco, che fece fare un altro soprassalto a Edith.
Fischer balzò in piedi.
«Fermo!» gli ordinò Barrett.
Fischer ristette, rigido, presso la tavola. Barrett sollevò la rete e diresse il raggio rosso della sua torcia tascabile sulla faccia di Florence. Subito la spense. Controllò i suoi strumenti. «Miss Tanner sta prematuramente uscendo di trance» disse. «Un intoppo imprevisto ha determinato un trauma nervoso in lei.»
Barrett si rivolse a Fischer. «L’aiuti, adesso» gli disse.
ore 16.23
Edith si svegliò di soprassalto. Guardò l’orologio e vide che aveva dormito più di un’ora.
Lionel stava seduto al tavolo ottagonale, guardava nel microscopio e prendeva degli appunti. Edith scese dal letto e cercò tentoni col piede le sue scarpe. Mosse qualche passo sul tappeto. Barrett la guardò, le sorrise. «Ti senti meglio?»
Ella annuì. «Ti chiedo scusa per il guaio che ho combinato urlando in quel modo.»
«Nessun problema.»
Edith fece una faccia afflitta. «La colpa è stata mia.»
«Non darti pensiero. Si riprenderà dallo shock. Sono ricuro che non è questa la cosa peggiore che le sia mai capitata nel corso di una seduta.» Barrett la guardò un momento, poi chiese: «Cos’è che ti aveva sconvolta, prima che cominciassimo? L’ispezione sul corpo della medium?» .
Edith si rese conto che il suo tono era reticente, quando gli rispose: «Sì… sì… mi sono un po’ sentita in imbarazzo».
«Eppure l’avevi fatto altre volte.»
«Lo so.» Si sentì divenir tesa. «Ma stavolta mi ha messo in imbarazzo.»
«Avresti dovuto dirmelo. Avrei provveduto io stesso.»
«Meno male che non l’hai fatto.» Riuscì a sorridere. «A paragone di quella lì, io sembro un ragazzo.»
Barrett fece spallucce. «Come se ciò contasse.»
«Comunque ria, mi spiace di aver rovinato la seduta.» Edith si rese conto di aver cambiato argomento.
«Non hai sciupato un bel niente. Non potrei essere più soddisfatto invece.»
«Che cosa stai facendo?»
Egli indicò il microscopio con un gesto. «Sto dando un’occhiata.»
Edith guardò dentro l’apparecchio. Sul vetrino, vide delle piccole masse informi e dei corpuscoli ovali e poligonali. «Che roba è questa?» domandò.
«Un campione di teleplasma, preparato con acqua. Quelli che vedi sono degli agglomerati di corpi lamelliformi, eziolati, coesivi, nonché varie lamine di diverse forme, che sembrano epitelii senza nuclei.»
Edith lo guardò con aria di rimprovero. «Pensi davvero che abbia capito quello che m’hai spiegato?»
Barrett sorrise. «Un piccolo sfoggio di scienza. Insomma, voglio dire che il campione consiste di detriti cellulari, cellule epiteliali, veli, lamelle, patine, isolate molecole di grasso, muco, e così via.»
«Il che significa?…»
«Il che significa che quel che gli spiritualisti chiamano ectoplasma deriva, quasi interamente, dal corpo del medium, e il resto consiste di ingredienti assorbiti dall’aria o dal costume del medium: fibre vegetali, spore batteriche, grani d’amido, briciole di cibo, particelle di polvere, eccetera. Il grosso, tuttavia, è materia organica, materia vivente. Pensaci un po’, mia cara. Una manifestazione organica del pensiero. La mente ridotta a stato di materia, e quindi atta a venir osservata, misurata, analizzata.» Scosse il capo, pieno di stupore. «Al confronto, il concetto di fantasma appare molto prosaico.»
«Tu vuoi dire che Miss Tanner aveva creato quella figura con il proprio corpo.»
«In sostanza, sì.»
«Ma perché ?»
«Per dimostrare qualcosa. Quella figura là doveva rappresentare, non c’è dubbio, il figlio di Belasco. Un figlio che, però, non è mai esistito.»
ore 16.46
Il gatto giaceva accanto a lei, caldo, indolente. Emetteva un beato ron-ron mentre lei l’accarezzava sulla schiena.
L’aveva trovato davanti alla porta della sua camera, tutto spaurito, e, nonostante che fosse molto abbattuta, l’aveva preso su e portato dentro. L’aveva fatto accoccolare nel suo grembo, finché non aveva smesso di tremare, poi l’aveva deposto sul letto e lei era andata a fare una doccia calda. Ora giaceva sul letto in vestaglia.
«Povero micetto» mormorò. «In che razza di posto t’hanno portato.» Gli passò un dito sotto la gola, e il gattino levò la testa, con un languido movimento, a occhi chiusi. Barrett aveva detto che del micio lui aveva bisogno, per ulteriori verifiche intorno alle “presenze” nella casa. A lei sembrava una crudeltà, però, servirsi di quella bestiola per qualche secondaria controprova scientifica. Forse era meglio affidarlo a quei due che venivano a portare i loro pasti. Avrebbe chiesto a Barrett di avvertirla, non appena il gatto avesse esaurito il suo compito.
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