Suo padre era stato crudele con lui quando gli aveva rivelato queste sensazioni in seguito, dopo la morte di sua madre. Lo aveva picchiato per averla predetta incolpandolo di averla causata. Lo aveva picchiato così tanto da rompergli il naso e tre costole e lo aveva costretto poi a confermare con i medici che lo avevano curato la versione di essersi ferito cadendo dalle scale.
Ma peggio ancora, nei giorni che erano seguiti lui aveva cominciato a credere alla versione del padre. Aveva creduto veramente di aver provocato la morte della madre. La colpa annullava quasi il dolore delle ossa rotte e quando la febbre, che nasceva più dal rimorso che dalle lesioni, era passata, lui aveva ormai eretto un muro incrollabile attorno alle sue capacità sensitive, chiudendovi dentro anche il senso di colpa che ad esse si accompagnavano.
L’assassinio dei bambini tre anni prima aveva in qualche modo forzato un’apertura in questa barriera, aveva scatenato nuovamente i procedimenti precognitivi.
E ora il nuovo mostro aveva abbattuto definitivamente l’argine allagando la sua mente di sensazioni. Il suo subconscio era tornato indietro a riconsiderare la sua misera infanzia. E il bimbo che era stato, aveva allora visto il suo se stesso futuro in quegli occhi che lo guardavano dal soffitto.
Queste risposte ovviamente comportavano altri misteri, ma questi appartenevano alla sfera psicologica, segreti che riguardavano la psiche dell’uomo, i segreti della mente.
Questi pensieri gli si affollavano dentro mentre attendeva in alto sulla diga. Facevano sorgere in lui un’esaltazione spossante, come se si trovasse sull’orlo di una nuova esperienza sensoriale. Osservò la luna e vide che era straordinariamente luminosa, potente e glaciale, dominava il cielo notturno con una vitalità liquida. Il corpo di Childes vibrò di tensione.
Sentì di non essere più solo.
Si guardò alle spalle, da dove era arrivato.
Nulla si muoveva.
Guardò davanti a sé dall’altro lato della diga dove c’erano altri gruppi di alberi, altre ombre scure tra i cespugli, un altro sentiero che si diramava dalla stradina.
Lì, qualcosa si muoveva.
* * *
Lo aveva atteso nel buio rifugio e sorrideva, un ghigno satanico. Così finalmente era arrivato!
Era un bene poiché si avvicinava il loro momento. Ora, sotto la luna piena. Molto appropriato.
Uscì da sotto gli alberi e avanzò verso la diga.
* * *
Se la paura aveva dei confini Childes pensava di averne raggiunto il limite. Dovette appoggiarsi al parapetto per sostenersi, Te gambe improvvisamente deboli. Lo stomaco gli sembrava pieno di piume agitate, il torace rigido faticava a respirare. Persino le braccia gli sembrarono inerti e pesanti, come senza muscoli.
Era sulla diga, una figura nera e goffa illuminata dalla luna che avanzava verso di lui, il corpo basso e tarchiato dondolava leggermente ad ogni passo, arrancando in modo sgraziato, senza alcuna fluidità.
Mentre la figura avanzava lui sentiva la risata malvagia nella sua mente. Una risata rapace che lo raggelò, lo catturò.
Childes strinse più forte il parapetto. Oh Dio, è dentro la mia mente, più forte che mai!
Riuscì ben presto a scorgere il profilo del corpo grossolano. Le spalle larghe ma cadenti, coperte da una massa di capelli ricci e spessi. Il naso e il mento. Le superfici della fronte e delle guance. E il taglio largo e scuro della bocca sogghignante.
Si avvicinò di più, oltrepassò la torretta, il corpo scomparve per un attimo dietro al muretto. Poi riapparve, prima la testa poi le spalle, mentre saliva i gradini. Aveva ancora gli occhi in ombra, pozzi bui che contenevano una minaccia scura e insondabile come l’acqua del lago.
Il corpo sembrava sorgere da una tomba, una testa grossa, con i capelli disordinati, gli occhi nascosti, il ghigno sempre più vicino, la mente protesa, verso di lui. E c’era un’altra cosa che lo disturbava di questo corpo che si trascinava più che camminare, qualcosa che diventava sempre più evidente mentre avanzava, fin quando non si fermò a poco più di tre metri da lui.
Fu solo allora, quando alla fine poté guardare quel volto ora illuminato dalla luna, e vide le fessure degli occhi, piccoli e neri, che capì; quando parlò la voce non rivelava nulla del suo sesso, tanto era bassa e gracchiante.
«Mi sono… molto… divertita» disse, scandendo le parole. Il gorgoglio della risata era orribile quanto la voce e lo colpì come una mazzata. Si aggrappò ancora di più al parapetto.
La donna si avvicinò di un altro metro e lui notò che le sue caviglie sotto una gonnellona larga erano gonfie e fuoriuscivano dagli scarponi allacciati come se la carne si stesse sciogliendo. Una giacca a vento enorme e laida le ricopriva la parte superiore del corpo.
Childes si costrinse a stare diritto. Nella testa gli ronzavano pensieri confusi, la nausea gli otturava la gola. Sentiva l’odore di questa donna, sentiva il puzzo della sua follia! Deglutì, cercando disperatamente di ritrovare le forze.
L’unica domanda che gli venne in mente fu: «Perché?»
La parola fu solo un rantolo, ma lei capì. Sentì, vide, che cambiava atteggiamento, non più divertita.
«Per Lei !», rispose con quella voce afona e allungò il collo per rivolgersi verso la luna. «Per la Mia Signora!»
Aprì la bocca e lui vide i denti storti e anneriti. Sembrò bere la luce della luna e quando voltò di nuovo la testa per un attimo sembrò che la luce bianca che si rifletteva nei suoi occhi piccoli e crudeli provenisse dal suo interno, la luna era dentro di lei e gli occhi non erano che finestrelle attraverso cui filtrava la luce. L’illusione durò poco, ma l’immagine si fissò nella mente di Childes.
«Dimmi… dimmi, chi sei?» chiese Childes balbettando, dubitando della propria sanità di mente.
La donna grossolana lo guardò a lungo prima di rispondergli ancora. I suoi occhi ora erano spenti ma aveva uno sguardo più cupo, più maligno. «Non lo sai?» gli chiese sempre scandendo le parole. «Non hai imparato niente di me? Io ho saputo tante cose di te, bello mio.»
Lui si staccò dal parapetto. «Non capisco» riuscì a dire, cercando di mantenere ferma la voce, e tentando di far smettere il tremolio delle gambe. È solo una donna, si disse, non è un mostro, è solo una donna. Ma era una donna pazza, gli disse una vocina stridula nella testa. Una pazza eccezionalmente forte, disse ancora. E sa che tu sei terribilmente spaventato, bello mio!
«Ti ho rubato la bambina». La donna ridacchiò. Aveva cambiato di nuovo umore, anche Childes ne subiva l’influenza, come se i loro sentimenti fossero collegati.
«Non la tua bambina…» disse maliziosa, «… per sfortuna. L’altra bambinella. Come si dimenava la piccola, quanto lottava!»
Un inizio di rabbia gli fiammeggiò dentro, una fiammella persa nel buio della paura. La fiamma si dilatò disperdendo una parte delle tenebre.
«Tu … hai ammazzato Annabel» disse secco.
«Anche le altre». La sua voce era un ruggito cupo, un ruggito quasi divertito. «Non ti dimenticare le altre. Anche quelle ragazze erano per la Mia Signora.»
La brezza che soffiava sulla diga si era fatta più fredda, più intensa, e portava con sé l’odore salmastro del mare.
«Le hai assassinate.»
«Il fuoco le ha assassinate, bello mio. E anche la donna che ha cercato di fermarmi. Il fuoco ha ammazzato anche quei ritardati nel manicomio. Oh, come mi sono divertita in quel posto lì.» Sporse in avanti la testa con fare confidenziale, gli occhi di nuovo in ombra. «Sì, come mi sono divertita!» ripeté sottovoce. «Il mio manicomio. Nessuno credeva a quegli imbecilli, alle loro storie pietose. Chi avrebbe mai creduto a quello che facevo loro quando li beccavo da soli? Chi può credere a dei pazzi? Era così divertente, così piacevole! Che peccato che sia tutto finito, ma tu ti stavi avvicinando, non è vero, bello mio? E tu mi avresti denunciata, vero? Hai fatto infuriare la Mia Signora.»
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