Si asciugò il viso e le mani, poi tornò nel soggiorno. Di nuovo sprofondò nel divano, resistendo alla tentazione di versarsi un bel bicchiere di whisky. Doveva mantenersi lucido, non poteva rischiare di intorpidire i sensi bevendo. La pietra sembrava più luminosa, la fiammella azzurra era quasi scomparsa.
Di nuovo quel dolore nella testa, piccole staffilate ripetute stavolta. Ma lui sopportò. Solo il desiderio urgente di parlare con Amy aveva interrotto quel lungo esercizio della mente e prima ancora il bisogno di sentire la voce di Gabby. Ora non ci sarebbero state altre interruzioni. Amy e Gabby erano al sicuro, lontane dal pericolo. Poteva concentrarsi liberamente. Ma era doloroso, incredibilmente doloroso. Chiuse gli occhi. E continuava a vedere la pietra.
Li riaprì quando gli parve di sentir bisbigliare. Si guardò attorno. Il bisbigliare cessò. Era solo nella stanza. Richiuse gli occhi.
E di nuovo sentì il sommesso bisbigliare.
Permise alla sua mente di inseguire quei suoni, di assorbirli ed esserne assorbita, e tutto avvenne velocemente. (La ricerca era stata lentissima, ore e ore di sondaggi, di esplorazioni). Fu come una valanga di neve in alta montagna, una massa bianca, soffice e cedevole, che precipitava quasi senza scosse, sprofondando in se stessa.
Bisbigli.
Voci.
Alcune le riconobbe. Erano delle ragazze del La Roche, quelle che si erano fuse in un’unica massa ardente quando erano precipitate nel vortice di fiamme. Incenerite, cremate in un unico cumulo di polvere.
Altre.
Una vocina stridula come quella di Gabby, ma non era la sua.
Altre ancora. Impazzite anche da morte. Quasi ne sentiva la presenza.
Voci che lo mettevano in guardia. Altre che gli davano il benvenuto.
La testa gli girava. Ora la pietra era diventata la luna, una luna palpitante e che si espandeva, incombeva… minacciava…
… Raggiunse, stavolta in modo completo, la mente malata e maligna dell’altro…
* * *
Se l’agente Donnelly non avesse considerato sacra ogni forma di vita persino quella dei conigli che si bloccavano in mezzo alla strada paralizzati dai fari delle macchine, probabilmente non avrebbe perso le tracce della macchina che aveva l’ordine di pedinare.
Sta di fatto che aveva visto Childes uscire dal cottage, ben visibile illuminato com’era dalla luna, salire in macchina e allontanarsi lungo il viale. Dopo averne dato comunicazione alla centrale il poliziotto si era messo in moto, rimanendo a una distanza discreta ma sufficiente.
Il coniglio (ma forse era una lepre? Dicono che le lepri hanno una morbosa soggezione della luna e corrono all’impazzata le notti in cui brilla) era apparso a una curva e Donnelly aveva frenato appena in tempo, sterzando verso sinistra, fermandosi sul ciglio con il muso dell’auto nella siepe.
Il coniglio (o la lepre, come si faceva a riconoscerli?) era rimasto lì, accucciato in mezzo alla strada, tremante di terrore, gli occhioni neri e lucidi che fissavano tremebondi il buio. Il poliziotto era dovuto scendere per scacciare quella stupida bestiola. Quando l’agente Donnelly aveva ripreso l’inseguimento i fanalini di coda della Renault erano scomparsi.
Pareva che la macchina e il suo autista fossero svaniti nel nulla, ingoiati dal paesaggio imbiancato dal chiaro di luna.
* * *
Prima fu lo scampanellio alla porta a scuoterla dal sonno, poi il suono delle voci la risvegliò del tutto. Una era sicuramente quella del padre, ed era arrabbiato. Tirò via il lenzuolo, con un leggero sforzo si mise in piedi, si avvicinò alla porta della stanza zoppicando un poco e socchiuse la porta quanto bastava per sentire.
Le voci le giungevano comunque soffocate, ma il padre evidentemente stava reclamando per l’ora tarda a cui avveniva la visita. Le sembrò di riconoscere anche le altre due voci. Amy si unì alla madre che si trovava accanto alle scale e guardava l’atrio in basso dove i tre uomini stavano discutendo. Uno era appunto Paul Sebire, ancora vestito perché stava lavorando nello studio. Gli altri due erano l’ispettore Robillard e Overpy. Amy si domandò come mai Overoy fosse di nuovo sull’isola. Rimase accanto alla madre e ascoltò.
«È assolutamente ridicolo Robillard,» stava dicendo Sebire, «perché mai dovrei sapere dov’è? In tutta franchezza, se anche non lo vedessi mai più non mi dispiacerebbe affatto.»
Fu Overoy a rispondergli. «Voglio sapere se la signorina Sebire ha parlato con lui oggi.»
«Può darsi che mia figlia e lui si siano sentiti in questi giorni, ma Aimée non ha idea di dove possa essere a quest’ora di notte.»
Amy e la madre si scambiarono uno sguardo d’intesa. «Vai a prendere la vestaglia e vieni giù» disse Vivienne alla figlia, e si diresse verso le scale. «Ispettore!» lo chiamò scendendo. «Amy ha ricevuto una telefonata da Jonathan stasera.»
Paul Sebire guardò la moglie prima sorpreso quindi infastidito.
«Ah!» fece Overoy, e attese che fosse scesa. «Potremmo scambiare qualche parola con la signorina? È una cosa molto urgente.»
«State a sentire!» esclamò Sebire. «Mia figlia sta dormendo e non deve essere disturbata. Non si è ancora rimessa dall’incidente.»
«Non c’è nessun problema, sono qui.»
Sebire si voltò di scatto e vide la figlia sulle scale. Amy non lo guardò nemmeno; non gli aveva quasi più rivolto la parola da quando aveva saputo che aveva aggredito Jon all’ospedale.
Overoy guardò con dispiacere la benda sull’occhio di Amy e il suo braccio ingessato. Camminava rigida e zoppicava. I segni delle ferite deturpavano un poco il volto levigato e abbronzato che ricordava dai loro precedenti incontri.
«Ci dispiace darle disturbo a quest’ora, signorina» si scusò Robillard, decisamente a disagio in quell’atrio con la porta d’ingresso ancora aperta alile loro spalle. «Ma come abbiamo già spiegato al signor Sebire si tratta di una cosa molto importante.»
«Non si preoccupi ispettore, se si tratta di Jon sono prontissima ad essere d’aiuto. Cosa è successo?»
«Dovresti essere a letto a riposare, Amy» fece Paul Sebire quasi supplicandola.
«Falla finita papà! Sai benissimo che il medico ha detto che domani posso alzarmi e anche uscire, se voglio.»
Overoy intervenne: «Mi dispiace molto del suo incidente, signorina. Jon mi ha detto tutto. E il suo occhio…?»
Nonostante l’ansia di sentire cos’era successo a Jon, Amy sorrise. «Niente di grave a quanto pare, non avrò problemi alla vista. La benda serve solo ad evitare infezioni all’occhio e per farlo riposare per qualche giorno. Ma mi dica tutto, per favore».
Vivienne si avvicinò alla figlia e le passò un braccio attorno alla vita.
«Il signor Childes è scomparso dal suo cottage» disse l’ispettore Robillard. Oltre la sua spalla all’esterno Amy notò che erano parcheggiate molte auto della polizia, non solamente la loro. Le venne un nodo alla gola. «Uno dei nostri agenti che lo sorvegliava… ha perso le sue tracce mentre lo seguiva in campagna.»
«Non capisco.»
«Ci chiedevamo se Jon non avesse telefonato a lei per dirle dove intendeva andare» le spiegò Overoy, grattandosi la tempia con un dito macchiato di nicotina.
Amy guardò prima uno poi l’altro poliziotto. «Sì, mi ha chiamato prima ma non ha detto che usciva. Semmai sembrava stanco. Ma perché lo volete sapere? Non sarà mica sospettato di qualcosa?»
«Non lo è mai stato per quello che mi riguarda» affermò Overoy, guardando con una punta di disprezzo il collega. «Io ho preso il primo volo perché volevo parlare con lui. Spero anche di poter aiutare la polizia locale ad effettuare un arresto.»
Fece una pausa guardandoli entrambi e aggiunse: «Abbiamo identificato la persona responsabile di queste follie. Abbiamo fatto accertamenti e sappiamo che è sull’isola. Ma potrebbe arrivare a Jonathan Childes prima di noi.»
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