James Herbert - La pietra della Luna

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La pietra della Luna: краткое содержание, описание и аннотация

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John Child è riuscito a sfuggire al terrore del suo passato. Sì è rifatto una nuova vita, ha riscoperto l’amore. Gli manca disperatamente sua figlia ma di certo non sente la mancanza dell’atroce incubo che si è lasciato alle spalle.
Poi, all’improvviso, tutto ricomincia.
Orribili visioni gli invadono la mente. Una cosa, una creatura incredibilmente forte ha invaso la sua coscienza e lo rende testimone, attraverso i suoi oechi, di assassinii brutali, di mutilazioni orrende.
Senza dubbio John ha un grande potere psichico, ma anche la cosa lo ha. E la cosa lo ha fiutato, è sulle sue tracce sempre più famelica...

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«Che disgraziati!»

«Cosa t’aspetti con una scuola incendiata, parecchi morti e un poliziotto assassinato? Quella era la seconda volta che arrivavo sul luogo del delitto prima di chiunque altro.»

«E quindi ti sospettano di omicidio e incendio doloso. Fantastico! Jon che cavolo aspetti a scappare di lì? Torna qui, subito! Prendi il volo di mezzanotte oppure il primo di domani mattina. Perché sopportare tutto questo?»

«Non credo che sarebbero molto contenti qui.»

«Non possono mica trattenerti!»

«Potrebbero anche. Comunque non parto, Fran. Non ancora.»

Lei era esasperata. «E perché?»

«Perché è qui Fran. E finché rimane qui non può fare del male a te e a Gabby. Questo lo capisci, vero?»

Sì, lo capiva. E lo disse. Sottovoce.

Childes passò nel soggiorno dirigendosi verso un vassoio di bottiglie su una delle mensole della libreria. Prese la bottiglia di whisky, svitò il tappo, poi si fermò. Non serve a niente, si disse, non stanotte.

Ripose la bottiglia.

La stanza era in ombra, unica luce accesa una lampada da tavolo. Ai due lati della stanza le tende erano aperte e lasciavano penetrare una fredda luce notturna. Il cielo era di un colore metallico e scuro. La luna piena ancora bassa nel cielo terso assomigliava a un’ostia, sottile e candida. Chiuse le tende, lasciando fuori la notte.

Infilò le mani nelle tasche dei jeans e andò verso il tavolino accanto al divano, lentamente, ma con un fare deciso. Una barba vecchia di due giorni gli ingrigiva il mento e aveva lo sguardo fisso e intenso, stanco eppure desto. Si adagiò sul divano, i gomiti sulle ginocchia, e studiò il piccolo oggetto tondo sulla superficie di legno lucido del tavolino accanto. Negli occhi una volontà incrollabile.

La luce della lampada donava alla freddezza traslucida della pietra un certo calore: il blu liquido, cangiante in viola, ricordava i colori dell’inverno.

Scrutò nelle profondità della pietra, come una specie di chiaroveggente con la sua sfera di cristallo, affascinato dalle tenui sfumature di colore ma guardava molto più a fondo, cercando forse dentro se stesso, in realtà cercando altro, un nesso, un collegamento: un codice d’accesso!

Trovò solo nomi. E volti morti. Kelly, Patricia, Adele, Caroline, Isobel, Sarah-Jane. E Kathryn Bates, la governante. Tutte morte. Estelle Piprelly, cenere.

Annabel. Morta.

Ma Jeanette era viva. Amy, la dolce Amy, viva. E Gabby. Stranamente queste ultime tre non erano così chiare nelle sue visioni; il pensiero di esse non aveva profondità, era superficiale, come se non avessero a che fare con questa nuova cosa.

I suoi pensieri si aggiravano tra i morti. Persino quelli che non aveva mai conosciuto.

La prostituta. Il bambino violato nella tomba. Il vecchio con la testa segata via. Gli altri del manicomio. Non voleva vederli, né sentirne le voci, perché cercava qualcosa, qualcun altro. Ma le loro immagini e i loro suoni gli pulsavano davanti, pulsavano dentro la sua mente… palpitavano… crescevano, svanivano… crescevano, svanivano… si espandevano, si contraevano… un pallone prima gonfio, poi sgonfio, incorporeo… una palla di foschia bianca… La luna…

Sussultò e si portò la mano alla fronte, un dolore improvviso e acuto si fece strada attraverso quel sordo risentimento che lo aveva tormentato tutto il giorno. Cadde all’indietro sul divano.

La sua mente aveva quasi toccato…

«Vivienne?»

«Sì»

«Sono Jonathan Childes. Mi dispiace disturbare a quest’ora.»

Un breve silenzio all’altro capo del filo. «Scusa, ho chiuso la porta» disse Vivienne. Childes pensò che doveva esserci Paul Sebire nei pressi. «Come stai Jonathan? Sei riuscito a riprenderti da quella tremenda esperienza?»

«Sì. Sto bene grazie». Fisicamente almeno, pensò tra sé e sé.

«Amy è molto fiera di ciò che hai fatto. E anch’io.»

«Vorrei…»

«Lo so. Vorresti aver salvato anche le altre. Ma hai fatto quello che potevi. Spero solo che catturino presto il pazzo che ha fatto questa cosa orrenda. Dunque, non credo che tu voglia perdere tempo con me. Amy sta riposando nella sua stanza, ora te la passo. So che non dorme perché sono passata da lei poco fa. Sarà contenta di sentirti.»

«Sei sicura che non ci sono problemi?»

Vivienne rise piano. «Sicurissima. Comunque… beh, dovrò andare ad avvertirla invece di chiamarla da qui.»

«Il padre?»

«Il padre. Non è cattivo come pensi, Jon. È solo che gli piace dare un’impressione di durezza. Alla fine capirà, vedrai. Adesso riattacco e vado ad avvertire Amy.»

Attese, la testa ancora gli doleva, la stesso sordo pulsare di prima. Un clic, Amy era in linea.

«Jon, che succede?»

«Niente, niente Amy. Volevo solo sentire la tua voce. Ne avevo bisogno.»

«Sono contenta che hai chiamato.»

«Come ti senti?»

«Come l’ultima volta che mi hai chiamata. Ho sonno, ma devono essere le pastiglie. Non ci sono problemi, è passato il dottore prima, ha detto che i tagli sono molto meno gravi di quanto non sembrasse a prima vista. ‘Belle cicatrici’ ha detto. Potrò alzarmi e uscire già domani, e indovina dove vado?»

«No Amy, non qui. Non è il momento.»

«È lì che voglio essere. Sono in grado di superare qualsiasi problema di gelosia per te e Fran. Non è una cosa facile ma ce la farò. Io voglio stare con te. È inutile discutere.»

«Amy, non devi venire!»

«Spiegami perché?»

«Lo sai il motivo.»

«Tu pensi di rappresentare un pericolo per me.»

«Io sono un pericolo per chiunque in questo momento. Ho persino pensato ai rischi che facevo correre a Gabby chiamandola questa sera. Cerco perfino di evitare di pensare a lei, per paura che questo mostro scopra dov’è.»

«La polizia lo troverà. Non ha modo di andarsene dall’isola.»

«Non credo che gliene importi più niente di andarsene.»

Un dolore lancinante, di nuovo. Childes annaspò.

«Jon?»

«Adesso ti lascio riposare Amy.»

«Ho riposato più che abbastanza. Adesso è il momento di parlare.»

«Domani.» C’era un che di spiacevolmente indeterminato in quella parola. «C’è qualcosa che non vuoi dirmi?» chiese lei quasi con cautela.

«No!» mentì lui. «È solo che sono stanco di stare in disparte a guardare tutte queste atrocità senza fare niente.»

«Non c’è niente che tu possa fare. È compito della polizia sistemare la cosa.»

«Forse.»

Lei avvertì di nuovo quel tono nella sua voce; era solenne ma c’era un fondo di rabbia, un’ira contenuta ma nervosa, l’aveva captata appena aveva alzato il telefono, forse persino prima che parlasse, come se la potenza di quell’energia fluisse lungo i fili. Era impossibile, lei lo sapeva, ma allora perché si sentiva così a disagio, così indebolita da questa… immaginaria?… forza?

«Dormi Amy. Riposati», le disse Jon.

Improvvisamente si sentì stanchissima, quasi lui avesse dato un ordine direttamente al suo corpo. Doveva dormire!

«Jon…»

«A domani Amy.»

La sua voce era vuota, sembrava l’ultimo rimbalzare di un’eco. Il ricevitore le sembrò incredibilmente pesante.

«Sì, a domani Jon», disse lentamente. Le palpebre erano stranamente pesanti. Ma cos’era, un’ipnosi per telefono? «Jon…» tentò di protestare, ma non trovò l’energia necessaria per finire la frase.

«Ti amo tanto Amy.»

«Anch’io…»

Di nuovo un clic, la linea fu interrotta. Un’improvviso profondo senso di perdita quasi la ridestò. Ma lui aveva detto di riposare, di dormire.

Il ricevitore le scivolò dalle dita.

Childes posò il telefono e si chiese se le pillole che Amy prendeva non contenessero anche un sedativo oltre all’analgesico. Andò nel bagno per sciacquarsi la faccia, anche lui si sentiva spossato… e paradossalmente, anche straordinariamente all’erta. Riempì il lavabo d’acqua fredda e si spruzzò ripetutamente il viso premendovi gli occhi chiusi con le dita bagnate. Infine si rialzò scrutandosi nello specchio; si guardò negli occhi notando le pupille arrossate attorno alle lenti a contatto. Se lo specchio avesse potuto rifletterlo, avrebbe notato anche l’alone di brevi raggi bianco-violetti di energia eterea irradiata dal suo corpo.

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