— E al diavolo i siluri —mormorò Frede.
— Come?
— Nulla. Solo una vecchia espressione della marina. Molto antica.
Senza punti esterni di riferimento, non avevamo modo di verificare la velocità della nave. Gli strumenti ci dicevano che avevamo superato di molto quella della luce, ma per quanto ci era dato vedere, l’Apollo era ancora sospesa nel mezzo del nulla.
Ma arrivò la mattina in cui Frede annunciò: —Siamo a due giorni dal sistema di Giotto. È arrivato il momento di inviare i messaggi-capsula.
Avevo la sensazione che, nell’oscurità che ci circondava, l’intera flotta degli Skorpis stesse viaggiando con noi, aspettando solo che rientrassimo nella velocità relativistica per ridurci a una palla infuocata di atomi ionizzati.
La tensione cresceva di minuto in minuto. Liberammo tutte le capsule rimaste, poi con il trasportatore di materia ne fabbricammo altre, convertendo in energia persino parte delle scorte alimentari.
— Avremo bisogno di cibo per due giorni ancora e non di più —spiegai al personale addetto al trasportatore. —Fra tre giorni mangeremo su Loris.
— Oppure all’inferno —mormorò uno dei tecnici, quando pensò che fossi abbastanza lontano da non sentirlo.
Di nuovo in sala-comandi chiesi a Frede: —A quale distanza dal pianeta puoi portarci?
Lei sollevò gli occhi dagli schermi. Stanchezza, concentrazione prolungata e mancanza di sonno le avevano cerchiato gli occhi. —Cinquanta diametri planetari —rispose. —Proprio nel mezzo della loro cintura difensiva più importante.
— Perfetto —fu il mio commento.
Poi lei aggiunse: —Questo, se i dati delle effemeridi sono aggiornati.
— Dovrebbero esserlo.
— Con un sorrisetto sardonico, ribatté: —Già. Dovrebbero. In caso contrario, potremmo trovarci col culo sospeso sulla parte sbagliata del sistema planetario, oppure schiantarci sulla superficie del pianeta.
Alternative davvero piacevoli. I dati delle effemeridi erano esatti e la navigazione di Frede fu impeccabile. L’unico fattore che non avevamo previsto, che non avremmo potuto prevedere, era la decisione degli Skorpis di attaccare Loris senza aspettarci.
Fu così che, uscendo dall’iperspazio, ci trovammo nel pieno di una grande battaglia. Il cielo era invaso da incrociatori e stazioni orbitali operative che si tempestavano a vicenda di testate nucleari e raggi laser.
L’Apollo sobbalzò con violenza, quando un incrociatore Skorpis bersagliò di colpi una stazione mobile della Suprema Alleanza e poi puntò contro di noi il raggio laser.
Feci appena in tempo a gridare: —Ai posti di combattimento! —prima che il controllo della nave passasse automaticamente al mio sedile. Le tastiere incassate nei braccioli ora controllavano direttamente tutti i sistemi del velivolo. Il resto dell’equipaggio si era stretto attorno a me.
Impossibile pensare di raggiungere Loris mentre infuriava la battaglia. Gli scudi difensivi del pianeta erano tutti operativi, caricati con tutti i megajoule che i generatori potevano produrre.
Feci una rapida, valutazione della situazione. Gli Skorpis non erano interessati al pianeta; ciò che volevano era mettere fuori uso le cinture difensive di Loris. Con fanatico coraggio, si erano avvicinati quanto noi, rischiando collisioni e persino di schiantarsi sulla superficie del pianeta. A tanto li aveva spinti la bramosia di sorprendere i difensori della Suprema Alleanza.
E la loro tattica aveva funzionato. Avevano oltrepassato gli anelli esterni di difesa, situati a notevole distanza dal sistema di Giotto, massicce stazioni poste in orbite planetarie fisse a decine di milioni di chilometri da Loris. Spostarle era possibile, ma per attivare i sistemi di propulsione ci sarebbe voluta quasi tutta l’energia impiegata per le armi. E avrebbe richiesto tempo, troppo perché una simile operazione potesse condizionare l’esito della battaglia.
Gran parte delle navi della Suprema Alleanza erano altrove, impegnate su altri fronti. E proprio come avevo temuto, gli Skorpis avevano impegnato praticamente tutti i mezzi di cui disponevano per quest’assalto alla capitale della Suprema Alleanza. Ora combattevano per neutralizzare le cinture difensive di Loris e le poche navi che essa poteva mandare in battaglia. Dopodiché, sarebbero stati liberi di bombardare e invadere il pianeta.
Non saprei dire per quanto tempo la battaglia infuriò. Gli schermi mi mostrarono frammenti di navi esplose fluttuare nello spazio, una stazione in orbita crivellata di fori, e nel ventre sferico uno squarcio da cui zampillava metallo bollente. Vidi anche frammenti di corpi, umani e alieni, passarci accanto a gran velocità, come trascinati da un vento di bufera.
Vidi un incrociatore Skorpis andare a cozzare contro una stazione in orbita, raggi laser guizzare e colpire gli scudi difensivi in un caleidoscopio di colori. L’Apollo scivolò sotto la gigantesca nave da guerra, e i nostri sensori ne perlustrarono lo scudo, alla ricerca di un punto debole. Stavano concentrando quasi tutta l’energia nello scudo anteriore, che fronteggiava la stazione in orbita.
Individuai un punto debole e sparai una sola raffica di raggi. Lo scafo della nave cominciò ad annerire e a sbucciarsi come un’arancia, poi a raggrinzirsi, come una foglia secca lambita da lingue di fuoco. Un lungo brivido percorse la nave, poi una forte esplosione la dilaniò e il fuoco si spense. Dalla stazione in orbita continuavano a bombardare fino a quando della nave non rimasero che pezzi di metallo semiliquefatto, plastica e brandelli di carne.
L’avevamo uccisa come un soldato di fanteria uccide l’avversario atterrato affondando il pugnale tra le maglie della corazza.
— Colpiti posizione ore sei! —udimmo annunciare da uno dei sensori, mentre un colpo violento scuoteva l’Apollo. Il nostro scudo non cedette, mentre un altro incrociatore ci passava accanto, sparando un’altra salve di colpi. Rispondemmo, ma senza centrare alcun bersaglio.
La battaglia sembrava aver perso ogni parvenza di insieme, e ora si combattevano mille piccole battaglie tra incrociatori e stazioni operative. Una delle poche navi della Suprema Alleanza ebbe un rapido scambio di colpi con due incrociatori Skorpis, uno dei quali incappò nel fuoco incrociato di due stazioni, ed esplose come un fiore di fuoco. Altri velivoli subirono lo stesso destino, e i loro pezzi volteggiarono nel buio come stelle incandescenti.
Nella nostra sala-comandi, il silenzio era rotto solo dai bip dei sensori, dal respiro accelerato degli uomini e dal basso ronzio dei macchinari. Gli occhi di tutti erano puntati sui display, e sulla silenziosa danza di morte che andava svolgendosi intorno a noi.
Guidai l’Apollo attraverso quella pioggia di colpi, nel disperato tentativo di avvicinarmi il più possibile al pianeta, ma c’era sempre un velivolo Skorpis a sbarrarmi la strada. Quanto a difese e a potenza non potevamo certo competere con esse, ma, che ci piacesse o meno, eravamo nel pieno dell’azione.
Avremmo potuto prendere un’altra direzione, allontanarci da quell’inferno e cercare la salvezza nell’iperspazio. Ma un timore me lo impediva: se gli Skorpis avessero vinto la battaglia e poi attaccato Loris, certamente Aton avrebbe lasciato il pianeta per rifugiarsi in un altro luogo nel continuum, lasciandoci lì. Lasciando Anya debole e morente.
Non avevo scelta: dovevo restare e contribuire alla vittoria della Suprema Alleanza.
Puntai verso la stazione orbitale più vicina, una gigantesca struttura a forma di globo, e mi augurai che il nostro sistema di identificazione automatico convincesse i suoi occupanti a non bersagliarci di colpi.
Tre navi da guerra Skorpis si avvicinarono sparando, due incrociatori e un dreadnought. Sotto gli occhi attenti di Frede e degli altri, saettai sotto i due incrociatori per sondarne lo scudo difensivo. Come avevo immaginato, si muovevano a velocità discontinua per evitare il fuoco della stazione orbitale. Individuato un punto debole nello scudo della prima, vi riversai tutta la nostra potenza di fuoco. L’incrociatore deviò bruscamente, esponendo il lato inferiore, già danneggiato alle armi pesanti della stazione orbitale. Che si affrettò a farlo esplodere.
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