Ben Bova - Orion tra le stelle

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Orion tra le stelle: краткое содержание, описание и аннотация

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`ORION — il semidio la cui sorte è crudelmente manipolatadai Signori del cosmo — viene scagliato in un futuro lontanissimo denso di insidie: in quel particolare segmento dello spazio-tempo è infatti in corso una ferocissima guerra spaziale fra le razze di discendenza terrestre e le più feroci creature dei mondi alieni. Al comando di una guarnigione di terrestri pronti a tutto, John O’Ryan alias ORION comincia la sua ltta disperata. Resta un solo interrogativo: a chi gioverà questa ennesima guerra?

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Dovevo pensarci su. Gli Antichi rispettarono il mio silenzio.

— Il primo passo sta nel mettere fine alla guerra —dissi alla fine, soppesando le parole. —Non basterà a estirpare il seme della violenza dalla psiche umana, ma farà cessare questa carneficina. Poi, forse, potremmo imparare a vivere in pace.

— Lo credi possibile?

— Vedete un’altra strada, migliore? —ribattei.

— No —risposero. —A essere sinceri, no.

— Allora, aiutatemi a raggiungere Loris.

— Troverai gli Skorpis ad aspettarti. Da loro non possiamo proteggerti.

— Potete almeno trasportare la criocapsula che ho a bordo nel Campidoglio del pianeta?

Ma dopo che si furono consultati, il verdetto fu: —Questo è un compito che devi eseguire tu stesso, Orion.

— Neppure questo farete per me? Nel nome della pace?

— Dovete conquistare da soli la pace. È un compito che spetta esclusivamente a voi.

Non avrei avuto alcun aiuto dagli Antichi.

— Il tuo arrivo nel sistema di Giotto scatenerà una violenta battaglia —mi avvertirono.

— L’ultima —assentii, rassegnato.

— Auguriamocelo.

Ero pieno d’amarezza —Grazie —dissi…

— Addio, Orion —mi salutarono. —Addio per sempre.

Prima che potessi chiedere che cosa avessero inteso con quella formula di commiato, mi ritrovai a bordo dell’Apollo. Accanto a me, Frede mi guardava perplessa.

— Non vuoi mangiare?

Solo allora notai il vassoio di cibo che avevo davanti.

— No, grazie —borbottai. —Non ho fame.

Come potevo mangiare quando sospettavo che gli Antichi mi avessero detto addio perché sapevano che andavo a morire?

Quando lasciai la cabina per andare a riposare, sognai l’antica Bisanzio, la Nuova Roma dalla triplice cinta di mura che per mille anni, dopo che l’oscurità che era calata sull’Europa occidentale, era rimasta in piedi ad affrontare le orde barbariche.

Ero un soldato, un ufficiale che tornava in città dopo una lunga e faticosa campagna militare contro i predatori Selgiuchidi, venuti dal cuore dell’Asia settentrionale per conquistare le antiche province della Cilicia, della Cappadocia e persino dell’Anatolia. Nobili città, come Antiochia, Pergamo ed Efeso ora erano in mano ai musulmani.

I miei soldati avevano combattuto per mesi, costretti a ritirarsi di continuo davanti ai feroci cavalieri delle steppe, e morendo in gran numero mentre l’ondata barbara ci sospingeva verso il Bosforo. Col cuore gonfio, vedevo villaggi, paesi, intere città messe a ferro e fuoco dagli invasori; chiese e persino grandi cattedrali trasformate in moschee. La nostra ritirata fu segnata da colonne di fumo nero, pire funerarie per il nostro Impero, che si levavano verso il sole come indici accusatori.

Alla fine, li fermammo. Alle nostre spalle, restava solo la sottile striscia di mare che separa l’Asia dall’Europa. Non molto dell’antico impero era stato risparmiato, ma la potente Bisanzio era ancora libera. Il prezzo fu migliaia di ottimi soldati; della mia coorte, soltanto una manciata era ancora in grado di combattere, e tra questi molti erano feriti. Ma potevamo dire a noi stessi e a chiunque avesse voluto ascoltare che avevamo dato molto più di quanto avessimo ricevuto. I Selgiuchidi non erano meno esausti di noi, e le loro cataste di morti più alte delle nostre.

La battaglia era cessata, almeno per il momento, e io rientravo nella potente città. Con il cuore a pezzi e zoppicante per una ferita di freccia a una gamba.

A cavallo varcai i tre cancelli, le mie poche cose legate alla sella. Le guardie non prestarono attenzione a me… solo un soldato che tornava… impegnati a trattare con un mercante arrivato con una lunga carovana di muli carichi di merci. Pretendevano di essere pagati, e generosamente, per lasciarlo entrare.

Attraverso le strade tortuose della città vecchia, cavalcai lentamente, godendomi la vista, i suoni, gli odori. I venditori ambulanti decantavano la loro mercanzia. I negozianti parlavano del tempo o delle mode più recenti con i clienti. Uomini e donne passeggiavano lungo le vie principali, o sedevano nei caffè delle piazze. L’aroma dell’agnello arrosto, delle cipolle e del vino speziato mi dava alla testa, dopo mesi in cui mi ero nutrito di carne secca di capra o di cose peggiori.

Nella piazza del mercato, oltre i tetti bassi delle case, vidi la splendida cupola di Santa Sofia. Spronai il mio cavallo stanco in direzione della cattedrale. Se dovevo pregare per la mia salvezza, perché non farlo nel più imponente monumento della Cristianità?

Una parte della mia mente si chiedeva se fosse un sogno o la vita reale. Vivevo davvero in quell’era del mondo, oppure ero altrove, in un altro luogo e in un altro tempo, e dormivo? Ma che importanza aveva? Ero comunque fortunato a essere vivo, e dovevo a Dio e ai suoi Santi una preghiera di ringraziamento. Ed eccomi finalmente nella piazza di ciottoli antistante la cattedrale.

— Non puoi legare qui quel ronzino!

La voce gracchiante mi fece sobbalzare. Guardai il palo a cui altre cavalcature erano assicurate, poi il vecchio grinzoso, vestito di luridi panni, che mi fissava con ostilità.

— Il palo è riservato agli invitati alle nozze —gracchiò. —Non azzardarti a mettere quel tuo animale mangiato dalle zecche in mezzo a cavalli di razza.

E davvero gli altri cavalli erano ben nutriti e strigliati a dovere, mentre il mio povero compagno mostrava le costole.

— Maledetti soldati! Credete di poter fare tutto quello che volete, vero? Perché non andate a combattere i Saraceni invece di intrufolarvi dove non siete desiderati?

Senza rispondere, mi spostai verso un palo più distante, e dopo aver legato il cavallo tornai dal vecchio.

— Ho lasciato tutto ciò che possiedo su quel ronzino mangiato dalle zecche —dissi. —A eccezione di questa. —Estrassi dalla guaina la spada con l’elsa incrostata di pietre preziose. —La sua lama ha trafitto più Selgiuchidi di quanti peli hai sul viso, vecchio. Se qualcuno si azzarda a toccare il mio cavallo o le mie cose, ne conoscerà il morso.

Nei suoi occhi si accese un lampo di collera, ma tenne la lingua a freno. Mi voltai ed entrai nella cattedrale. Era stranamente freddo all’interno, e buio. Solo un altare laterale era illuminato, e lì si stava celebrando la cerimonia nuziale. Ecco i proprietari dei cavalli che il vecchio sorvegliava, pensai.

In ginocchio sul pavimento gelido, riuscivo a malapena a intravedere il mosaico raffigurante il Cristo risorto, nella cupola… Una luce fioca filtrava dalle alte finestre colorate, e nei suoi raggi danzava il pulviscolo. Mi aspettavo quasi di vedere il mio respiro, tanto faceva freddo.

Vicino all’entrata principale e all’imponente fonte battesimale, c’era una statua di Santa Sofia. La guardai, e i tratti scolpiti dall’artista mi parvero familiari. Li avevo già visti su un’altra statua, ad Atene. Una statua opera di un pagano e raffigurante Atena, protettrice di quella decrepita città.

Ed ecco che ritrovavo lo stesso volto in Santa Sofia. La santa era avviluppata in morbide pieghe di prezioso tessuto, mentre Atena era stretta in un’armatura e portava un elmo di bronzo. La santa ascoltava le preghiere dei fedeli, mentre la dea impugnava una lancia e aveva una civetta sulla spalla. E, nondimeno, il volto era lo stesso. E pareva sorridermi, un sorriso serafico che mi scaldò il cuore.

Non restai a lungo. Giusto il tempo di una breve preghiera di ringraziamento, poi tornai fuori, timoroso che il vecchio si mettesse in testa di rubare le mie cose per poi dileguarsi tra la folla. Ma lo trovai vicino al palo, e il mio cavallo era al suo posto. La povera bestia era davvero mal ridotta.

— Suppongo che i soldati non allunghino qualche soldo a chi sorveglia le loro cavalcature —borbottò quando gli passai accanto.

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