Ben Bova - Orion tra le stelle

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Orion tra le stelle: краткое содержание, описание и аннотация

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`ORION — il semidio la cui sorte è crudelmente manipolatadai Signori del cosmo — viene scagliato in un futuro lontanissimo denso di insidie: in quel particolare segmento dello spazio-tempo è infatti in corso una ferocissima guerra spaziale fra le razze di discendenza terrestre e le più feroci creature dei mondi alieni. Al comando di una guarnigione di terrestri pronti a tutto, John O’Ryan alias ORION comincia la sua ltta disperata. Resta un solo interrogativo: a chi gioverà questa ennesima guerra?

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— I soldati non hanno denaro fino al giorno di paga —risposi. —E nessuno di noi è stato ancora pagato, da quando ha lasciato la città mesi e mesi or sono.

— Bah! —Non credeva alle mie parole.

Ero stato alloggiato presso una famiglia che viveva fuori delle mura. Non furono esattamente entusiasti di vedermi. Per loro, significava avere un’altra bocca da sfamare e un altro cavallo a cui badare per tutta la durata della mia permanenza. Sembrava che avessero già abbastanza difficoltà a sopravvivere, con cinque figli di cui il maggiore aveva appena dieci anni.

L’uomo era un fabbro e si guadagnava da vivere riparando vasi e oggetti di rame al bazaar. L’esercito gli avrebbe pagato una sciocchezza per il mio mantenimento, ma lui mi disse subito chiaro e tondo che gli sarei costato molto di più.

Ma i ragazzi mi si strinsero intorno, avidi di sapere tutto della guerra e dei paesi in cui ero stato. Mi scrutavano con curiosità, affascinati dalle cicatrici che avevo sul viso.

La madre se l’era portata via una febbre che un anno addietro aveva mietuto parecchie vittime. Il padre si era preso in casa una ragazza per cucinare e badare ai figli, una rossa robusta, probabilmente originaria della Moscovia. Era carina, con la pelle bianco latte non ancora segnata dal duro lavoro. Mi chiesi se il padrone se la portasse a letto.

I due ragazzi più grandi mi aiutarono a disfare il misero bagaglio e scaricarono le mie cose su uno dei letti che si trovavano nella camera al piano superiore. Poi condussero il cavallo nella stalla. Durante la cena, vollero che raccontassi storie di guerra e di vittoria. Ma tutto quello di cui potevo parlare erano battaglie perdute e le ritirate davanti a un nemico implacabile. Il padre mangiava la sua zuppa d’orzo e pane nero in assoluto silenzio. Sollevava il capo di rado, e solo per fulminare con gli occhi la serva quando mi sorrideva.

— Quanti barbari hai ucciso? —mi chiese il figlio più grande.

— Troppi —risposi. —Ma non abbastanza.

— Che cosa si prova a uccidere un uomo? —volle sapere la ragazza.

Risposi di getto, senza pensarci. —Meglio lui di me.

Lei scosse il capo. —So che sono barbari infedeli e che la Chiesa non condanna i loro uccisori, ma Cristo non ci ha insegnato che uccidere è peccato?

La sua disapprovazione mi irritò. Avrei voluto dirle che cosa facevano i Selgiuchidi alle donne cristiane che prendevano prigioniere, descrivere i villaggi di donne violentate e poi trafitte con la spada per puro divertimento, di lattanti impalati vivi e usati come palle da calciare, di bambini inermi torturati con fuoco e pugnali.

Ma non dissi nulla. Perché mi vergognavo. Le mie truppe avevano fatto più o meno lo stesso nei villaggi musulmani che avevamo saccheggiato.

— Sono infedeli —saltò su il padrone di casa. —Servi dell’Anticristo. Ucciderli non è come uccidere un cristiano. Così ci hanno detto i padri della chiesa. Non sono neanche umani.

— Il loro sangue è rosso come il nostro —mi sorpresi a mormorare.

— Bene! Fanne scorrere più che puoi.

“Vattene più presto che puoi e tornatene in guerra” mi stava dicendo. E così avrei fatto, decisi. Quella non era la mia casa né lo sarebbe mai diventata. Non appena la ferita alla gamba fosse guarita, sarei tornato a combattere.

Dopo cena, i due ragazzi si offrirono di dividere il loro letto con me. Scoppiai a ridere; avevo dormito sulla nuda terra talmente a lungo, spiegai, che un letto mi avrebbe sicuramente tenuto sveglio. Distesi sul pavimento la mia coperta e mi sdraiai.

Stavo per addormentarmi, quando il maggiore dei due ragazzi disse: —L’anno prossimo avrò l’età per arruolarmi.

— Non farlo —replicai. —Resta qui e aiuta la tua famiglia.

— Non c’è gloria a stare qui.

— Non c’è gloria neanche in guerra. Credimi. Solo sangue e sofferenza.

— Ma combattere i Selgiuchidi significa fare la volontà di Dio!

— Anche vivere significa fare la volontà di Dio, figliolo. Uccidere è opera del demonio.

— Ma è giusto uccidere i Selgiuchidi. I preti hanno benedetto la guerra.

“Sì” pensai con amarezza. “Lo fanno sempre.”

— L’Imperatore stesso…

— Dormi —lo interruppi. —E dimentica l’esercito. Solo uno sciocco va in guerra quando non vi è costretto.

Questo finalmente gli tappò la bocca. Mi voltai su un fianco e sprofondai nel sonno, sognando un lontano futuro in cui le navi volavano tra le stelle.

27

Frede mi stava scuotendo per svegliarmi.

— Faresti meglio a dare un’occhiata ai dati relativi all’ultimo controllo di navigazione —disse non appena mi vide aprire gli occhi.

Subito desto, indicai il display incassato nella paratia. —Trasmettili allo schermo…

Fra le stelle avevano fatto la loro comparsa un paio di incrociatori da guerra Skorpis.

— Ci hanno individuati? —chiesi.

Frede si strinse nelle spalle. —Sarebbe stato impossibile il contrario. Non ci siamo trattenuti più di trenta secondi, ma i loro sensori sono buoni come i nostri, se non addirittura migliori. Certo che ci hanno intercettato.

— Hanno fatto qualche tentativo di fermarci?

— In trenta secondi?

Studiai i dati alfanumerici in fondo allo schermo. Gli incrociatori degli Skorpis fluttuavano nello spazio, procedendo a velocità minima.

— Sembra proprio che ci stiano aspettando —commentai.

— L’Egemonia starà sicuramente coprendo tutti i possibili punti di rientro —sospirò Frede. —Vogliono scoprire dove siamo e quando raggiungeremo il sistema di Giotto.

Scesi dal letto e presi la mia tunica: —Quanto vicino a Loris puoi portarci? Se riusciamo ad abbandonare l’iperspazio, una volta dentro il sistema difensivo dovremmo essere abbastanza al sicuro.

— Le loro difese telecomandate ci annienterebbero in pochi microsecondi. Come a Prime e nel sistema di Zeta. Ricordi?

— Ma allora i messaggi-capsula hanno funzionato. Potremmo fare lo stesso.

Frede aggrottò la fronte. —Per portare con noi l’intera flotta Skorpis?

— Abbiamo altra scelta?

Si appoggiò al portello e restò in silenzio per diversi minuti. Non sapeva che cosa rispondere, o lo sapeva talmente bene che voleva scegliere le parole con cura?

— Potremmo cambiare rotta —propose alla fine. —Perché dobbiamo andare a Loris? Perché andare a cacciarci proprio nella bocca del leone? Ci sono centinaia di altri sistemi planetari, migliaia. La Suprema Alleanza…

— Dobbiamo portare il nostro passeggero dai capi della Suprema Alleanza, e loro sono a Loris.

— Potremmo raggiungere un pianeta qualsiasi e da lì inviare un messaggio.

— E se gli Skorpis ci scoprono?

— Le possibilità sono talmente remote…

— Ma se accadesse, quante possibilità avremmo di sopravvivere? —la interruppi. —Nessuna. A Loris potremo contare su tutte le difese del sistema di Giotto. E avremo la possibilità di combattere.

Frede non era affatto convinta, né io potevo dirle che l’unica vera ragione che mi spingeva a insistere era che Anya stava morendo. Benché rinchiusa nella criocapsula, diventava ogni giorno più debole. Aton la stava uccidendo, e l’unico modo per fermarlo era affrontarlo, sopraffare lui e i Creatori suoi alleati. Ucciderlo.

Aton non sarebbe mai venuto a un appuntamento su un pianeta lontano dalle rotte consuete. Il suo quartier generale era a Loris, la capitale della Suprema Alleanza, ed era lì che dovevo andare. Lì dovevo portare Anya, lì dovevo affrontare il Radioso.

L’espressione di Frede mi fece capire che, con ogni probabilità, stavo per farci uccidere tutti.

Ma raddrizzai le spalle e ordinai: —Diretta geodetica verso Loris. Basta con le manovre diversive. Avanti dritta.

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