Ben Bova - Ritorno dall'esilio

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Ritorno dall'esilio: краткое содержание, описание и аннотация

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La possibilità di creare in via sperimentale, ma in grande serie, razze di superuomini e sottouomini, ci porrebbe già oggi problemi gravissimi. Ma su una Terra sovrappopolata, dove l’equilibrio sociale, economico, psicologico è appeso a un filo, gli scienziati responsabili di un così esplosivo progetto debbono essere fermati a qualsiasi costo. Come? Quando la persuasione non basta, e lo sterminio è impraticabile, si ricorre al vecchio sistema dell’esilio. Solo che qui si tratta di un esilio extraterrestre, di una Siberia cosmica. E una colonia penale formata dai migliori cervelli del mondo deve combattere duramente non solo per sopravvivere nello spazio, ma anche per trovare un sistema di convivenza accettabile, uno scopo, una meta.

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Gli scalini. I piedi toccarono uno scalino.

I topi lo seguivano squittendo, pazienti.

Linc cadde in ginocchio sugli scalini costringendo la mente a ricordare. La ringhiera. Quando salivi la ringhiera era a sinistra e la parete a destra.

Allungò la sinistra. Niente. Sbirciò nel buio ma non riuscì a scorgere nemmeno la sua mano. Si sporse più avanti. La mano toccò la parete.

D’improvviso si sentì immerso in un sudore gelido che gli scorreva sulla faccia e sul petto in rivoli di ghiaccio. Si allontanò dalla parete e allungò la destra. Toccò una cosa calda e pelosa che mandò uno strillo. Anche Linc urlò e ritrasse la mano. Tremando, trovò il coraggio di tentare ancora. Sì, lì c’è la ringhiera.

Ringhiera a destra, parete a sinistra.

Significa che ho fatto un giro su me stesso. Guardo verso la parte bassa del tunnel.

Ma qualcosa dentro di lui diceva che non era vero. L’istinto gli suggeriva che se si fosse girato e adesso si fosse trovato a guardare nella direzione da dove era venuto si sarebbe trovato a passare in mezzo a una marea di topi, allontanandosi da Jerlet, percorrendo al contrario il tragitto che gli era costato tanta fatica.

Chiuse gli occhi, strizzando le palpebre, e cercò di concentrarsi. Riandò a tutte le volte che era stato nel tunnel, compreso il lungo viaggio che aveva percorso finora, e si vide salire sulla scala a spirale con la ringhiere alla sinistra e la parete alla destra.

No, gridò dentro di lui la voce spaventata. Sbagli. Sai che sbagli.

Riaprì gli occhi. I topi si erano avvicinati, e lo fissavano con gli occhi luminosi, dicendo: Deciditi. Qualunque direzione tu scelga per noi fa lo stesso. Noi ti raggiungeremo comunque.

L’istinto gli gridava di andare avanti, di non voltarsi, di non voltare la schiena ai topi.

Ma i ricordi e il cervello gli dimostravano senza possibilità di dubbio che doveva avanzare tenendo la ringhiera alla sinistra se voleva continuare a salire fino a raggiungere Jerlet.

Trattenendo con uno sforzo un urlo di paura, Linc si voltò lentamente e afferrò la ringhiera con la sinistra. I piedi si sollevarono senza difficoltà dai gradini. Dopo aver aspirato una profonda boccata d’aria, scosso da un violento tremito, strinse con tutte e due le mani la ringhiera così fredda che gli bruciava la pelle, e si spinse in avanti. Avanzò fluttuando nel buio come una freccia, su, sempre più su, verso Jerlet… Almeno così spero!

I topi lo seguivano squittendo.

Ma Linc spingendosi con le mani riusciva ad avanzare più velocemente di loro. Una spinta dopo l’altra, procedendo sempre più rapidamente nel buio continuò a sfrecciare finché lo squittio dei topi non fu che un lontano, vago mormorio dietro di lui.

Anche se vado nella direzione sbagliata, almeno li ho lasciati indietro.

Si sentiva quasi bene quando andò a sbattere contro una cosa dura e rigida. Il buio fu sbriciolato in mille e mille stelle di dolore.

E poi finì con l’inghiottirlo completamente.

Si svegliò poco dopo.

E quando riaprì gli occhi per un breve attimo non fu sicuro di essere veramente sveglio.

Sogno, si disse. Sto sognando.

Socchiuse gli occhi feriti dalla luce troppo forte e vide che si trovava in una stanza. Una stanza piccola, non molto più ampia del suo compartimento nella Ruota Viva. Ma era illuminata da una luce vivida, bianca, abbagliante. E faceva caldo! Il caldo lo avvolgeva, dolce come una carezza. Linc non aveva mai gustato un tepore simile dall’infanzia.

Poi il sogno si trasformò in incubo. Si sentiva abbastanza in forze da alzarsi a sedere, ma scoprì che gli era impossibile muoversi. Riusciva a sollevare appena la testa, niente più. Il resto del corpo era come paralizzato. Si guardò e vide che ampie fasce gli immobilizzavano le gambe e le braccia e un’altra gli passava sul torace, impedendogli ogni movimento.

Mani e piedi erano coperti da qualcosa che non riuscì a definire. Per il resto indossava una camicia bianca inamidata con le maniche corte.

E c’era un sottile tubo flessibile attaccato al suo braccio destro, proprio al di sopra del gomito.

Spaventato, Linc voltò la testa e vide che l’altra estremità del tubo era infilata in una bottiglia verde capovolta inserita in un supporto appeso al muro. L’estremità del tubo che finiva nell’incavo del suo gomito era coperta da un pezzo di sostanza bianca che sembrava plastica. Linc sentiva il tubo dentro la sua carne. Prudeva.

— Dove sono? — gridò. — Cosa mi state facendo?

Ma a chi si rivolgeva? La nave era molto più grande di quanto avesse immaginato. Chissà quanta gente ci viveva.

Lasciò ricadere la testa sul letto. Non lasciarti prendere dal panico si disse. Se non altro sei riuscito a sfuggire ai topi.

Ma il nodo allo stomaco non voleva sciogliersi. Tornò a guardare il tubo che gli penetrava nel braccio, poi distolse gli occhi.

Cosa mi fanno?

Poi dovette essersi riaddormentato perché sussultò quando la porta si aprì sbattendo. Linc sollevò la testa più che poteva e vide un vecchio grasso e trasandato che si spingeva attraverso la soglia a fatica. Fluttuò privo di peso fino al letto come un’immensa nuvola di carne coperta da una tuta grigia macchiata che gli andava stretta.

— Finalmente ti sei svegliato. — La voce era grossa e rude come il suo corpo e la sua faccia.

— Chi… chi sei?

— Non mi riconosci? — Il vecchio aveva un’aria sorpresa. — Sono Jerlet.

— No, non sei Jerlet. Non gli somigli per niente.

IX

Un lento sorriso si allargò sulla faccia rugosa del vecchio, coperta da ciuffi ispidi di pelo bianco. Aveva le guance cascanti, una grossa pappagorgia e un colorito grigiastro, malsano. I capelli, bianchi e opachi, erano un groviglio di lunghi riccioli che si agitavano contorcendosi nel vuoto a ogni movimento.

— Non mi riconosci, eh? — Sembrava che la cosa lo divertisse.

Cominciò a slegare le fasce che immobilizzavano Linc. — Non muovere quel braccio finché non sfilo la flebo — lo avvertì.

La flebo? Cos’era?

Linc non aveva mai sentito quella parola.

Il vecchio fluttuò leggero sopra al letto per raggiungere il tubo, e la sua forma massiccia oscurò la luce passando sopra a Linc.

— Sì — mormorò con la sua voce profonda, — è passato un sacco di tempo da quando ho registrato i nastri per voi bambini. Ormai sei un adulto… Come ti chiami?

— Linc.

— Linc… Linc… — Il vecchio si concentrò aggrottando la fronte. — Diavolo, è passato tanto tempo che non mi ricordo più niente. Devo dare un’occhiata in archivio.

Linc lo fissava attentamente, e più lo guardava più doveva convenire che c’era una certa somiglianza con l’uomo che parlava dallo schermo nella Ruota Viva. Ma mentre quello era vecchio, questo era… era antico. Anche le mani erano nodose, con grosse vene bluastre in rilievo. Ma aveva un corpo enorme, immenso.

Le dita nodose estrassero il tubo dal braccio di Linc e coprirono la ferita con un pezzo di plastica, così rapidamente che Linc non ebbe nemmeno il tempo di vederla.

— La flebo ti ha nutrito da quando ti ho portato qui… sei rimasto privo di conoscenza per quasi settanta ore.

— Ore? — ripeté Linc.

Il vecchio fece una smorfia di disappunto. — Già, immagino che voi non sappiate neanche misurare il tempo, vero? Linc scosse la testa.

— Non fa niente. Vediamo se riesci a star seduto. Vacci piano.

Linc si alzò a sedere, aggrappandosi all’orlo del letto per non volare via. Senza peso… forse sono davvero nel regno di Jerlet.

— Immagino di essere un po’ invecchiato — stava dicendo l’uomo. — Mi sono gonfiato come un pallone qui in gravità zero. Ma stammi a sentire, figliolo, io sono Jerlet. L’unico e il solo. Quelle mie immagini che vedete sugli schermi giù nella vostra area, be’, sono nastri registrati molto tempo fa. Allora ero più giovane. E voi eravate bambini.

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