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Ben Bova: Ritorno dall'esilio

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Ben Bova Ritorno dall'esilio

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La possibilità di creare in via sperimentale, ma in grande serie, razze di superuomini e sottouomini, ci porrebbe già oggi problemi gravissimi. Ma su una Terra sovrappopolata, dove l’equilibrio sociale, economico, psicologico è appeso a un filo, gli scienziati responsabili di un così esplosivo progetto debbono essere fermati a qualsiasi costo. Come? Quando la persuasione non basta, e lo sterminio è impraticabile, si ricorre al vecchio sistema dell’esilio. Solo che qui si tratta di un esilio extraterrestre, di una Siberia cosmica. E una colonia penale formata dai migliori cervelli del mondo deve combattere duramente non solo per sopravvivere nello spazio, ma anche per trovare un sistema di convivenza accettabile, uno scopo, una meta.

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Linc era stato colpito da una scossa quando aveva riparato un filo elettrico che non funzionava al centro di distribuzione. Era stata una sensazione molto sgradevole, ma gli parve insignificante in confronto alla scossa che lo colpì quando vide il corpo di Peta.

Il ragazzo giaceva come un mucchietto di stracci su un pianerottolo, davanti a un portello. Gli abiti erano tutti rosicchiati e macchiati qua e là di sangue. Linc cadde in ginocchio e rimase a fissare il cadavere. Aveva un ampio squarcio sulla fronte e gli occhi spalancati fissavano ciechi il vuoto.

Linc non seppe mai quanto rimase inginocchiato lì senza saper cosa fare. È stato Jerlet? No, impossibile. Questo non è il suo regno.

Eppure qualcuno o qualcosa aveva ucciso Peta.

Le guardie di Monel? Lo hanno inseguito fin qui per ucciderlo? Linc scosse la testa. Impossibile. Perché avrebbero fatto una cosa simile? Nemmeno le guardie di Monel potevano uccidere deliberatamente qualcuno.

Mentre stava inginocchiato, sentì un lieve trepestio sul pianerottolo. Si voltò a guardare i piedi nudi di Peta. Un paio di ratti stavano zampettando, con gli occhi rossi che brillavano nel buio, mentre si avvicinavano annusando. Linc roteò il pezzo di tubo, e i ratti si dileguarono.

Non posso lasciar qui Peta!

Infilò il tubo nella cintura e si caricò in spalla il corpo gelido del ragazzo. Aprì il portello e uscì nel corridoio. Solo allora si accorse di quanto fosse scarso il peso lassù. Vero che da un po’ lui stesso si sentiva più leggero, ma era troppo stanco, affamato e insonnolito per farci caso.

Il corpo di Peta pesava meno del materassino della cuccetta, e Linc fu tentato di avanzare a lunghi salti nel corridoio.

Dev’esserci un portello della morte da qualche parte si disse mentre avanzava in punta di piedi. Devo mettere Peta al sicuro nel buio esterno.

Era uno strano corridoio, col soffitto molto basso e porte solo da un lato, e il pavimento si curvava bruscamente verso l’alto. A Linc pareva di risalire il versante di una collina; ma non faceva fatica, perché era come se camminasse su un pavimento piatto.

Il compartimento della morte era in fondo al corridoio, e lo bloccava con un enorme, massiccio portello di metallo su cui erano disegnati strani simboli tracciati dagli antichi.

Linc li studiò per un po’ per essere sicuro che quel portello si apriva su un compartimento della morte uguale a quello della Ruota Viva. A vederlo sembrava uguale, come se fosse stato fatto da qualcuno incapace di fare due cose diverse.

Non gli andava di restar lì più a lungo dello stretto necessario, ma agì con molta cautela. Seguì accuratamente il rituale che Jerlet aveva insegnato loro tanto tempo prima perché sapeva che se avesse fatto una mossa falsa sarebbe morto istantaneamente.

Con gran cura toccò i pulsanti inseriti nella parete di fianco al portello secondo l’ordine prestabilito e aspettò che si illuminassero uno a uno come dovevano. Quando il rituale fu compiuto, il portello interno si aprì e Linc sbirciò nel locale di metallo che costituiva il compartimento della morte.

Scoprì con sorpresa di aver la vista annebbiata, e stava piangendo quando portò il corpo di Peta nel compartimento e lo depose con delicatezza sul pavimento di metallo, Era così piccolo, così indifeso.

— Presto sarai fuori — disse pronunciando le parole del rituale, — insieme agli altri che vissero prima di te. Diventerai una stella, Peta, e non sarai più solo e non avrai più freddo.

Uscì nel corridoio e premette altri pulsanti per completare il rituale. Il portello interno si chiuse, e sopra di esso si accese una luce rossa. Linc sentì un ronzio sommesso e una folata quando il portello esterno si aprì e il corpo di Peta volò verso le stelle. Poi il ronzio cessò e la luce rossa si spense.

Era fatta. Peta adesso si trovava nell’altro mondo, come era giusto. Eppure, Linc non era contento. Aveva fatto quello che doveva fare, ma era triste e si sentiva solo come non mai, prima.

Oppresso dalla malinconia, tornò sui suoi passi e varcò la soglia del portello che dava nel tubo-tunnel. Adesso i suoi soli compagni erano la fame e il freddo.

E i topi.

VIII

Il tunnel non finiva mai.

Linc continuava a salire la scala che si snodava a spirale, con gli occhi che bruciavano per il sonno, le mani tremanti di freddo. Il tunnel era buio, salvo che nei rari punti illuminati da una finestra. La luce delle stelle non dava calore, e, chissà perché, quella della stella gialla non arrivava mai alle finestre del tunnel e così non riusciva a dissiparne il gelo.

Linc sentiva i topi alle sue spalle. Dapprima il loro zampettio era indistinto, lontano, ma adesso percepiva chiaramente il cigolio delle loro unghie sui gradini di metallo, e le pareti del tunnel rimandavano l’eco degli squittii.

Linc continuava a salire. Si sentiva sempre più leggero, ma di pari passo gli venivano meno le forze, per il freddo e la fame.

— Non puoi fermarti — continuava a ripetersi. — Se ti fermi ti addormenti e i topi ti raggiungeranno.

Inciampò. Cadde. Tornò a rialzarsi. Spalancò le braccia e si sollevò senza sforzo. Il tunnel non continuava più a salire a spirale sopra di lui. Alto e basso non esistevano più. Scoppiò a ridere forte e una strana voce roca, gracchiante riecheggiò in risposta.

Galleggiava, quasi senza peso. Galleggiava, galleggiava e tutto era buio intorno a lui. Un’oscurità impenetrabile. Era solo nel buio, senza neanche una stella a guardarlo. Niente… nessuno… solo… Qualcosa, nei più profondi recessi del suo cervello, gli diceva di rimanere sveglio, ma la voce era lontana lontana.

Solo… solo… freddo… Non faceva differenza se teneva gli occhi aperti o chiusi. Non c’era niente da vedere. Il buio era assoluto.

Linc andava alla deriva, privo di peso, con gli occhi chiusi. Gli sembrava che il freddo lo avvolgesse tutto dolcemente. I muscoli indolenziti si rilassavano. Galleggiava nel nulla.

Il nulla.

Fu il dolore a svegliarlo. Non una fitta acuta, ma una specie di remoto senso di disagio, un fastidio come quando c’è un corpo estraneo in una scarpa… o quando un topo rosicchia una gamba intorpidita dal gelo.

Linc scosse la testa per schiarirla. Non era sicuro di esser sveglio…

E poi scorse il luccicore rosso degli occhi, sentì lo squittio di migliaia di topi. Sentì che gli si arrampicavano addosso. Qualcosa di morbido e peloso gli passò sulla faccia.

Allora urlò e si piegò su se stesso nel vuoto privo di gravità e mandò il suo corpo così piegato a ruotare pazzamente attraverso il buio del tunnel in mezzo a una nube di topi privi di peso. Anch’essi urlarono, sparpagliandosi.

Linc fu respinto da una gelida parete di metallo contro cui era andato ad urtare e si tastò alla ricerca del pezzo di tubo, del filo, di qualsiasi cosa che gli servisse da arma. Ritirò la mano appiccicosa di sangue.

Migliaia di occhi rossi scintillanti lo circondavano nel buio. Scalciò, agitando braccia e gambe, con la schiena appoggiata al gelo bruciante della parete.

I topi si allontanarono fluttuando. Squittivano come se si dicessero l’un l’altro: — Attenti, state lontani. È ancora abbastanza forte per lottare. Aspettate. Non resisterà a lungo.

Linc cercò di allontanarsi da quegli occhi infernali strisciando contro la parete. Ma nel buio, e senza peso, non sapeva dove stava andando. Da che parte è «su»? Come faccio a saperlo?

I topi galleggiavano appena fuori dalla sua portata, squittendo, in attesa.

I piedi di Linc dondolavano a mezz’aria. Il suo unico contatto col tunnel era la parete a cui teneva appoggiata la schiena. Strisciava di lato puntellandosi col palmo delle mani insanguinate e allungando i piedi alla ricerca di un appoggio.

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