— Ma gli operai della fattoria…
— Loro sono contenti perché la pompa ha ripreso a funzionare, ma Monel può spaventarli e metterteli contro.
— Se dico la verità…
— Se dici la verità saremo scacciati tutti e due. — La voce di Magda era dura come il ferro. — Io voglio salvarti, Linc, ma tu devi aiutarmi. Non voglio che Monel prenda il comando. Non voglio che scelga un’altra sacerdotessa. Solo io devo essere la sacerdotessa, qui. È Jerlet che lo vuole.
Linc si sentì raggelare. — Vuoi dire che saresti disposta a farmi scacciare nel buio, fuori, piuttosto che mettere a repentaglio la tua posizione di sacerdotessa?
— È mio dovere farlo. — La sua voce era appena un sussurro ma sempre ferma e decisa.
— No, è soltanto perché lo vuoi — disse con amarezza Linc.
Lei era immobile come una statua. Anche la sua faccia sembrava una maschera di pietra.
Finalmente parlò: — Io sono la sacerdotessa. Vedo il futuro. Leggo nella mente delle persone. Devo continuare a essere sacerdotessa. Nessun altro può e deve sostituirmi in questo compito.
— E allora?
Sempre immobile, Magda rispose con voce atona, che sembrava venire da lontano. — Ti porteranno davanti a me perché ti giudichi del delitto di aver toccato le macchine.
Lui non disse niente.
— Se confessi, e non parli dello schermo, e dici che hai eseguito gli ordini di Jerlet, io mi mostrerò misericordiosa. Monel non oserà insistere di farti gettare fuori… per questa volta. Ma se insisti a dire che puoi parlare con Jerlet accendendo gli schermi, e che sei capace di aggiustare tutte le macchine…
Non finì la frase.
— E la tua visione del futuro? — obiettò lui. — Dicevi che avrei incontrato Jerlet… e Peta.
Magda annuì lentamente.
— Questo significa che sarò scacciato come Peta.
— Non costringermi a farlo, Linc. Ti prego, non costringermi.
Lui non rispose.
Dopo un lungo silenzio, Magda si alzò e uscì, lasciandolo solo.
Rimase seduto sulla cuccetta ancora per pochi minuti.
Adesso sono tutti in refettorio a mangiare, pensò. Sapeva cosa doveva fare. Di punto in bianco la decisione gli era apparsa chiara come le istruzioni sullo schermo.
La visione di Magda era vera. Andrò a cercare Jerlet.
Aprì la porta e sbirciò nel corridoio. Era vuoto. In punta di piedi percorse il corridoio fino al suo posto di lavoro al compartimento di distribuzione dell’energia elettrica. Raccolse alcuni arnesi: un coltello che aveva ricavato da un cacciavite, un pezzo di tubo metallico, una bobina di filo. Erano i soli oggetti che pensava avrebbero forse potuto tornargli utili nel lungo tragitto su verso la regione dell’assenza di peso.
Arrivò fin quasi al portello che dava nel tubo-tunnel senza incontrare nessuno. Ma, all’improvviso, si imbatté in una coppia che stava nella nicchia in cui era incassato il portello, invisibile dal corridoio principale e non illuminata dalle luci del soffitto. I due rimasero altrettanto sorpresi quanto lui.
— Ehi, ma cosa… — gridò il ragazzo sussultando quando Linc gli finì inavvertitamente addosso.
— Oh… scusa — disse Linc.
La ragazza era ancora più scossa. — Perché non stai attento… ma di’ un po’ — aggiunse avendolo riconosciuto. — Dove stai andando? C’è una riunione fra poco. Ti devono giudicare.
— Io non ci vado — disse lui cercando di passare oltre.
— Non puoi scappare — ribatté il ragazzo afferrandolo per un braccio. — Monel ti vuole…
Linc si liberò dalla stretta. — Non scappo. Vado su a cercare Jerlet. Di’ a Monel che tornerò.
I due lo fissarono sbalorditi mentre apriva il portello e passava dall’altra parte. Quando si voltò a chiuderlo, l’ultima cosa che vide furono le loro facce sbalordite.
Il tunnel era buio. Linc attraversò il pianerottolo di metallo e si chinò sulla ringhiera. Gli scalini salivano a spirale girando intorno alle pareti circolari del tunnel fino a perdersi nell’oscurità.
Quant’era lunga la scala? Riuscirò a salire tanto in alto da raggiungere Jerlet? si chiese Linc.
Mentre cominciava a salire si disse: «Dev’essere possibile. Magda non avrebbe mandato qui Peta se la scala non arrivasse fino a Jerlet».
Improvvisamente gli venne fatto di pensare che era digiuno e non aveva cibo con sé. Veramente, per il momento non aveva fame. Più che altro era eccitato e curioso. Ma se ci volesse molto tempo per arrivare fin lassù? Potrei morire di fame.
Si strinse nelle spalle e continuò a salire. No, la visione di Magda diceva che avrei trovato Peta e Jerlet. Non morirò di fame.
Il sonno si fece sentire prima della fame. Linc salì finché le gambe non lo ressero più, e gli occhi non riuscivano a star aperti. Cercò il modo di uscire dal tunnel. Non voleva dormire in quel tubo di metallo, freddo e buio. Potevano esserci topi, o altre cose, esseri sconosciuti, ancora più pericolosi.
Il primo portello che tentò di aprire non cedette ai suoi sforzi. Salì fino al pianerottolo successivo. Anche qui il portello era chiuso, ma aveva un finestrino da cui entrava una luce giallognola. La stella gialla! È sempre più vicina.
Guardando attraverso il finestrino vide che il corridoio dalla parte opposta del portello era gravemente danneggiato. Ampi squarci si aprivano nelle pareti, da cui si vedevano le stelle. Non era possibile vivere là. Era come stare nel buio del vuoto esterno. Neanche la stella gialla, pur così vicina, riusciva a scaldarlo.
Il portello del pianerottolo successivo era aperto e Linc entrò vacillando nel corridoio. Era intatto e faceva perfino caldo. Lungo le pareti c’erano lunghe file di porte. Ubriaco di sonno, Linc arrancò fino alla prima e l’aprì.
Era un piccolo vano, dove si erano accumulate la polvere e la sporcizia dei secoli. Alla luce proveniente dal corridoio, Linc trovò l’interruttore e accese la luce. Nessuno era entrato in quel locale da chissà quanti anni. Lo spesso strato di polvere era intatto. Non c’erano nemmeno le minuscole orme dei topi. Linc sospirò soddisfatto. Lì sarebbe stato al sicuro. Chiuse la porta, spense la luce e si sdraiò sul pavimento sporco. Nonostante l’acre odore della polvere si addormentò immediatamente.
Fu svegliato da un sogno.
Si alzò a sedere di scatto, tremante, in un bagno di sudore. Aveva urlato, nell’incubo, e aveva ancora la bocca aperta, ma adesso ne usciva solo qualche colpo di tosse soffocato. Il sogno svanì dalla sua mente, e invano cercò di ricordarlo. Sapeva solo che era terrorizzato perché qualcuno o qualcosa lo stava inseguendo.
Tossendo ancora per via della polvere, si alzò e uscì dallo stanzino. Pochi minuti dopo era di nuovo nel tubo-tunnel, rabbrividendo di freddo. Toccò la parete di metallo. Era così gelida che gli bruciò i polpastrelli.
Su, sempre più su. A furia di salire sulla spirale gli vennero le vertigini e dovette mettersi a sedere su un gradino per riprendere fiato. Ma il freddo penetrava attraverso la tuta sottile e fu costretto a riprendere la salita. Il moto lo scaldava. Ma lo stomaco cominciava a protestare. Era vuoto da troppo tempo.
Una volta, quando si fermò, udì un lieve rumore, come di zampette che raschiassero il metallo con le unghie. Erano molte. A causa degli echi del tunnel non avrebbe saputo dire se il rumore proveniva dall’alto o dal basso. Estrasse dalla borsa appesa alla cintura il pezzo di tubo e l’impugnò saldamente. Ma gli tremava la mano, e non solo per il freddo.
Riprese a salire, ma più lentamente, fermandosi spesso ad ascoltare. Il rumore sembrava ogni volta più vicino. Batté col tubo sui gradini, e il rumore metallico sulle prime lo impaurì tanto era rimbombante. Seguì qualche minuto di silenzio assoluto, poi i topi tornarono.
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