— Non posso dirlo. — Nora sussultò. — Mi stai facendo male.
— Allora di’ che ti fidi di me.
— Mi fido di te. Ecco, è fatto. Rimani fermo un momento. È questo, dunque, il sesso?
— Non l’hai mai avuto prima?
— All’accademia una volta, per una scommessa. Non era così.
— Ti senti bene?
— Sono comoda. Procedi pure, Abelard.
Ma adesso la sua curiosità si era destata. — Ti hanno fatto anche l’analisi del piacere? Io l’ho avuta una volta. Un esercizio d’interrogatorio.
— Certo che l’hanno fatto. Ma non era niente di umano, solo pura estasi. — Stava sudando. — Su, tesoro, dài.
— No, aspetta un momento. — Ammiccò più volte, mentre lo stringeva alla vita. — Capisco cosa vuoi dire. Questo è stupido, vero? Siamo già amici.
— Ti voglio, Abelard!
— Abbiamo dimostrato quello che volevamo. Inoltre, io sono sudicio.
— Non me ne frega niente di quanto tu sia sporco! Per l’amor di Dio, spicciati!
Allora cercò di favorirla e proseguì con movimenti meccanici per circa un minuto. Lei si morse il labbro e gemette per l’anticipazione del culmine, gettando la testa all’indietro. Ma ormai, per lui tutto il significato se n’era sgusciato fuori.
— Non posso continuare — disse. — Non vedo proprio perché dovremmo darci tanto da fare.
Cercò di pensare a qualcosa di eccitante. Il solito umido turbinio d’immagini erotiche della sua mente gli pareva astratto e remoto, come qualcosa fatto da un’altra specie. Pensò alla sua ex moglie. Il sesso con Alexandrina era stato qualcosa del genere, un atto di cortesia, un obbligo.
Lindsay rimase immobile, lasciando che lei sbattesse contro di lui. Finalmente, un grido di disperato piacere le sfuggì dalle labbra.
Lui si scostò, asciugando il sudore sul collo e sul viso di Nora con la manica della camicetta. Lei gli sorrise timidamente,
Lindsay scrollò le spalle. — Capisco il tuo punto di vista. È uno spreco di tempo. Potrei avere dei problemi a convincere gli altri, ma se riuscirò a ragionare con loro…
Lei lo fissò famelica. — Ho commesso un errore. Non avrebbe dovuto essere così orribile per noi. Adesso mi sento egoista, dal momento che non hai avuto niente.
— Mi sento benissimo — insisté Lindsay.
— Hai detto che mi amavi.
— Quando l’ho detto erano soltanto gli ormoni a parlare. Naturalmente ho un profondo rispetto per te, un sentimento di cameratismo… Mi spiace di avertelo detto. Perdonami. Non lo intendevo, naturalmente.
— Naturalmente — lei gli fece eco, infilandosi la camicetta.
— Non essere amareggiata — disse ancora Lindsay. — Io sono contento che sia accaduto. Adesso lo vedo in un modo in cui non l’avevo mai visto prima. L’amore… non ha sostanza. Potrebbe essere giusto per altra gente, altri posti, un altro tempo.
— Non per noi.
— No. Adesso mi fa sentire a disagio, l’aver ridotto i nostri negoziati ad uno stereotipo sessuale. Devi averlo trovato insultante. E scomodo.
— Mi sento male — lei disse.
ESAIRS XII
24-2-’17
— Adesso stai bene, eh? — disse il Presidente, arricciando il suo naso da pugile. — Non più quelle fesserie sul fatto che noi avremmo essiccato la nostra virilità.
— No, signore, no. — Lindsay scosse il capo, rabbrividendo. — Adesso sto meglio.
— Basta così. Slegalo, Secondo Deputato.
La donna disfece le corde di Lindsay, staccandolo dalla parete della caverna.
— Ora ne sono uscito — disse Lindsay. — Adesso lo capisco, ma quando quei sopprimenti mi hanno colpito, ogni cosa è diventata limpida come il cristallo. Senza giunture.
— Va bene per te, ma noi qui abbiamo dei matrimoni — dichiarò il Primo Senatore in tono severo. Strinse la mano del Primo Deputato.
— Mi spiace — dichiarò Lindsay, sfregandosi il braccio. — Sono tutti sotto l’effetto di quella roba… qui. Salvo Nora, adesso. Non mi ero mai reso conto di quanto arrivasse in profondità. Questa gente è inflessibile , non hanno quella confusione e quella torbidezza che si accompagnano al sesso. Si adattano gli uni agli altri con la stessa precisione delle ruote dentate. Dovremo sedurli. — Li guardò: il Terzo Senatore con la testa a forma di zucca e i capelli tagliati a spazzola. Il Terzo Magistrato che si curava con calma i denti con l’unghia del pollice scheggiata. — Non sarà facile.
— Rilassati, Segretario di Stato. — Il Presidente lisciò uno dei nastri di plastica rossa della sua manica aperta. — Hai pasticciato già da troppo tempo… e quei fottuti hanno fatto fuori il Dep Tre.
— Non c’è nessuna prova.
— Tu sai che l’hanno ucciso loro. E lo sappiamo anche noi. Tu li hai coperti, ’Stato, e forse questo era giusto, ma significa che tu ci sei dentro fin troppo. Non spetta a noi uccidere tutta questa gente. Se avessimo voluto ucciderli, avremmo tirato fuori dalla Consensus il nostro cannone piazzandolo dentro questa roccia.
— Ma questo è stato il nostro trionfo, il trionfo di tutti. Abbiamo messo a tacere i cannoni dell’Armageddon, no? Dopo questo, qualunque cosa è possibile.
— Dobbiamo eliminare la minaccia, è la nostra missione. È per questo che ci pagheranno i Mech. Abbiamo esplorato, durante tutto il tempo che parlavi. Abbiamo tracciato una mappa delle gallerie. Conosciamo i macchinari quel tanto che basta per distruggerli. Vandalizzeremo questo posto. E poi, via verso i cartelli e la bella vita.
— Li lascerete qui in mezzo alle rovine?
Il Presidente della Camera sogghignò a denti stretti. — Possono avere il nostro cannone. Non ne avremo bisogno dove stiamo andando. — Il Secondo Magistrato toccò il sandalo di Lindsay. — È facile, Segretario di Stato. Saremo nel cartello di Themis ancora prima che tu te ne accorga, a spassarcela in qualche città per i cani solari. Lasceremo stupefatti i Mech con questa operazione. — Tirò la spalla del suo vestito di plastica con una mano coperta da un reticolato di vene. Due dei senatori ridacchiarono.
— Quando? — chiese Lindsay.
— Lo saprai. Nel frattempo basterà che tu tenga giù il coperchio.
— E se uno volesse disertare e venire con noi? — chiese Lindsay.
— Portatela dietro — rispose il Presidente.
ESAIRS XII
1-3-’17
Lindsay si spinse in mezzo al buio, trascinando dietro di sé la cassa da imballaggio. Mentre procedeva, batté contro la roccia. — Paolo! Fazil!
Un tappo di pietra si scostò raschiando, e Paolo comparve nell’arcano bagliore di una candela. Si tirò fuori spingendo con i gomiti, e si sporse verso Lindsay. — Sì. Cosa possiamo fare per te?
— Parliamo dei termini, Paolo.
— È di nuovo la storia di quell’orgia?
— Stiamo per fare un lancio — disse Lindsay. — Indicò con un rapido gesto del pollice la cassa dietro di sé. — Potremmo fare due lanci, se arriviamo a un accordo. — Lindsay sorrise. — Favore per favore, d’accordo? Io vi farò avere il vostro lancio. In cambio voi mi appoggerete nella proposta del Carnevale.
Il volto di Paolo si arricciò in una smorfia. Sfregò delicatamente le pieghe trasudanti sotto il suo mento. — Mercanteggiare il nostro corpo con la nostra arte. Dimenticatene, ’Stato. Gli altri non ci starebbero mai. Riesci a immaginare Kleo… — La voce gli venne meno. — … fra le braccia del capitano di quel rimorchiatore?
— Non ho detto che debba accadere per davvero — replicò Lindsay. — Voglio soltanto che voi acconsentiate ad appoggiarmi. Volete che la testa venga lanciata, oppure no?
Paolo lanciò un’occhiata dietro di sé nella galleria. — Io dico di sì — gli giunse la voce di Fazil.
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