— Sto cercando di salvare le nostre vite, Kleo. Per favore, risparmiami la versione ufficiale. Se Nora ammette la verità, perché non puoi farlo tu?
— Quello che discuti col nostro negoziatore in sessione segreta non ci riguarda, signor Segretario. La Famiglia Mavrides non può riconoscere niente che non sia stato provato.
— È così, allora? — disse Lindsay. — I crimini non esistono al di fuori della vostra ideologia. Vi aspettate che anch’io mi aggreghi a questa finzione, che menta per voi, che vi protegga.
— Noi siamo la tua gente — replicò Kleo, fissandolo con i suoi occhi color nocciola chiaro.
— Ma avete ucciso il mio amico.
— Non è un’incriminazione valida, signor Segretario.
— È inutile — disse Lindsay. Si chinò, afferrò una rosa senza spine e la strappò via con tutte le radici. La scosse: globuli di terriccio umido volarono per la stanza, Kleo sussultò. — Guarda! — esclamò Lindsay. — Non capisci?
— Capisco che sei un barbaro — disse Kleo. — Hai distrutto una cosa bella per far valere un punto in una argomentazione che non posso accettare.
— Cedi un poco — l’implorò Lindsay. — Abbi misericordia.
— Non è questa la nostra missione — gli disse Kleo.
Lindsay si voltò e se ne andò, togliendosi l’appiccicosa tuta spaziale appena oltre la camera di equilibrio.
— Te l’avevo detto di non provarci — disse Nora.
— Ha voglia di suicidarsi — replicò Lindsay. — Perché? Perché la segui?
— Perché ci ama.
ESAIRS XII
23-2-’17
— Lascia che ti parli del sesso — disse Nora. — Dammi la mano.
Lindsay le porse la sinistra. Nora gli strinse il polso, lo tirò in avanti, e infilò il pollice in profondità nella propria bocca.
— Dimmi quello che hai provato.
— Era caldo — rispose Lindsay. — Umido. E così intimo da farmi sentire a disagio.
— È così che si vive il sesso sotto l’effetto dei soppressivi — lei disse. — Noi della Famiglia abbiamo l’amore, ma non l’erotismo. Siamo soldati.
— Allora siete chimicamente castrati.
— Tu hai dei pregiudizi — lei ribatté. — Non l’hai vissuto. È per questo che l’orgia che ci proponi è fuori questione.
— Il Carnevale non è un’orgia — replicò Lindsay. — È una cerimonia. È fiducia, è comunione. Tiene insieme il gruppo, come gli animali che si addossano gli uni agli altri per riscaldarsi.
— È chiedere troppo — lei disse.
— Non vi rendete conto di ciò che è ora in gioco? Non è il vostro corpo che vogliono. Vogliono uccidervi. Odiano le vostre budella sterili. Non sai quanto ho parlato, quanto li ho blanditi per convincerli… Ascolta, loro usano allucinogeni. Durante il Carnevale, il tuo cervello diventa un budino. Non sai cosa sono le tue mani, ancora meno i genitali di qualcun altro… Sei impotente. Tutti sono impotenti, questo è il punto. Niente più giochi, niente più politica, o rango, o rancori. Niente io. Quando esci dal Carnevale, è come il primo giorno della Creazione: tutti sorridono. — Lindsay guardò altrove. — È una cosa autentica, Nora. Non è il loro governo a sostenerli, è solo il cervello. Il Carnevale è il sangue, la colonna vertebrale, l’inguine.
— Non è il nostro mondo, Abelard.
— Ma se poteste unirvi a noi, anche soltanto una volta, per poche ore! Dissolveremmo queste tensioni, ci fideremmo veramente gli uni degli altri. Ascolta, Nora, il sesso non è una specie di manufatto. È vero, è umano, è una delle ultime cose che ci rimangono. Oh, che possiate bruciare tutti! Cosa avete da perdere?
— Potrebbe essere un’imboscata — insistette lei. — Potreste deformare la nostra mente con le droghe e ucciderci. È un rischio.
— Certo che lo è. Ma c’è il modo per aggirarlo. — Incrociò lo sguardo con il suo. — Te lo dico sulla base di tutta la fiducia che c’è fra noi. Per lo meno possiamo provare.
— Non mi piace — disse Nora. — Non mi piace il sesso. Specialmente con quelli che non sono stati pianificati.
— Questo, oppure rinvigorire la vostra linea genetica — disse Lindsay. Tirò fuori un’ipodermica piena da dietro il risvolto della giacca e vi applicò l’ago. — Io ho il mio già pronto.
Nora guardò in tralice la siringa, poi tirò fuori la propria. — Potrebbe non avere un effetto troppo piacevole su di te, Abelard.
— Che cos’è?
— Un soppressivo. Con della fenilxantina per esaltare il tuo QI. Così capirai quello che proviamo.
— Questa non è la completa mistura del Carnevale. Soltanto l’afrodisiaco, a metà potenza, e un rilassante muscolare. Penso che tu ne abbia bisogno, da quando ho fracassato il granchio spinale. Mi sembri nervosa.
— Sai anche troppo bene quello che mi serve.
— Così siamo in due. — Lindsay tirò su la manica floscia della propria giubba. — Ecco, Nora: adesso potresti uccidermi e chiamarla reazione allergica, stress, qualsiasi cosa. — Fissò gli sgargianti tatuaggi sulla pelle del suo braccio. — Non farlo.
Lei condivideva i suoi sospetti. — Stai registrando?
— Non permetto che ci siano nastri nella mia stanza. — Tirò fuori un paio di lacci emostatici da un armadietto in styrene e ne passò uno a Nora.
Strinse il laccio intorno al proprio bicipite, e lei fece lo stesso. Con le maniche arrotolate all’insù, aspettarono con calma che le loro vene si gonfiassero. Era il momento più intimo che avessero mai avuto insieme. Questo pensiero lo eccitò.
Lei gli fece scivolare la propria ipodermica nel cavo del gomito, e trovò la vena grazie all’improvvisa rosetta di sangue alla radice dell’ago. Lui fece la stessa cosa. Si guardarono negli occhi e premettero gli stantuffi.
Il momento passò. Lindsay ritirò l’ago e premette un tamponcino di plastica sterile contro la puntura di lei. Poi lo fece sulla propria. Allentarono i lacci.
— Pare che nessuno di noi due stia morendo.
— È un buon segno — annuì Lindsay. Buttò da parte i lacci. — Finora tutto bene.
— Oh. — Lei socchiuse gli occhi. — Mi sta facendo effetto. Oh, Abelard.
— Come ti senti? — Le prese la spalla fra le mani. Il legamento tra l’osso e il muscolo parve ammorbidirsi a quel contatto. Lei stava respirando affannosamente, le labbra dischiuse, gli occhi incupiti.
— Mi pare di fondermi — disse.
La fenilxantina colpì lui per primo. Si sentiva come un re. — Non mi faresti mai dal male — dichiarò. — Siamo due dello stesso genere, tu ed io.
Disfece i lacci e le sfilò la camicetta, poi le fece sgusciar via i calzoni dalla parte dei piedi. Le lasciò i sandali. I suoi indumenti sbatterono in aria quando li buttò via. Rotearono lentamente, a mezz’aria.
L’attirò a sé con occhi avvampanti.
— Aiutami a respirare — lei bisbigliò. Il rilassante le era arrivato ai polmoni. Lindsay le prese il mento fra le mani, le aprì la bocca, e chiuse le proprie labbra intorno ad essa. Soffiò con delicatezza e sentì le costole di lei che si espandevano contro il suo petto. La testa di Nora ciondolò all’indietro; i muscoli del suo collo erano come cera. Agganciò le proprie gambe intorno a quelle di lei, dall’interno, e respirò per lei.
Nora lasciò che le proprie braccia andassero pigramente alla deriva intorno al suo collo. Tirò indietro la bocca di una frazione di centimetro. — Prova adesso.
Tentò di penetrarla. Malgrado la propria eccitazione, fu inutile; gli afrodisiaci non avevano ancora fatto effetto su di lei. — Non farmi male — disse.
— Ti voglio — disse Lindsay. — Appartieni a me, non a quegli altri.
— Non dire questo — replicò lei. — Questo è un esperimento.
— Per loro, forse. Non per noi. — La fenilxantina l’aveva reso certo, e spericolato nella sua certezza. — Il resto non ha importanza. Ucciderò chiunque di loro, basterà che tu mi dica di farlo. Ti amo, Nora. Dimmi che mi ami.
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