Il Supremo Magistrato era avvinghiato alla consolle che gli arrivava alla cintura, intento a controllare le trasmissioni che giungevano dallo spazio profondo. Il Supremo Magistrato era di gran lunga il più vecchio membro dell’equipaggio. Non partecipava mai al Carnevale. Questo, la sua età e il suo ufficio facevano di lui l’arbitro imparziale dell’equipaggio.
Lindsay parlò ad alta voce accanto agli auricolari dell’uomo. — Nessuna notizia?
— L’assedio è ancora in corso — disse il mech, senza nessuna accentuata soddisfazione. — I Plasmatori resistono. — Fissò con sguardo vacuo i quadri di comando. — Continuano a vantarsi della loro vittoria nella Concatenazione.
Il Secondo Magistrato entrò nella cabina di comando.
— Chi vuole un po’ di ketamina?
Il Primo Deputato si tolse i video-occhialoni.
— È buona?
— Freschissima, appena uscita dal cromatografo. L’ho appena fatta io.
— Ai miei tempi la Concatenazione era una vera potenza — dichiarò il Supremo Magistrato. Con gli auricolari infilati e i video-occhialoni, non aveva né visto né sentito le due donne. Qualcosa nella trasmissione che aveva seguito aveva smosso qualche strato profondo di antica indignazione. — Ai miei tempi la Concatenazione era l’intero mondo civilizzato.
Per lunga e acquisita abitudine le due donne lo ignorarono, alzando le loro voci. — Insomma, quanto? — domandò il Primo Deputato.
— Quarantamila al grammo? — propose il Giudice.
— Quarantamila? Te ne darò venti.
— Suvvia, ragazza, mi hai fatto pagare ventimila soltanto per farmi le unghie.
Lindsay ascoltava con mezzo orecchio, chiedendosi se avrebbe potuto inserirsi anche lui in quel genere di affari. La DMF aveva ancora le proprie banche, e malgrado la sua valuta fosse enormemente inflazionata, era ancora in circolazione come valuta legale esclusiva di undici miliardari. Lindsay, sfortunatamente, come membro cadetto dell’equipaggio, era già sprofondato nei debiti. — Mare della Serenità — disse il vecchio. — La Repubblica Corporativa. — D’un tratto fissò Lindsay con occhi grigi come la cenere. — Mi dicono che tu hai lavorato per loro.
Lindsay fu colto di sorpresa. I tabù non scritti della Red Consensus cancellavano ogni discussione sul passato. Il volto del vecchio mech si era illuminato d’uno sconsiderato riflusso di ricordi. Decenni di quella medesima espressione avevano scavato solchi profondi nei suoi antichi muscoli facciali e nella sua pelle altrettanto antica. Il suo volto era una maschera impenetrabile.
— Sono stato laggiù soltanto per un breve periodo — mentì Lindsay. — Non conosco bene gli ormeggi lunari.
— Io ci sono nato.
Il Primo Deputato lanciò un’occhiata allarmata in direzione del vecchio. — D’accordo per i quarantamila — si affrettò a concludere. Le due donne se ne andarono dirette al laboratorio. Il Presidente sollevò sulla fronte i suoi video-occhialoni. Fissò sardonicamente Lindsay, poi alzò deliberatamente il volume della cuffia. Gli altri due, il Secondo Deputato e il brizzolato Terzo Magistrato, ignorarono l’intera situazione.
— Ai miei tempi la Repubblica aveva un sistema — proseguì il vecchio mech. — Famiglie politiche. I Tyler, i Kelland, i Lindsay. Poi c’era una sottoclasse di profughi che avevano accolto, subito prima dell’Interdetto con la Terra. I plebei, li chiamavano. Sono stati gli ultimi a lasciare il pianeta, subito prima che le cose andassero a rotoli. Così, loro non avevano niente. Noi avevamo i kilowatt in tasca, e le grandi dimore. E loro soltanto piccole catapecchie di plastica.
— Eri un aristocratico? — chiese Lindsay. Non poteva trattenere la sua interessata curiosità.
— Mele — disse il vecchio Mech con voce triste. La parola suonò carica di nostalgia. — Mai mangiato una mela? Sono una specie di tumore vegetale.
— Credo di sì.
— Uccelli. Parchi. Erba. Nuvole. Alberi. — Il braccio destro del vecchio mech, un lavoro di protesi, ronzò sommessamente quando colpì uno scarafaggio sbalzandolo via dalla consolle con un dito dai tendini di cavo metallico. — Sapevo che ci avrebbe causato dei guai quella faccenda con la plebe… una volta ho perfino scritto un dramma sull’argomento.
— Un dramma? Per il teatro? Come si chiamava?
Una vaga sorpresa trasparì negli occhi del vecchio. — La Conflagrazione.
— Tu sei Evan James Tyler Kelland! — sbottò Lindsay. — Io… ah… ho notato il tuo dramma. Negli archivi. — Evan Kelland era il pro-prozio di Lindsay. Un oscuro radicale. Il suo dramma di protesta sociale era rimasto nel dimenticatoio per anni fino a quando Lindsay, alla ricerca di armi, l’aveva trovato nel Museo e riportato alla luce, mettendolo in scena per infastidire i Vecchi Radicali. Gli uomini che avevano esiliato Kelland erano ancora al potere, dopo cento anni, sostenuti dalle tecnologie mech. E quand’era arrivato il momento giusto, avevano esiliato anche lui, Lindsay.
D’un tratto si ricordò che adesso erano nei cartelli. Constantine, il discendente della plebe, aveva fatto un patto con le teste di cavo. E alla fine l’aristocrazia l’aveva pagata, come Kelland aveva profetizzato. Lindsay, ed Evan Kelland, avevano soltanto pagato in anticipo.
— Ti è capitato di vedere il mio lavoro — disse Kelland. Il sospetto aveva trasformato le rughe del suo viso in profondi crepacci. Guardò altrove: i suoi occhi grigio-cenere erano pieni di dolore e di oscure umiliazioni. — Non avresti dovuto fare supposizioni.
— Mi spiace — disse Lindsay. Fissò con rinnovato timore il braccio meccanico del suo vecchio consanguineo. — Non parleremo più di questa faccenda.
— Sarà meglio. — Kelland alzò il volume degli auricolari e il suo furore parve perdere slancio. I suoi occhi tornarono ad essere pacati e incolori. Lindsay guardò gli altri deliberatamente ciechi dietro ai loro video-occhiali. Niente di tutto quello che aveva appena vissuto era successo.
A bordo della Red Consensus
27-10-’16
— Problemi di sonno, cittadino? — chiese il Secondo Magistrato. — Quegli steroidi si muovono sotto la tua pelle, calpestano il tuo periodo dei sogni. Posso rimediare? — La donna sorrise, esibendo tre antichi denti scoloriti in mezzo ad una rastrelliera di lucida porcellana.
— Lo apprezzerei molto — rispose Lindsay, in preda a una lotta interiore per mostrarsi cortese. Gli steroidi avevano rivestito le sue braccia di corde di muscoli, avevano rimarginato la costellazione di lividi causata dalle continue esercitazioni allo jujitsu e l’avevano riempito di lampi incandescenti di furore aggressivo. Ma l’avevano derubato del suo sonno, consentendogli soltanto dei febbrili pisolini.
Mentre guardava il medico di Fortuna con gli occhi arrossati, questi gli ricordò la sua ex moglie. Alexandrina Lindsay aveva avuto proprio la stessa precisione in quei movimenti da bambola di porcellana, la stessa pelle simile alla pergamena, le stesse rughe rivelatrici dell’età sulle nocche delle dita. Sua moglie aveva avuto ottant’anni. E, nell’osservare il Giudice, Lindsay si sentì soffocare da un’attrazione sessuale di seconda mano.
— Questo andrà bene — disse il Secondo Magistrato, aspirando una siringa di fluido fangoso da una fiala dal coperchietto di plastica. — È un promotore REM, serotonina agonista, muscolo-rilassante, e giusto un spruzzo di mnemonici per sbarazzarsi dei ricordi inquietanti. L’uso sempre anch’io; è favolosa. Mentre sei privo di sensi, ti pergameno l’altro braccio?
— Non ancora — fece Lindsay, digrignando i denti. — Non ho ancora deciso cosa ci voglio sopra.
Il Secondo Magistrato mise via la sua apparecchiatura per il tatuaggio con una piccola smorfia di disappunto. Pareva vivere, mangiare e respirare aghi, pensò Lindsay. — Non ti piace il mio lavoro? — gli chiese la donna.
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