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Fred Hoyle: A come Andromeda

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Fred Hoyle A come Andromeda
  • Название:
    A come Andromeda
  • Автор:
  • Издательство:
    Giangiacomo Feltrinelli
  • Жанр:
  • Год:
    1965
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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«Salve,» disse a Judy. «Tutto bene?»

Era il giovanissimo assistente. Sembrava che la situazione lo divertisse.

«Ecco i vostri lasciapassare.» Judy li restituì a Osborne e a Reinhart e diede all’operatore quello di Fleming. Fleming si levò il cappello ficcandolo in testa al giovanotto. «Ecco cosa portano gli alti papaveri.»

«Non è necessario che faccia tutta questa scena,» disse Osborne a disagio, tenendo d’occhio la porta, mentre l’operatore indossava il soprabito e prendeva la borsa di Fleming. Perfino con il bavero rialzato era evidentemente diverso dalla persona che era entrata prima, ma, come disse Judy, non era una notte in cui ci si vedesse gran che, e con lei a rassicurarle, le sentinelle si sarebbero limitate a contarli.

Non appena il ragazzo fu pronto, Osborne aprì la porta. «Dipende da lei che tutto vada bene,» disse a Fleming. «Ha un test di controllo?»

Fleming trasse di tasca un blocco ben noto e aspettò che se ne andassero.

«Ritornerò,» disse Judy, «non appena li avrò accompagnati oltre il posto di guardia.»

Fleming parve sorpreso. «Non tornerai, lo sai bene.»

«Mi spiace,» intervenne Osborne, «è una delle condizioni.»

«Non voglio nessuno…»

«Non fare lo sciocco, John,» ribatté Reinhart, e lo lasciarono.

Fleming si diresse all’unità di controllo e la guardò torvo, quasi ridacchiando tra sé per pura tensione nervosa: poi si mise al lavoro all’unità di entrata, battendovi le cifre che erano sul blocco che aveva portato con sé. Aveva quasi finito quando Judy rientrò.

«Cosa fai?» chiese. Anche lei era nervosa, anche se sollevata per avere portato oltre il posto di controllo l’assistente.

«Sto cercando di sistemarlo.» Batté l’ultimo gruppo di cifre. «Lo stesso vecchio trucco della formula andrà bene, per cominciare.»

Ci volle qualche minuto prima che il calcolatore reagisse, poi le lampade di controllo cominciarono a lampeggiare violentemente. Rimasero in ascolto, aspettando il rumore della stampatrice, ma udirono invece dei passi che si avvicinavano lungo il corridoio. Judy rimase immobile, radicata a terra, paralizzata, fino a che Fleming l’afferrò per un braccio trascinandola nell’oscurità del laboratorio da dove potevano vedere senza essere visti attraverso lo spiraglio della porta. I passi dietro l’entrata della sala di controllo si fermarono. Videro girare la maniglia della doppia porta, poi questa si aprì e dal corridoio entrò André.

Judy diede un piccolo grido che venne soffocato dal ronzio del calcolatore, e la stretta di Fleming sul suo braccio si fece ancora più forte, a metterla in guardia. Da dove si trovavano, potevano vedere André chiudere la porta e camminare lentamente verso i dispositivi di controllo. Sembrava che il lampeggiare e il ronzare della macchina la stupissero e a pochi passi di distanza dal quadro di controllo si fermò, assolutamente immobile. Indossava una vecchia giacca a vento con il cappuccio abbassato e sotto la dura luce delle lampade sembrava particolarmente bella e decisa; ma il suo volto era teso e dopo qualche minuto i muscoli attorno alle labbra e alle tempie cominciarono a contrarsi, sotto la crescente agitazione dei suoi nervi. Avanzò, lenta e riluttante, verso il quadro, poi si fermò di nuovo, come se potesse preavvertire una reazione violenta che ne sarebbe venuta. Come se ne conoscesse i segni premonitori e ciò nonostante fosse magnetizzata dalla macchina.

Il viso ora le luccicava di sudore. Fece un altro passo avanti e lentamente alzò le mani verso i terminali. Judy, nonostante tutto il suo odio, sentì dolorosamente l’impulso a correre verso di lei, ma Fleming la trattenne. Davanti ai loro occhi la ragazza si sollevò lentamente, piena di paura, a toccare le piastre di contatto.

Il primo grido di lei e quello di Judy furono simultanei. Fleming posò una mano sulla bocca di Judy ma il grido di André continuava, continuava, diventando un gemito quando la freccia del voltmetro si abbassava e tornando a risuonare fortissimo quando era sul massimo.

«Per l’amor di Dio!» balbettò Judy nella mano di Fleming. Lottò per liberarsi, ma egli la tenne stretta sino a che le grida di André cessarono e la macchina, sentendo forse che la ragazza non rispondeva più, lasciò andare la presa e André scivolò a terra. Judy con fatica riuscì a liberarsi e corse verso di lei, ma questa volta non sentì alcun gemito; non respirava, non dava segni di vita. Le esaminò gli occhi, ma erano vitrei, e la bocca era socchiusa, immobile.

«Temo che sia morta,» riuscì solo a dire Judy, sentendosi impotente.

«Cosa credevi?» Fleming era alle sue spalle. «Hai visto il voltmetro. È tutto successo perché non era riuscita a liberarsi di me… Perché io stavo eliminandola. Povera piccola.»

Abbassò lo sguardo sul corpo rattrappito, nella giacca a vento grigia, macchiata, e gli occhi gli si indurirono. «Farà meglio la prossima volta. Produrrà qualcosa contro cui non riusciremo mai a spuntarla.»

«A meno che tu non trovi cos’è che non funziona.» Si girò, sollevò il blocco di Fleming dall’unità di entrata e glielo diede.

Fleming glielo strappò di mano e lo scaraventò attraverso la stanza.

«È troppo tardi ormai! Non c’è niente in questa macchina che non funzioni.» Indicò la figura raggomitolata di Andromeda. «Ecco la sola risposta di cui ho bisogno. Domani la macchina chiederà un altro esperimento, e dopodomani… ancora.»

Si diresse con decisione ai terminali d’allarme vicino alle doppie porte, afferrò il collegamento con entrambe le mani e tirò. Cedettero ma non si spezzarono; allora Fleming mise un piede contro il muro per fare forza.

«Cosa fai?»

«Voglio farla finita con questa macchina. E questo è il momento. Forse il solo momento.» Tirò di nuovo i fili e poi ci rinunciò e si precipitò verso l’ascia antincendio che pendeva accanto a loro, al muro. Judy gli si gettò contro.

«No!» Gli si attaccò al braccio ma lui con un movimento laterale la spinse via e con il movimento di ritorno abbatté la scure contro i fili recidendoli: poi si girò ed esaminò con uno sguardo la stanza. Il quadro di controllo lampeggiava ancora a grande velocità: Fleming gli si avvicinò e lo frantumò con l’ascia.

«Sei impazzito?» Judy gli corse dietro una seconda volta e, afferrata l’ascia per il manico, cercò di strappargliela. Lui la fece ruotare e liberò l’arma dalla mano di lei.

«Lascia andare. Ti ho detto di non impicciarti.»

Lo guardò: lo riconosceva a fatica; aveva il viso coperto di sudore, come la ragazza, e pieno di rabbia e decisione. In quel momento Judy capì che questo Fleming aveva avuto in mente fin dal principio.

«Ecco cosa volevi fare.»

«Se fosse stato necessario.»

Si fermò, con l’ascia in mano, guardando meditabondo attorno e Judy capi che doveva arrivare alla porta prima di lui; ma fu lui a vincere e poggiò il dorso alla porta, con la stessa espressione ferma e il cupo accenno di un sogghigno agli angoli della bocca. Judy pensò che fosse davvero impazzito, ora. Sollevò una mano a toccare l’ascia, e gli parlò come a un bambino.

«Per piacere, John, dammela.» A sentirlo ridere sussultò. «Hai promesso.»

«Non ho promesso niente.» Stringeva con forza il manico e con l’altra mano chiuse a chiave la porta alle proprie spalle.

«Griderò,» disse lei.

«Provaci.» Si fece scivolare la chiave in tasca. «Non ti sentiranno mai.»

La spinse da parte, camminò a gran passi verso l’ala della memoria, aprì il fianco dell’unità più vicina e la colpì; quando la cavità sottovuoto venne invasa dall’aria si sentì una cupa esplosione.

«John!» Lui già si dirigeva all’unità successiva; cercò di fermarlo.

«So quel che faccio,» rispose, aprendo la parte laterale e colpendola con l’ascia. Un’altra piccola esplosione di qualcosa che andava in frantumi provenne dall’apparecchio. «Pensi che capiterà mai un’altra occasione del genere? Vuoi andare a fare la spia? Se pensi che io mi comporti in modo errato, vai.»

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