«Io verrei con voi in capo al mondo, mio signore, e vedrei volentieri le meraviglie che vivono nelle profondità marine, ma come io dimentico che voi siete un dio, voi dimenticate che io non lo sono», fece notare Mina, sorridendo. «Io so nuotare, ma non molto bene. Quanto a trattenere il respiro...»
Chemosh rise. «Non ti serve nuotare, Mina. E neanche trattenere il respiro. Tu camminerai con me sul fondo marino come cammini sul pavimento della tua camera da letto. Respirerai l’acqua così come respiri l’aria. Il peso dell’acqua ti sarà lieve sulle spalle quanto un mantello di pelliccia.»
«Allora voi mi trasformerete in un dio, mio signore», lo canzonò Mina.
La risata di Chemosh si interruppe. L’espressione nei suoi occhi era profonda e insondabile, più tenebrosa delle profondità marine.
«Non posso farlo, Mina. Perlomeno, non ancora.»
Mina avvertì un’improvvisa fitta di paura, un terrore che le scioglieva le ossa, come quello che aveva provato sull’infida scalinata spezzata del Bastione della Tempesta, guardando giù lontano verso le rocce frastagliate e affilate come rasoi e l’acqua schiumante e famelica. Le si serrò la gola; il cuore le rabbrividì. Ebbe voglia, all’improvviso, di girarsi e scappare, correre via. Non aveva mai provato un terrore così, nemmeno quando il feroce drago Malys stava calando in picchiata su di lei dai cieli da cui pioveva sangue, nemmeno quando la Regina Takhisis, mortalmente pazza, avanzava a grandi passi verso di lei, con l’intento di strapparle la vita.
Mina fece un passo indietro, ma Chemosh la trattenne.
«Che cosa c’è, Mina? Che ti succede?»
«Io non voglio essere un dio, mio signore!» gridò Mina, lottando, cercando di liberarsi della sua presa.
«Tu volevi il potere, Mina, il potere sulla vita e sulla morte...»
«Ma non così! Voi dimenticate, mio signore», protestò, «che io ho toccato la mente di un dio. Io ho guardato dentro quella mente, ho visto l’immensità, il vuoto, la solitudine! Non posso sopportare...».
Le parole le si congelarono sulle labbra. Mina guardò Chemosh con terrore. Proprio lei, che aveva tradito i segreti più intimi di lui.
«Io ero solo, Mina», mormorò Chemosh. «Io ero vuoto. Poi ho trovato te.»
La strinse fra le braccia. La premette contro di sé, corpo contro corpo, carne mortale contro carne di dio resa mortale. Chemosh mise la bocca su quella di lei, con le labbra ansiose e calde. La trascinò giù sulla sabbia, i suoi baci si riversarono come melassa sulla paura di lei, celando il suo terrore sotto la dolcezza di lui che le arrivava densa in bocca. Mina si consumò nell’amore di lui finché della sua paura rimase soltanto il ricordo e le carezze di lui ben presto lo dissiparono nell’ardore.
La marea si alzò mentre loro erano distesi fra le dune sabbiose. Le onde lambirono loro i piedi, poi le caviglie. L’acqua del mare si insinuò attorno a loro, liscia e morbida come lenzuola di seta. Le onde ricoprirono le spalle di Mina. I suoi capelli rossi le si appiccicarono alla carne bagnata. Mina sentì in bocca il sale e tossì.
Chemosh la strinse. «Il prossimo bacio che ti darò, Mina, porterà via il tuo respiro di mortale. Ti sentirai soffocare per un istante, ma solo per un istante. Io ti insufflerò nei polmoni il respiro degli dèi. Fintanto che sarai sott’acqua, il mio respiro ti sosterrà. L’acqua sarà per te ciò che adesso è l’aria.»
«Capisco, mio signore», rispose Mina. I suoi capelli turbinavano nell’acqua, una fiamma immersa nel sangue.
«Non sono sicuro che tu capisca, Mina», disse Chemosh, guardandola intensamente. «L’acqua sarà per te come l’aria. Ciò significa che l’aria sarà come l’acqua. Quando ti avrò fatto questo, se risalirai alla superficie, annegherai.»
Per tutta risposta, Mina accostò le labbra alle sue, chiuse gli occhi e lo strinse forte. Lui la afferrò, la premette contro di sé e mettendo la bocca su quella di lei aspirò l’aria da quel corpo, le risucchiò la vita dai polmoni.
L’acqua si sollevò sopra la testa di Mina. Lei non riusciva a respirare. Ansimò alla ricerca di aria, ma nella bocca le entrò acqua. Mina si sentì soffocare, strozzare. Chemosh la tenne forte. Lei cercò di non opporsi, ma non poté farne a meno. L’istinto di sopravvivenza del suo corpo fu più forte del suo cuore. Lottò per divincolarsi dalla presa del dio, ma lui era troppo forte. Le dita di Chemosh le si conficcavano nella carne e nei muscoli e nelle ossa, le gambe di lui la inchiodavano giù sott’acqua.
«Mi sta uccidendo», pensò Mina. «Mi ha mentito...»
Il cuore le palpitava, il petto le ardeva. Spaventose esplosioni di stelle le oscuravano la vista. Mina si dimenò nella stretta di Chemosh e ansimò, e l’acqua le entrò nei polmoni e nel corpo mentre il mare si faceva sempre più alto, dondolandola dolcemente. Mina era troppo stanca per lottare, così chiuse gli occhi e si offrì a quella tenebra tinta di sangue.
Mina si destò in un mondo che non aveva mai conosciuto la luce del sole, un mondo di notte profonda ed eterna.
L’acqua marina premeva su di lei, la circondava, l’avvolgeva e l’abbracciava. La spingeva e la tirava, con un movimento continuo. Non vi era né su né giù. Niente sotto i suoi piedi né sopra la testa per orientarsi. Era alla deriva, da sola.
Mina poteva respirare l’acqua altrettanto bene quanto prima respirava l’aria; per lo meno cercò di convincersi che era così. Si sentiva soffocare, mezzo asfissiata. Dentro di lei si agitava il panico. All’improvviso temette di rimanere intrappolata per sempre in quella tenebra opprimente e liquida. Il suo impulso fu di nuotare fino alla superficie, ma si costrinse ad abbandonare quell’idea. Non aveva idea di dove fosse la superficie, e agitandosi nell’acqua avrebbe potuto affondare di più anziché risalire.
Non riusciva a chiamare Chemosh. Non riusciva a gridare o a urlare. L’acqua inghiottiva la sua voce. Si sforzò di vincere il senso di panico, cercò di rimanere calma, rilassata.
«Ho percorso i luoghi tenebrosi di Krynn», si disse Mina. «Ho percorso i luoghi tenebrosi della mente di un dio. Io non sono sola...»
Una mano toccò la sua. Mina strinse quella mano con gratitudine, la tenne forte.
«Non hai avuto paura, vero?» le chiese Chemosh, con tono mezzo canzonatorio e mezzo serio. «Puoi parlare, Mina. Ricordati, l’acqua è per te come l’aria. Parla. Io sentirò le tue parole.»
«Stavo per dire che se ho avuto paura è solo perché la paura è la maledizione dei mortali, mio signore», rispose Mina.
«È vero», concordò Chemosh, con un tono diventato severo. «La paura conferisce ai mortali buoni istinti.»
«Qualcosa non va, mio signore?»
«C’è un’agitazione, un’energia che non c’era quando sono venuto qui appena un anno fa. Potrebbe non avere nulla a che fare con la nostra caccia al tesoro, però non mi piace. Ha l’odore di un dio.»
«Zeboim?» domandò Mina.
Chemosh scrollò il capo. «Lo pensavo anch’io, e sono ritornato alla superficie. Non si radunano nubi temporalesche, non ululano venti sferzanti. Il mare è così piatto che gli uccelli incominciano a costruirsi nidi sull’acqua. No, quello che non va è qua sotto; non è colpa di Zeboim.»
«Quali altri dèi potrebbero essere all’opera nel mare, mio signore?»
«Habbakuk domina le creature marine. Non mi preoccupo di lui, però. È indolente e pigro, come ci si potrebbe aspettare da un dio che passa il tempo fra i pesci.»
Si interruppe per ascoltare. Anche Mina ascoltò ma, nonostante ciò che aveva detto Chemosh, aveva gli orecchi ostruiti dall’acqua. Non udiva niente tranne il suono del proprio sangue pulsante e la voce del dio.
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