Margaret Weis - Ambra e cenere

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La Guerra delle Anime si è finalmente conclusa. La lotta per la supremazia che gli dei hanno combattuto senza esclusione di colpi con le armi della magia ha lasciato il continente di Ansalon nella più completa desolazione e sovvertito i precedenti equilibri di potere. Mina, una misteriosa donna-guerriero, non si rassegna tuttavia alla propria sconfitta e stringe un patto con il diavolo. Mentre un culto satanico si diffonde e minaccia un mondo già fragile e provato, i nostri eroi, un eccentrico monaco e un kender in grado di comunicare con i defunti, si alleano per arginare le forze del maligno.

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«Dovreste portarla via, adesso, sceriffo», suggerì.

«Vieni, Atta», chiamò Gerard, impartendo il comando che Rhys gli aveva insegnato. «Vieni con me.»

Atta guardò Rhys. «Vai con Gerard, Atta», gli ingiunse Rhys, con un gesto con la mano, mandando via la cagna.

Atta lo guardò ancora una volta, poi, con la testa e la coda penzoloni, obbedì. Consentì a Gerard di condurla via. Lo sceriffo ritornò, scrollando il capo.

«L’ho riportata alla taverna. Spero che stia bene. Laura le ha offerto del cibo, ma lei non ha voluto mangiare.»

«È un animale sensibile», disse Rhys. «Datele del lavoro per tenerla occupata e tornerà presto in sé.»

«Avrà lavoro in abbondanza con tutti quei kender che sciamano qui per vedere la moria di pesci. Allora voi due ve ne andate. Quando partite?» domandò Gerard.

«Nightshade e io dovremo prima far visita alla prigioniera e poi ce ne andremo.»

«Alla prigioniera?» Gerard era sbalordito. «Quella pazza? Volete vederla di nuovo?»

«Presumo che sia ancora lì», disse Rhys.

«Oh, sì. Mi pare di non riuscire a sbarazzarmi di lei. Perché volete vederla, fratello?» domandò Gerard con curiosità sfacciata.

«A quanto pare ritiene che io possa esserle di aiuto», rispose Rhys.

«E il kender? Anche lui l’aiuta?»

«Io sono un influsso incoraggiante», spiegò Nightshade.

«Non è necessario che ci accompagniate, sceriffo», soggiunse Rhys. «Ci serve soltanto il vostro permesso di entrare nella sua cella.»

«Credo che farei meglio a venire con voi. Giusto per accertarmi che non vi succeda niente. A nessuno di voi.»

Rhys e Nightshade si scambiarono occhiate.

«Dobbiamo parlare con lei in privato», disse Rhys. «La questione è confidenziale. Di natura spirituale.»

«Pensavo che non foste più un monaco di Majere», disse Gerard, rivolgendo a Rhys un’occhiata penetrante.

«Ciò non significa che non posso più assistere chi è turbato», ribatté Rhys. «Per favore, sceriffo. Soltanto alcuni istanti con lei da soli.»

«E va bene», concesse Gerard. «Non vedo come possiate cacciarvi troppo nei guai chiusi a chiave in una cella di prigione.»

«La sa lunga», disse malinconicamente Nightshade.

Dentro il carcere, Nightshade dovette fermarsi a dire qualche parola ai kender. Rhys rimase preoccupato nell’udire Nightshade rivolgere loro quello che sembrava un addio definitivo. Quando il kender mise le mani nelle sacche, preparandosi a distribuire tutte le sue ricchezze terrene (l’equivalente di un testamento per i kender), Rhys afferrò Nightshade per il colletto e lo trascinò via.

Gerard fece un gesto verso la porta della cella. «Non si è mai mossa dal letto», riferì. «Non vuole mangiare. Rimanda via il cibo senza averlo assaggiato. Avete visite, signora», gridò, aprendo la porta.

«Era ora», disse Zeboim, tirandosi su a sedere sul letto.

Si tirò indietro il cappuccio. Gli occhi verde mare luccicarono intensamente.

Rhys spintonò Nightshade, facendolo entrare nella cella, e lo seguì.

Gerard chiuse la porta della cella e inserì la chiave nella serratura. Non la girò ma lasciò la chiave dov’era. Si fermò un attimo ad ascoltare. I tre tenevano bassa la voce, e comunque lui aveva promesso di concedere loro riservatezza.

Scrollando il capo, Gerard se ne andò a passare qualche momento col carceriere.

«Quanto tempo concedete loro, sceriffo?» domandò il carceriere.

«Il solito. Cinque minuti.»

Sulla scrivania vi era una piccola clessidra. Il carceriere la rovesciò, affascinando grandemente i kender, che spuntarono con teste, braccia, mani e piedi fra le sbarre per avere una visuale migliore del procedimento, continuando a tempestare Gerard di domande, la principale delle quali era quanti granelli di sabbia vi fossero nella clessidra, e offrendosi, poiché lui non lo sapeva, di contarli rapidamente.

Gerard ascoltò le lamentele del carceriere riguardo ai kender, lamentele che lui esprimeva quotidianamente, e osservò la sabbia scendere nella clessidra, rimanendo in ascolto di eventuali rumori di trambusto dal fondo del corridoio.

Era tutto silenzioso, però. Quando dal collo sottile della clessidra cadde l’ultimo granello, Gerard urlò: «È ora», e avanzò a passi pesanti lungo il corridoio.

Girò la chiave nella porta e la spinse per aprirla. Si fermò, guardò.

La donna pazza era distesa sul letto, col cappuccio sulla testa, il viso verso la parete. Con lei non c’era nessuno.

Nessun monaco. Nessun kender.

La porta della cella era stata chiusa a chiave. Lui aveva dovuto girare la chiave per entrare. C’era un’unica via d’uscita dal corridoio ed era vicino a lui, e nessuno gli era passato accanto.

«Ehi, voi!» disse alla donna pazza, scrollandola per le spalle. «Dove sono andati?»

La donna fece con la mano un gesto lieve, come per scacciare un insetto. Gerard volò fuori della cella finendo nel corridoio, dove si schiantò contro la parete.

«Non toccarmi, mortale!» disse la donna. «Non toccarmi mai.»

La porta della cella si chiuse di schianto.

Gerard si tirò su. Aveva sbattuto la testa contro il muro, e la mattina dopo sulla spalla avrebbe avuto un livido gigantesco. Con una smorfia di dolore, rimase a fissare la porta della cella. Strofinandosi la spalla, si girò e percorse a passi pesanti il corridoio.

«Lascia liberi i kender», gridò.

I kender si misero a gridare e a strillare. Le loro urla acute avrebbero potuto incrinare la pietra massiccia. Gerard sussultò a quel frastuono.

«Fai come ti dico», ordinò al carceriere. «E alla svelta. Non preoccuparti, Smythe. Io ho un cane meraviglioso che mi aiuterà a tenerli in riga. Il cane ha bisogno di fare qualcosa. Sente la mancanza del suo padrone.»

Il carceriere aprì la porta della cella e i kender sciamarono gioiosamente verso la luce vivida della libertà. Gerard diede un’occhiata alla cella in fondo al corridoio.

«Credo che sentirà la mancanza del suo padrone per molto, ma molto tempo.»

6

Il Vortice del Mare di Sangue di Istar. Un tempo i marinai ne parlavano sottovoce, se ne parlavano. Un tempo il Vortice era una spirale di distruzione, fauci roteanti di morte rossa che afferravano tra i denti le navi e le inghiottivano intere. Una volta fuori da quelle fauci si poteva udire il tuono delle voci degli dèi.

«Guardate questo, mortali, e constatate la nostra potenza.»

Quando il Re-Sacerdote di Istar osò, nella sua arroganza, considerarsi un dio, e il popolo di Istar si inchinò a lui, i veri dèi di Krynn scagliarono su Istar una montagna infuocata, distruggendo la città e trasportandola lontano, sotto il mare. Le acque dell’oceano assunsero un colore marrone rossastro. I saggi affermavano che quel colore provenisse dal terreno sabbioso del fondo marino. La maggior parte della gente riteneva che la sfumatura rossa provenisse dal sangue di coloro che erano morti nel Cataclisma. Quale che ne fosse la causa, il colore diede il nome al mare. Da allora venne chiamato Mare di Sangue.

Sul luogo del disastro gli dèi crearono un vortice. Quell’immenso gorgo tinto di sangue aveva lo scopo di tenere lontano chi avrebbe potuto disturbare il luogo di riposo definitivo dei morti e di servire da costante promemoria ai mortali riguardo alla potenza e alla maestà degli dèi. Temuto e rispettato dai marinai, il Vortice era uno spettacolo terrificante e spaventoso, le cui acque rosse roteanti scomparivano in una voragine infernale di tenebra. Una volta intrappolati nelle sue spire, non vi era via di fuga. Le vittime erano trascinate al loro destino sotto i mari impetuosi.

Poi Takhisis si impadronì del mondo. Senza l’ira degli dèi ad agitarlo, il Vortice prese a ruotare sempre più lentamente e poi si fermò del tutto. Le acque del Mare di Sangue divennero placide come quelle di qualunque laghetto di campagna.

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