Margaret Weis - Ambra e ferro

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La vita sul mondo di Krynn è in rapida evoluzione e persino gli dei ne rimangono sconcertati. Che dire allora dei mortali? Di fronte a forze apparentemente invincibili, una piccola ma determinata banda di avventurieri pone in atto un disperato tentativo di arrestare un’invasione. Mina, enigmatica come sempre, riesce a fuggire dalla sua prigione sottomarina e parte per una ricerca che metterà a dura prova la sua forza di volontà, mentre il male sembra diffondersi inesorabilmente...

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«Io sono Chemosh, Signore della Morte, e chi» soggiunse il dio, con occhio torvo, «sei tu?».

Rhys si alzò in piedi, facendo sferragliare le catene attorno a sé, e si inchinò con riverenza. Avrà anche aborrito Chemosh per il male che apportava al mondo, però lui era un dio e davanti a questo dio l’intera umanità doveva un giorno presentarsi.

«Io mi chiamo Rhys Mason, mio signore.»

«Non mi interessa affatto come ti chiami!» disse stizzoso Chemosh. «Tu sei l’amante di Mina! Ecco chi sei!»

Rhys guardò il dio con uno stupore tanto profondo che non gli venne in mente nessuna risposta da poter offrire a questa accusa sbalorditiva.

Chemosh stesso parve avere un ripensamento. Il Signore della Morte si guardò attorno in quella grotta spoglia, notando le catene e i resti untuosi della carne di maiale salata, l’acqua fetida e il fetore nauseabondo, poiché Rhys non poteva andare da nessuna parte per fare i suoi bisogni se non nella grotta.

«Questo non è precisamente quello che definirei un nido d’amore», osservò Chemosh. «E nemmeno», scrutò Rhys con ripugnanza, «tu mi impressioni molto come amante.»

«Io sono un monaco di Majere, mio signore», disse Rhys.

«Questo lo vedo», disse Chemosh, arricciando il labbro nel dare un’occhiata alla veste sbrindellata di Rhys che in quella luce misteriosa aveva assunto una sfumatura arancione. «L’interrogativo allora diventa: se tu non sei l’amante di Mina, che cosa sei per lei? Mina ha portato qui te: un monaco macilento e pulcioso.» Chemosh si avvicinò. «Perché?»

«Dovete domandarlo a lei, mio signore», disse Rhys.

Aveva parlato con fermezza, anche se gli ci era voluto uno sforzo. Tenendo stretta la scheggia di legno del bastone, Rhys in silenzio chiese a Majere di dargli coraggio. Il suo spirito poteva accettare l’inevitabilità della morte, ma la sua carne mortale rabbrividiva e lo stomaco gli si stringeva.

«Perché tu dovresti esserle fedele?» domandò Chemosh, irato. «Perché tutti le sono fedeli? Io giuro sul Dio Supremo che ci ha creati e sul Chaos che ci annienterà che io non capisco!»

La sua furia investì la caverna come un vento caldo. Sudando, Rhys si conficcò nei palmi della mano la punta aguzza della scheggia, usando il dolore per impedirsi di crollare.

«Mina ti incatena a una parete e ti tormenta: vedo il segno della sua ira sulla tua guancia. Ti ha lasciato qui a morire di fame oppure...»

Chemosh si interruppe, osservò attentamente Rhys. «Ha intenzione di ritornare. Per torturarti. Perché? Tu hai qualcosa che lei vuole. Questo è il motivo. Che cos’è, Rhys Mason? Deve essere di grande valore...»

Rhys avrebbe potuto fornire la spiegazione, ma andava contro tutte le sue convinzioni. L’anima di un uomo è sua, insegnava Majere. I suoi misteri possono essere svelati oppure no, a sua scelta. Mina, per qualunque ragione, aveva scelto di mantenere il proprio segreto. Non l’aveva detto a Chemosh. Anche se l’anima di Mina poteva essere nera per i suoi crimini, quell’anima era sua. Il segreto doveva svelarlo lei, non lui.

Rhys rimase in silenzio. Gli colava sangue lungo il palmo della mano e fra le dita serrate.

«La tua carne può sfidarmi», disse Chemosh, con l’alito freddo come aria che fuoriuscisse da una tomba. «Ma il tuo spirito no. I morti non possono mentirmi. Quando la tua anima sarà davanti a me nella Sala delle Anime di Passaggio, tu mi dirai tutto ciò che sai.»

Allora andrete incontro a una triste delusione, mio signore, pensò mestamente Rhys, poiché in verità io non so niente.

Chemosh si avvicinò, con la mano tesa. «Ti ucciderò rapidamente. Non soffrirai, come ti capiterebbe per mano di Mina.»

Rhys fece un breve cenno del capo per rassegnazione. Il cuore gli batteva rapido; aveva la bocca secca. Non riusciva più a parlare. Inspirò, indubbiamente per l’ultima volta, e si fece coraggio. Chiudendo gli occhi, per cancellare il terrore di quel dio tremendo, affidò il proprio spirito a Majere.

Sentì la benedizione del dio scorrere in lui, e con quella benedizione giunsero una serenità estatica e un abbaiare.

L’abbaiare di un cane. Subito fuori della grotta. E con l’abbaiare di Atta giunse la voce acuta di Nightshade.

«Rhys! Siamo tornati! Ehi, ho incontrato il tuo dio! Mi ha dato la sua benedizione...»

Rhys aprì gli occhi. La serenità defluì da lui.

Chemosh si voltò per metà, guardò verso l’ingresso della grotta. «Che cosa c’è? Un kender e un cane?»

«I miei compagni di viaggio», disse Rhys. «Lasciateli andare, mio signore. Sono innocenti, coinvolti per caso in questa storia.»

Chemosh parve affascinato. «Il kender afferma di avere incontrato il tuo dio...»

«È un kender, mio signore», disse disperato Rhys.

In quel momento inopportuno Nightshade urlò: «Ehi, Rhys, sono venuto a trattare con quella persona Mina!». La sua voce e i suoi passi riecheggiarono in tutta la grotta. «Atta, non così veloce!»

«Trattare con Mina?» ripeté Chemosh. «Non mi sembra tanto innocente. Sembra che adesso avrò due anime da interrogare...»

«Nightshade!» gridò Rhys. «Non entrare qui! Scappa! Prendi Atta e...»

«Silenzio, monaco», ordinò Chemosh, e con la mano chiuse la bocca di Rhys.

Il freddo della morte pervase le membra di Rhys. Quel freddo terribile era come un afflusso di frammenti di ghiaccio nel sangue. Un dolore freddo e lancinante gli sconvolgeva il corpo. Rhys gemette e si dibatté.

Il Signore della Morte lo tenne stretto, il suo tocco crudele gli gelava il sangue. Rhys crollò in ginocchio.

Atta schizzò dentro la cavità. Vide il suo padrone in ginocchio, evidentemente in pericolo, e un uomo chino su di lui. Ad Atta non piaceva quest’uomo. In lui vi era qualcosa di sinistro, qualcosa che la spaventava. L’uomo non aveva alcun odore, tanto per cominciare. Ogni creatura viva e ogni creatura morta hanno un odore, alcune piacevole, altre non tanto, ma non quest’uomo, e la cosa la spaventava. L’uomo era, sotto questo aspetto, come quella donna chiassosa e antipatica proveniente dal mare, e come il monaco che aveva appena imposto su di lei mani delicate. Nessuno di loro aveva odore, e la cagna trovava tutto questo misterioso e terrificante.

Atta era spaventata. Il suo cuore semplice tremava. L’istinto la sollecitava a voltarsi e scappare, ma questo strano uomo stava facendo del male al suo padrone, e questo non si poteva permettere. Il cuore le si gonfiò di furia, e Atta balzò all’attacco. Non puntò alla gola, poiché l’uomo le dava le spalle, chino sopra Rhys. Atta cercò invece di azzoppare il nemico. La saggezza tramandatale dall’antico antenato, il lupo, le diceva come abbattere un nemico più grosso: puntare alla gamba. Spezzare l’osso o tranciare un tendine.

Atta affondò i denti nella caviglia di Chemosh.

L’aspetto di un dio è formato dall’essenza del dio intessuta in un’immagine che alla mente degli uomini appare quella di un mortale. L’aspetto è visibile all’occhio dei mortali, è percepibile al tatto di un mortale. L’aspetto del dio può parlare ai mortali, udirli e reagire a loro. Poiché l’aspetto è costituito da essenza immortale, non percepisce dolore né sensazioni piacevoli della carne. Il dio spesso finge di sì, per apparire ai mortali maggiormente simile a un vivente. Nel caso di Chemosh e del suo amore per Mina, il dio può perfino persuadersi a credere a questa menzogna.

Chemosh non avrebbe assolutamente potuto sentire i denti aguzzi di Atta stringergli la gamba, ma li sentì. In verità, i denti percepiti da Chemosh non erano quelli della cagna. Erano i denti dell’ira di Majere. Fu così che la dragonlance di Huma, benedetta da tutti gli dèi del bene, inferse all’aspetto di Takhisis un colpo che lei percepì e che la costrinse a ritirarsi dal mondo, sputando e ringhiando in segno di sfida. Gli dèi hanno il potere di infliggersi a vicenda dolore, anche se sono riluttanti a farlo, poiché ciascun dio conosce le conseguenze terribili che potrebbero derivare da una simile azione. Gli dèi ricorrono a simili misure drastiche solo quando è loro chiaro che l’equilibrio sta per essere rovesciato, poiché il Chaos è subito oltre, in attesa ansiosa dello scoppio della guerra nei cieli. Quando ciò accadrà, gli dèi si annienteranno a vicenda e daranno al Chaos la vittoria da tempo cercata: la fine di tutte le cose.

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