Margaret Weis - Ambra e ferro

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La vita sul mondo di Krynn è in rapida evoluzione e persino gli dei ne rimangono sconcertati. Che dire allora dei mortali? Di fronte a forze apparentemente invincibili, una piccola ma determinata banda di avventurieri pone in atto un disperato tentativo di arrestare un’invasione. Mina, enigmatica come sempre, riesce a fuggire dalla sua prigione sottomarina e parte per una ricerca che metterà a dura prova la sua forza di volontà, mentre il male sembra diffondersi inesorabilmente...

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Alle sue spalle la porta cigolò nell’aprirsi.

«Chemosh!» disse Mina con gioia accorata. «È venuto da me!»

Mina in un attimo fu di nuovo nella sua camera, di nuovo nella sua prigione. Con le braccia tese, si girò per accogliere il suo amato, pronta a gettarsi ai suoi piedi e a implorare il suo perdono.

«Mio signore...» gridò.

Le parole le morirono sulle labbra. La gioia le morì nel cuore.

«Krell», disse, e non fece alcuno sforzo per mascherare il proprio disprezzo. «Che vuoi?»

Il cavaliere della morte entrò nella stanza sferragliando pesantemente. La testa munita di elmo, decorato con le corna di ariete incurvate, la guardava con occhi lascivi. Quegli occhi suini fiammeggiavano.

«Ucciderti.»

Krell chiuse la porta con un calcio. Estrasse la spada dal fodero e avanzò verso di lei.

Mina si drizzò, lo affrontò con sdegno. «Il mio signore non ti permetterà di toccarmi!»

«Al tuo signore non importa un culo di topo di te», la schernì Krell. «Avanti. Invocalo. Vedi se ti risponde.»

Mina rammentò lo sguardo di odio che Chemosh le aveva rivolto, rammentò che lui l’aveva scacciata dalla sua presenza, si era perfino rifiutato di ascoltarla. Si immaginò di invocare il suo aiuto e udì nel proprio cuore il silenzio riecheggiante del rifiuto di Chemosh.

Questo non poteva sopportarlo.

Krell l’aveva minacciata in precedenza, ma le sue minacce erano state semplici spavalderie e spacconate. Non aveva osato farle del male fintanto che Chemosh la proteggeva. Questa era un’occasione per Krell. Lei era sola e inerme. Non aveva armi. Nemmeno preghiere, poiché Chemosh le aveva voltato le spalle.

Mina perlustrò la stanza alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che potesse usare a propria difesa. Non che potesse fare qualche differenza. La spada più affilata mai costruita non avrebbe potuto neanche ammaccare l’armatura del cavaliere della morte.

Mina non intendeva però morire senza combattere. La sua anima sarebbe andata con orgoglio alla Sala delle Anime di Passaggio. Chemosh non si sarebbe vergognato di lei.

Anche Krell si guardava attorno nella camera, ma non per lo stesso motivo.

«Da dove viene quella strana luce?» domandò. «Hai dato fuoco a qualcosa?»

Su un tavolo vi era un candeliere; era fatto di ferro contorto, con un piede artigliato e tre mani simili ad artigli che reggevano le candele. Era grosso e pesante. Il problema era che si trovava a diversi passi da lei.

«Sì», disse Mina. «Ho evocato uno spiritello del fuoco.»

Indicò una parte della stanza dall’altro lato rispetto al candeliere.

«Uno spiritello del fuoco!» Soltanto Krell ci sarebbe cascato. Ruotò la testa.

Mina balzò verso il tavolo e si tuffò per prendere il candeliere. Strinse le mani attorno alla base e lo sollevò e, oscillando nel girarsi, colpì con tutta la propria forza l’elmo di Krell.

L’ultima volta che aveva lottato con Krell nel Bastione della Tempesta, gli aveva staccato la testa dalle spalle. Quella volta Chemosh era con lei.

Questa volta nessun dio parteggiava per lei. Nessun dio combatteva per lei.

Il candeliere di ferro si schiantò contro l’elmo di Krell, ma il colpo non gli fece nulla. Forse non lo sentì nemmeno. L’urto del colpo e il contatto feroce col cavaliere della morte fecero vibrare le braccia di Mina dal polso alla spalla, paralizzandola momentaneamente. Il candeliere le scivolò dalle mani che le si erano all’improvviso intorpidite.

Krell si girò di nuovo verso di lei. Le afferrò il braccio, glielo torse e la scagliò contro il muro. Mina restò senza fiato per il dolore ma non urlò. Lui la circondò con le braccia, cosicché lei non poteva scappare. Krell spinse la testa munita di elmo vicino a lei. Mina vedeva il vuoto all’interno e sentiva il fetore nauseabondo della corruzione e della morte.

«Vorrei essere un uomo vivo», disse Krell, gongolando sopra di lei. «Mi divertirei un po’ con te prima di ucciderti, proprio come ai vecchi tempi. Mi piaceva vedere la paura nei loro occhi. Sapevano che cosa avrei fatto a loro, e strillavano e pregavano e imploravano per salvarsi la miserabile vita, e io dicevo loro che se avessero fatto le brave bambine e mi avessero lasciato divertire con loro le avrei lasciate vivere. Mentivo, naturalmente. Quando avevo finito, stringevo loro le mani al collo (avevano un collo morbido e snello, come il tuo) e le strozzavo.»

Prese ad accarezzarle il collo con una forza dolorosa.

«Immagino che dovrò accontentarmi di strozzarti.»

Le sue dita le si chiusero attorno al collo e presero a stringere.

La furia (ardente e arroventata e dal sapore amaro) ribolliva nel profondo di Mina. La luce d’ambra le ardeva negli occhi. Una luce d’ambra le proruppe dalla punta delle dita. Mina afferrò i polsi di Krell, gli strappò via le mani dal proprio collo e lo scaraventò via da lei.

«Uomo vivo!» gridò, e la sua furia scosse le mura del castello. «Tu vuoi essere un uomo vivo! Io esaudisco il tuo desiderio!»

Puntò il dito contro Krell, e la luce d’ambra lo inondò. Krell urlò e prese a dimenarsi dentro l’armatura, e all’improvviso l’armatura andò in pezzi e scomparve.

Ausric Krell era davanti a lei, con la carne nuda che tremava, il corpo nudo che rabbrividiva. Gli occhietti suini erano iniettati di sangue, contornati di bianco, e la fissavano con uno stupore terrorizzato.

«Inginocchiati davanti a me!» comandò Mina.

Krell crollò bocconi afflosciandosi ai suoi piedi.

«D’ora in poi sarai al mio servizio!» gli disse Mina.

Krell borbottò qualcosa di inintelligibile.

Mina lo scalciò e lui gridò di dolore.

«Sì, sì! Sarò al tuo servizio!» gemette Krell.

Mina superò Krell, che si faceva piccolo per la paura, e avanzò a grandi passi verso la porta. La toccò e la porta esplose con una fiammata color ambra. Mina attraversò la pioggia di tizzoni e uscì nel corridoio buio. Guardò una parete di pietra e questa si fuse; comparve una scala di pietra. Mina salì la scala che procedeva a spirale, conducendo su verso i bastioni.

«Riferisci al mio signore Chemosh, quando ritorna», la voce di Mina risuonava negli orecchi di Krell, «che sono andata a prendere ciò che desidera il suo cuore.»

Krell rimase accasciato e apatico a terra. Era terrorizzato ad aprire gli occhi per paura di vedere Mina. Alla fine però il pavimento di pietra cominciò a fargli male sulle ginocchia ossute. Il freddo gli provocava la pelle d’oca sulle braccia nude e gli faceva raggrinzire le parti intime. Krell si pizzicò il braccio ed emise un guaito, quindi gemette e imprecò.

Non c’era da dubitarne. Di mezza età, con i capelli grigi e la calvizie incipiente, la pelle giallastra e il ventre floscio, aveva visto avverarsi il suo desiderio.

Krell era di nuovo un uomo vivo.

11

Mentre Ausric Krell se la passava molto male dentro il Castello dei Prediletti, Nightshade se la passava ancora peggio al di fuori.

Avrebbe dovuto riconoscere subito i morti viventi discepoli di Chemosh. Se avesse prestato attenzione, avrebbe notato che i due uomini (quelli che lui aveva sperato fossero stati mandati dal dio a salvare Rhys) in cammino lungo la strada non erano affatto uomini. In loro non vi era nessun bagliore confortante, nessuna luce di vita che ardesse dentro di loro. Non erano altro che forme nella notte. Atta lo sapeva. Il suo abbaiare era stato un avvertimento, non un benvenuto. Adesso la cagna se ne stava tremante al suo fianco, ringhiando a denti sbarrati.

I due Prediletti si fermarono. Fissarono Nightshade con i loro occhi vuoti, e lui incominciò a sentirsi a disagio. Non sapeva bene perché, anche se più o meno si ricordava di avere sentito da Gerard qualcosa riguardo al marito di una tizia fatto a pezzi. Ma all’epoca stava pensando a che cosa ci sarebbe stato per cena e non vi aveva prestato attenzione.

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