Camminare per Cormanthor con un elfo morto o moribondo tra le braccia non era probabilmente una buona idea, ma al momento El non aveva alcuna alternativa. Con un grugnito il principe di Athalantar si mise sulle spalle quel corpo slanciato e leggero e iniziò a salire verso la cresta del pendio, avanzando cautamente tra le felci per evitare di cadere sul terreno sconnesso. D’un tratto udì varie urla alle sue spalle, al che abbozzò un sorriso e si girò.
I ruukha lo stavano inseguendo, alcune pietre gli caddero vicino, e una lancia sibilò tra le felci al suo fianco. El scelse un punto ed effettuò la seconda delle cinque mosse dell’incantesimo.
D’un tratto si ritrovò nel mezzo di una schiera di hobgoblin grugnenti e frenetici, con l’elfo che gravava sulle sue spalle. Ignorando le imprecazioni improvvise e le grida di sorpresa, El ruotò su un tallone per trovare un altro luogo adatto in cui farsi portare dalla magia… laggiù!
Le spade colpirono troppo tardi: il giovane era nuovamente svanito.
Quando la nebbia si dileguò, El udì gridare dietro di lui. I pugnali si erano aperti un varco sanguinoso fra alcuni hobgoblin per raggiungere e circondare il mago nel punto in cui era giunto col secondo balzo, e ora stavano tentando di raggiungerlo nuovamente, vorticando fra il gruppo principale di ruukha. L’Eletto di Mystra constatò che l’avevano di nuovo avvistato: li vide voltarsi, urlare di rabbia e caricare per l’ennesima volta. Allora decise di attenderli con pazienza.
Ora non lanciavano più armi. Non avevano più spade né asce, ma tutti desideravano fare a pezzi quell’umano intruso. El si caricò il mago elfo sulle spalle, attese il momento adatto, e saltò ancora, di nuovo in direzione opposta a quella degli impetuosi ruukha.
Si udirono altre urla quando i pugnali deviarono per seguirlo, e altri hobgoblin caddero a terra. El vide un guerriero dall’andatura appesantita perdere la testa e finire sul terreno senza sapere che cosa l’avesse colpito, poi scalciare debolmente, invano, contro un nemico invisibile, mentre il sangue sgorgava a fiumi dal suo corpo. Molti degli aggressori vacillavano o zoppicavano, ciononostante si voltarono per seguire il nemico in fuga. A Elminster rimaneva un ultimo balzo, ma il giovane decise di risparmiarlo e si voltò per raggiungere a piedi la sommità dell’avvallamento col fardello penzolante. Solo pochi tenaci ruukha si lanciarono all’inseguimento.
El proseguì camminando, in cerca di un punto favorevole dal quale poter individuare un luogo adatto per l’ultimo salto. I ruukha, sempre sulle sue tracce, andavano avanti e indietro, rassicurandosi a vicenda dato che gli umani si stancavano rapidamente: quello, l’avrebbero ucciso dopo il tramonto, se non fosse morto prima.
Elminster li ignorò, scrutando attentamente l’orizzonte. Sembrò trascorrere un’eternità, ma alla fine trovò il luogo che cercava: un fitto gruppo di alberi al di là di un altro avvallamento. Spiccò l’ultimo balzo e si lasciò gli hobgoblin alle spalle, sperando che non lo seguissero.
I pugnali, infatti, si sarebbero presto fusi, e allora avrebbe avuto ben poco con cui lottare.
Fu allora che una voce debole ma acuta gli sussurrò alcune parole all’orecchio in lingua Volgare un po’ scorretta: «Giù. Lascia me: giù! Per favore».
Elminster piantò bene i piedi nella penombra offerta dagli alberi e depose delicatamente l’elfo sul letto di muschio. «Parlo la tua lingua», esclamò poi in elfo. «Sono Elminster di Athalantar, in viaggio per Cormanthor».
Nuovamente gli occhi verdi dimostrarono stupore. «La mia gente ti ucciderà», ribatté il mago elfo con un filo di voce. «Esiste solo un modo affinché tu…»
La sua voce si affievolì, e il giovane principe appoggiò la mano sulla gola affaticata e mormorò frettolosamente le parole del suo unico incantesimo guaritore.
La risposta fu un sorriso. «Il dolore è diminuito, molte grazie», esclamò il mago con più vigore, «ma sto morendo. Sono Iymbryl Alastrarra, di…» Gli si oscurò improvvisamente lo sguardo e afferrò il braccio di Elminster.
El si chinò sopra di lui, completamente impotente, e osservò le lunghe esili dita arrampicarglisi come un ragno tremante su per il braccio, per la spalla, e da lì toccargli la guancia.
Una visione improvvisa divampò nella mente del giovane. Si vide in ginocchio, nello stesso luogo in cui era inginocchiato ora. Sotto di lui non vi era Iymbryl moribondo, ma solo polvere, e nel mezzo una gemma nera scintillante. Nella visione El la prese e con essa si toccò la fronte.
Poi l’immagine svanì, e il principe si ritrovò a guardare il volto sconvolto dal dolore di Iymbryl Alastrarra, labbra e tempie color porpora. L’elfo lasciò cadere la mano, che prese a tremare sulle foglie morte. «Hai… visto?», domandò ansimante.
Cercando di riprendere fiato, Elminster annuì. Il mago elfo ricambiò e sussurrò: «Sul tuo onore, Elminster di Athalantar, non deludermi». Poi fu colto da uno spasmo improvviso e si mise a tremare come una foglia secca, cullata da un vento che in un attimo la spazzerà via. «Oh, Ayaeqlarune!», gridò Iymbryl, senza più vedere l’uomo chino sopra di lui. «Amata! Finalmente ci rincontriamo! Ayaeqlarrr…»
La voce divenne un rantolo, lungo e profondo, simile all’eco di un flauto distante. Il corpo esile ebbe un fremito e poi rimase immobile.
Elminster si chinò più vicino, ma si ritrasse terrorizzato quando la carne sotto le sue mani emise un sibilo bizzarro e collassò in un ammasso di polvere.
Questa si mosse lentamente, e nel mezzo comparve una gemma nera. Proprio com’era accaduto nella visione. El la osservò a lungo, domandandosi a che cosa stesse andando incontro, poi sollevò lo sguardo agli alberi circostanti. Nessun hobgoblin, niente occhi misteriosi. Era solo.
Sospirò, si strinse nelle spalle e raccolse la gemma.
Era calda e liscia, tutto sommato piacevole al tatto, e quando la sollevò emise un suono flebile, come l’eco delle corde di un’arpa. Elminster vi guardò attraverso ma non vide nulla, allora la premette sulla fronte.
Il mondo esplose in un caos vorticante di suoni, di odori e di scene. El stava ridendo con una ragazza elfa in una radura; poi lui diventava la ragazza elfa, e danzava intorno a un fuoco le cui fiamme luccicavano di gemme turbinanti. D’un tratto indossava un’armatura lavorata, montava un cavallo alato e si lanciava tra gli alberi per trafiggere con la lancia un orco rabbioso. Il sangue gli occupò tutta la visuale, poi tremolò e scemò, tramutandosi nella luce rosata dell’alba, splendente tra le guglie di un fiero e meraviglioso castello. Poi si udì parlare una lingua elfa molto antica, forbita e ampollosa, in una corte in cui gli elfi erano agghindati in sete preziose, inginocchiati davanti a ragazze guerriere, protette da armature dallo strano bagliore magico, e sentì la sua voce decretare una guerra di sterminio dell’umanità.
Mystra, aiutami! Che cosa sta succedendo?
Il suo grido disperato sembrò fargli ricordare il suo nome: era Elminster di Athalantar, l’Eletto della dea, ed era stato travolto da una tempesta di immagini. Si trattava dei ricordi della Casata degli Alastrarra. Il pensiero di quel nome lo fece ripiombare in un vortice di migliaia e migliaia di anni, di decreti, di detti familiari, e di luoghi amati. I volti di un centinaio di ragazze elfe – madri, sorelle, figlie, tutte appartenenti alla casata – gli sorrisero, lo chiamarono, e i loro profondi occhi blu risalirono ai suoi come tanti specchi d’acqua in attesa. Elminster venne risucchiato dentro di essi, sempre più in basso: nomi, date e spade scintillanti, simili a sonore frustate nella sua mente.
Perché? gridò, e la sua voce sembrò echeggiare in quel caos fino a infrangersi contro qualcosa di familiare, come un’onda sugli scogli: il volto dell’elfo scomparso ora lo guardava tranquillamente. Alle sue spalle c’era una splendida ragazza elfa.
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