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Эд Гринвуд: Elminster: il viaggio

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Эд Гринвуд Elminster: il viaggio

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Era il tempo in cui il magnifico regno elfo di Cormanthor era dominato dai barbari, draghi malefici governavano i cieli e gli abitanti non nutrivano più fiducia in nessuno. Maghi e guerrieri minacciavano i regni poiché mossi dalla loro arrogante e rozza ignoranza anelavano alla gloria. Accadde in quel tempo che, dopo un interminabile viaggio, Elminster giungesse a Cormanthor, alle Torri del Canto, regno di Eltargrim. In quel luogo Elminster visse per più di dodici estati, dedicandosi allo studio della magia, imparando, grazie all'aiuto di una congrega di maghi sapienti, ad avvertire dentro di sé la forza della magia e a farvi ricorso per dominare il male...

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Di tutti gli occhi che nel locale osservavano stupiti il giovane che si congedava, ve ne erano due, in un angolo lontano, che covavano vendetta. Ma non erano quelli dell’uomo che portava l’anello col serpente.

«Cento rubini», esclamò Surgath con voce roca, facendo scorrere tra le dita una pioggia di gemme scintillanti. «E tutti autentici!» Alzò lo sguardo verso quel bagliore rassicurante, sorrise e rimescolò nuovamente il vaso traboccante di pietre preziose. Anni addietro comprare quell’oggetto gli era costato un valore equivalente a due rubini, ma quella sera valeva ogni scellino di rame speso.

Ancora sorridente, non vide la pietra baluginare una volta, mentre un incantesimo silenzioso ne dirottava il sistema di difesa contro il suo proprietario.

Si udì un grido soffocato, poi lo scheletro del cercatore cadde lentamente di traverso sul letto. Surgath Ilder avrebbe riso per sempre.

Alcuni rubini si ruppero per il calore, e tintinnarono sul pavimento, ridotti ormai a frammenti anneriti. Gli occhi che li osservarono cadere mostrarono una certa soddisfazione, ma la loro bramosia di morte non si era ancora placata. La vendetta poteva, talora, superare le barriere della morte e della tomba.

Un momento dopo la creatura dagli occhi famelici sorrise, alzò le spalle e fece un incantesimo per sottrarre una manciata di quei rubini.

Alla fine tutti dobbiamo morire: perché allora non morire ricchi?

2.

Morte e gemme

La morte del Mago dalle Molte Gemme avrebbe potuto condannare la Casata degli Alastrarra, se non fosse stato per il sacrificio di un uomo di passaggio. Ma ben presto molti elfi del regno avrebbero preferito che quell’uomo avesse sacrificato altro al posto della vita. Secondo alcuni, tuttavia, questi sacrificò davvero anche altre cose.

Shalheira Talandren, Sommo Bardo Elfo di Summerstar Da Spade argentee e notti d’estate : Una storia ufficiosa ma vera di Cormanthor Pubblicata nell’Anno dell’Arpa

Mentre camminava per il bosco infinito, il terreno ricominciò a salire creando, tra gli alberi onnipresenti, dirupi ed enormi strapiombi di roccia ricoperta di muschio. Non vi era alcun sentiero da seguire, ma ora che Elminster si trovava oltre la catena di montagne che segnavano il confine orientale del regno umano di Cormyr, per entrare nel territorio elfo di Cormanthor sarebbe bastato proseguire verso sudest, in direzione degli alberi più alti. Il giovane dal naso aquilino con la bisaccia sulle spalle incedeva dunque con passo costante verso quella destinazione invisibile, sapendo ormai d’esser prossimo alla meta. In quella zona gli alberi erano più vecchi, più imponenti, e dalle loro fronde pendevano viti e muschi. Da molto si era lasciato alle spalle ogni traccia di asce dei boscaioli.

Camminava da giorni, da mesi, ma in un certo senso era lieto che le frecce dei briganti l’avessero privato della sua cavalcatura. Persino nelle terre di Cormyr occupate dagli uomini, ora alle sue spalle, le colline erano tanto impervie e boscose che avrebbe dovuto lasciar andare il cavallo, violando volontariamente le istruzioni di Mystra.

Ancor prima che il terreno l’avesse costretto a tale scelta, avrebbe speso fino all’ultimo centesimo per comprare fieno alla bestia e avrebbe perso tempo ed energie per aprirgli un varco tra la fitta vegetazione: ammesso e non concesso, naturalmente, che il povero animale non si fosse rifiutato d’esser montato in boschi tanto impraticabili. Boschi percorsi da creature che ringhiavano e ululavano nella notte, facendo strillare e gemere le loro prede invisibili.

El si augurò sinceramente di non fare la stessa fine.

Faceva in genere uso di sortilegi che gli permettevano di paralizzare conigli e talora cervi, e di avvicinarvisi abbastanza da usare il coltello. Si stava stancando di macellare bestie per mangiare, dei fruscii e dei richiami costanti che significavano che egli stesso era osservato, della solitudine e della sensazione di isolamento. Talora si sentiva un dardo mal scoccato che sfrecciava ciecamente verso l’ignoto, più che un potente e consacrato Eletto di Mystra. A volte colpiva il bersaglio, ma troppo spesso, sebbene le cose sembrassero abbastanza facili e immediate, prendeva un abbaglio dopo l’altro. Hmm. Nessuna sorpresa che gli Eletti fossero bestie rare.

Senza dubbio, in quel preciso istante, vi erano creature ancora più rare, nascoste tra gli alberi, ed El costituiva la loro preda. Perché Mystra non gli aveva insegnato un incantesimo che lo portasse direttamente nella città di Cormanthor? Il Mar della Luna giaceva da qualche parte alla sua sinistra, e poneva termine al territorio elfo e, se ricordava bene le chiacchiere dei mercanti e le mappe sbirciate ad Hastarl, era collegato da un fiume a un braccio del Mare delle Stelle Cadute, vasto e dalla forma irregolare, che segnava il confine orientale del regno elfo che egli cercava. Le montagne alle sue spalle rappresentavano l’estremità occidentale di Cormanthor; perciò, se avesse proseguito e girato a destra una volta incontrato un fiume, sarebbe entrato in territorio elfo. Trovare la favolosa città al centro del regno era però tutt’altra questione. El sospirò: di notte non vi erano bagliori di torce o altro che indicassero una città lontana, e non aveva più visto un elfo da quando era partito da Athalantar, per non parlare di quando aveva oltrepassato la catena montuosa. Se fosse semplicemente inciampato in una radice avrebbe potuto morire, senza che nessuno, tranne i lupi e le poiane, si fosse accorto di nulla. Se per Mystra era tanto importante che arrivasse alla città, non avrebbe potuto guidarlo in qualche modo? L’inverno poteva coglierlo in cammino, o trovarlo morto da tempo, le sue ossa spezzate e dimenticate da qualche orso-gufo, da qualche peritone, straordinario incrocio tra cervo e uccello, o da qualche ragno gigante!

Elminster continuò a camminare. I piedi iniziarono a fargli tanto male che dimenticò il bruciore delle vesciche scoppiate e della pelle viva: ora sentiva un dolore osseo, profondo. Anche gli stivali non si potevano più considerare tali. Nelle favole l’eroe giungeva alla meta senza ritardi né difficoltà e, quale Eletto di Mystra, lui certamente lo era!

Perché non poteva essere tutto più facile ? pensò, emettendo l’ennesimo sospiro. Mentre il bosco gli scorreva accanto, passo dopo passo, radici ammantate di muschio fuoriuscivano dalla terra dappertutto, come pareti contorte, e la luce solare diretta divenne rara. I cervi, che sollevavano la testa per osservarlo guardinghi da lontano, costituivano ormai una vista comune, e gli innumerevoli fruscii e svolazzamenti nella penombra onnipresente indicavano l’abbondanza di altra selvaggina.

Elminster ignorò la maggior parte delle sporgenze, dei cespugli e dei rampicanti, per paura dei pericoli in agguato e, per evitare d’essere cacciato da qualsiasi essere affamato munito di naso, aveva effettuato un incantesimo che gli permetteva di camminare a pochi centimetri da terra. In tal modo non lasciava tracce del suo passaggio, e poteva mantenersi nelle zone in cui i nodosi giganti della foresta soffocavano gli alberelli e i roveti, e la via era relativamente sgombra. Percorreva molta strada e, di notte, quando la stanchezza si impadroniva di lui, riposava sotto forma di una nube di nebbia sospesa attorno ai rami più alti. Qualcosa o qualcuno lo stava naturalmente seguendo.

Qualcosa di troppo cauto, o troppo astuto, per farsi vedere anche solo per un istante. Una volta Elminster si era reso invisibile, aveva percorso un tratto di strada a ritroso, e aveva trovato tracce del suo inseguitore che deviavano bruscamente per poi terminare in un ruscello. Tutto ciò che l’ultimo principe di Athalantar poté apprendere fu che l’essere che lo stava pedinando era un uomo, o un altro essere simile che aveva due gambe e indossava stivali dalla suola pesante.

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