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Эд Гринвуд: Elminster: il viaggio

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Эд Гринвуд Elminster: il viaggio

Elminster: il viaggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Era il tempo in cui il magnifico regno elfo di Cormanthor era dominato dai barbari, draghi malefici governavano i cieli e gli abitanti non nutrivano più fiducia in nessuno. Maghi e guerrieri minacciavano i regni poiché mossi dalla loro arrogante e rozza ignoranza anelavano alla gloria. Accadde in quel tempo che, dopo un interminabile viaggio, Elminster giungesse a Cormanthor, alle Torri del Canto, regno di Eltargrim. In quel luogo Elminster visse per più di dodici estati, dedicandosi allo studio della magia, imparando, grazie all'aiuto di una congrega di maghi sapienti, ad avvertire dentro di sé la forza della magia e a farvi ricorso per dominare il male...

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«Questo scettro», affermò Surgath, agitandolo – d’un tratto si udì un grido di sorpresa e subito dopo un gran fracasso: Rose era entrata nella stanza con un vassoio di crostate calde, e se l’era rovesciato sui piedi per lo sbalordimento – «fu posto accanto a un signore elfo, credo duemila estati fa, o più. Be’, a lui piaceva impressionare la gente, proprio come ad alcuni cercatori pigri e dalla lingua lunga di mia conoscenza! Infatti riusciva a far fare a questa bacchetta molte cose. Guardate».

Il pubblico incantato lo vide toccare uno degli occhi del drago simultaneamente alla gemma enorme posta all’estremità dello scettro. Una luce balenò quando Surgath lo puntò verso Karlmuth, che piagnucolò e si gettò sul pavimento, tremando di paura.

Surgath reclinò il capo e rise fragorosamente. «Tranquillo, Hauntokh», sogghignò. «Rialzati. Questo è tutto ciò che fa, vedi: emana luce».

Elminster scosse lievemente il capo, sapendo che i poteri dello scettro erano di gran lunga superiori; ma solo un paio di occhi nella stanza notarono la reazione del giovane dalla barba incolta.

Quando il cercatore rivale si risollevò, con gli occhi colmi di rabbia, Surgath aggiunse grandiosamente: «Ah, ma c’è dell’altro».

Premette contemporaneamente l’altro occhio del drago e la gemma all’estremità dello scettro, e un raggio balenò attraverso la stanza e rovesciò il boccale di Elminster. Il giovane lo guardò cozzare contro il muro, e i suoi occhi si socchiusero.

«Non è finita», esclamò Surgath allegramente, mentre il raggio scemava e il boccale rotolava fuori dalla stanza. «Guardate!»

Questa volta toccò la gemma della coda e quella all’estremità: subito apparve una sfera ronzante di luce blu, nella quale vorticavano minuscole scintille.

Il volto del principe di Athalantar si contrasse, e le sue dita iniziarono a muoversi dietro il pezzo di formaggio. Abbassò lo sguardo, come per cercare il boccale, in modo che gli altri non lo vedessero pronunciare le frasi. Doveva controllare rapidamente quell’ultima manifestazione dello scettro, prima che qualcuno si facesse realmente male.

L’incantesimo funzionò, apparentemente inosservato dagli altri ospiti della taverna, ed Elminster si rilassò, emettendo un gran sospiro di sollievo, le tempie madide di sudore. Ma non era ancora finita: doveva togliere lo scettro dalle mani del vecchio. Doveva assolutamente impossessarsene.

«Ora», cantilenò Surgath, «credo che questo giocattolino non sarebbe fuori posto nelle mani di un re, e sto pensando a chi offrirlo. Una volta deciso, dovrò raggiungerlo, effettuare lo scambio e tornare senza essere ucciso o gettato in prigione. È necessario che scelga il re giusto, vedete, perché deve essere in grado di pagarmi almeno cinquanta rubini, e tutti più grandi del mio pollice!»

Il cercatore si guardò intorno compiaciuto, e aggiunse, «Ah, vi avverto: ho scoperto una magia che terrà lontano chiunque cerchi di rubarmelo. Per sempre, se mi intendete».

«Cinquanta rubini», gli fece eco uno degli avventurieri con fare incredulo.

«Dici davvero?», mormorò Elminster, e qualcosa nel suo tono attirò su di lui gli occhi di tutti i presenti. «Lo venderesti, ora, per cinquanta rubini?»

«Be’, ah…», farfugliò Surgath, socchiudendo gli occhi. «Perché, ragazzo? La tua bisaccia è per caso piena di rubini?»

«Forse», rispose El, addentando un pezzo di formaggio tanto nervosamente che per poco non si morse la punta delle dita. «Ti domando nuovamente: la tua offerta è seria?»

«Be’, forse sono stato affrettato», ribatté il vecchio lentamente. «Stavo pensando a più di cento rubini».

«Sì, effettivamente», esclamò Elminster in tono ironico, «si era capito. Bene, Surgath Ilder, compro il tuo scettro, qui e adesso, per cento rubini: tutti più grandi del tuo pollice».

«Hah!» Il cercatore si appoggiò allo schienale della sedia. «Dove prenderebbe cento rubini un giovane come te?»

El si strinse nelle spalle. «Sai… nelle tombe, in posti del genere».

«Nessuno viene sepolto con cento rubini», lo schernì il vecchio. «Raccontane un’altra, ragazzo».

«Va bene, sono l’unico principe sopravvissuto di un ricco regno», cominciò Elminster.

Hauntokh socchiuse gli occhi, ma Surgath rise beffardo. Il giovane si alzò, si strinse nelle spalle e si accinse ad aprire la bisaccia. Vi inserì la mano e ne estrasse un mantello arrotolato, per nascondere la mano vuota, e per celare il gesto che avrebbe scatenato l’incantesimo della «sospensione».

Quando gli avventurieri si protesero per guardarlo da vicino, El srotolò il mantello con un ampio gesto e gemme rosso ciliegia, illuminate dalle fiamme del camino, rotolarono sul tavolo di fronte a lui.

«Prendine una, Surgath», lo invitò gentilmente il giovane. «Controlla tu stesso che siano vere».

Ammutolito, l’uomo si avvicinò e sollevò una pietra alla luce dello scettro. Le sue mani cominciarono a tremare. Anche Karlmuth ne prese una, e la esaminò sospettoso.

Poi, molto lentamente, si sedette al tavolo, di fronte al giovane dal naso adunco, e scrutò la stanza intorno a lui.

El abbassò lo sguardo sulle mani irsute dell’uomo. Sì, il simbolo dell’anello corrispondeva perfettamente a quello dei briganti.

«Sono veri», esclamò rauco Hauntokh. «Sono più veri di quello», aggiunse indicando lo scettro col pollice. Poi guardò il suo ciondolo d’oro e scosse il capo lentamente.

«Ragazzo», esclamò Surgath, «se fai sul serio, questo scettro è tuo».

Uomini e donne si erano alzati in piedi, e osservavano con occhi stralunati le gemme scintillanti sparse sul tavolo. Una delle Spade Scarlatte si avvicinò fino a sovrastare El.

«Mi domando dove un giovane prenda tali ricchezze», esclamò lentamente con tono minaccioso. «Hai altri ciondoli del genere da portare con te lungo la pericolosa strada che conduce alle Rapide?»

Elminster sorrise lentamente, e mise qualcosa nella mano del guerriero.

L’uomo abbassò lo sguardo. Nel suo palmo scintillava un’unica moneta. Una grossa moneta antica di puro platino.

Elminster afferrò lo scettro a mezz’aria, e con l’altra mano invitò Surgath a prendere le gemme dal tavolo. L’uomo non se lo fece ripetere due volte.

Il giovane dal naso adunco lo osservò radunare freneticamente i rubini, poi si protese verso l’avventuriero, e, in un sussurro lieve che venne udito in ogni angolo dell’osteria, affermò, «C’è solo una cosa da non fare, buon uomo, ed è venire a cercarne altri.»

«Eh?», domandò l’uomo, minaccioso quanto prima.

Elminster indicò la moneta, e improvvisamente essa si mosse, sollevandosi sotto forma di serpente sibilante nella mano dell’uomo, che, imprecando, la gettò via. Essa colpì un muro con suono metallico, cadde a terra, e rotolò, di nuovo trasformata in moneta.

«Sono maledette, vedete», affermò El dolcemente. «Tutte. Sono state rubate da una tomba, e risvegliate. E senza la mia magia per tenere la maledizione sotto controllo…»

«Aspetta un momento», esclamò Surgath, scuro in volto. «Chi mi dice che i rubini siano veri, eh?»

«Nessuno», rispose Elminster. «Tuttavia lo sono, e rimarranno rubini anche domani. E per tutti i giorni che verranno. Se rivuoi lo scettro, sarò nella stanza che Rose mi ha preparato».

Elargì ai presenti un sorriso gentile e uscì, domandandosi quanti di loro, col simbolo del serpente o meno, avrebbero tentato di uccidere l’immagine virtuale, che sarebbe stata l’unica a dormire nel letto di El quella notte, e quanti avrebbero messo sotto sopra la stanza per cercare uno scettro che non c’era. Il tetto di torba e tegole del Corno dell’Araldo sarebbe stato più che sufficiente per il riposo dell’ultimo principe di Athalantar.

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