Terry Pratchett - Il colore della magia

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Il colore della magia: краткое содержание, описание и аннотация

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In un angolo remoto dell’universo in una piega isolata del tempo, esiste l’incredibile mondo Disco la cui forma è perfettamente conforme al proprio nome: è infatti un gigantesco disco che le più recenti teorie astronomiche in voga sul pianeta vogliono sorretto da quattro magici elefanti ritti in piedi sul dorso di una cosmica tartaruga (il cui sesso è tuttavia ancora ignoto). La superficie superiore di Disco ospita numerosi regni e varie razze di abitanti, ma la leggenda vuole che anche sul lato inferiore del pianeta esistano terre abitate, ovvero il mitico continente Contrappeso. La leggenda diventa realtà quando nella città di Ankh-Morpork arriva un inatteso visitatore dal continente misterioso: è l’ingenuo e ricchissimo Duefiori, sempre seguito fedelmente dal suo forziere ricco di tesori e di decine di zampette, e ben deciso a godersi una meritata vacanza in veste di turista. Ma fra i troll e i tagliagole che abbondano in città un ricco forestiero può avere vita breve, e un incidente diplomatico va evitato in ogni modo. Al mago Rincewind tocca dunque il compito dì guidare e proteggere l’incauto turista… un’impresa alquanto pericolosa, per non dire disperata.

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La scatola a immagini si allontanò di sbieco sul suo treppiede. Scuotivento volle sferrarle un calcio e la mancò. Il legno del pero sapiente cominciava a non piacergli più. Si sentì pungere una guancia da qualcosa e la scacciò via irritato con la mano.

Si voltò nell’udire un raschio e una voce come di trinciante che taglia la seta disse: — Questo è molto poco dignitoso.

— Chiudi il becco — ribatté Hrun, che stava usando Kring come una leva per sollevare la parte superiore dell’altare. Alzò gli occhi su Scuotivento e fece un sorrisetto. Scuotivento sperò che quella smorfia simile a un rictus fosse intesa come un sorrisetto.

— Grande magia — commentò il barbaro spingendo la lama che protestava con una mano delle dimensioni di un prosciutto. — Adesso ci dividiamo il tesoro, eh?

Un oggetto piccolo e duro lo colpì sull’orecchio e Scuotivento brontolò. Seguì un colpo di vento, quasi impercettibile.

— Come sai che qui c’è un tesoro? — chiese.

Hrun alzò la pietra e riuscì a inserirci sotto le dita. — Uno trova le mele sotto un melo — rispose. — E trova un tesoro sotto gli altari. Logico.

Arrotò i denti. La pietra si sollevò e finì pesantemente a terra.

Questa volta qualcosa di pesante colpì la mano di Scuotivento. Lui l’agguantò a mezz’aria e guardò che cosa aveva preso. Era una pietra con tre-più-cinque lati. Guardò il soffitto. Era regolare che si curvasse al centro in quel modo?

Canticchiando, Hrun cominciò a togliere i calcinacci dall’altare dissacrato. Vi fu nell’aria un crepitio, una fluorescenza, un mormorio. Venti impalpabili afferrarono la tunica del mago e la fecero ondeggiare in un turbine di scintille azzurre e verdi. Folli spiriti informi ululavano ed emettevano suoni indistinti intorno alla testa di Scuotivento, mentre erano risucchiati via.

Lui provò ad alzare una mano. Che fu immediatamente circondata da una brillante aureola di ottarino al passaggio del soffio magico. La brezza spazzava la stanza senza alzare un granello di polvere eppure faceva rivoltare le palpebre di Scuotivento; s’ingolfava nei tunnel e il suo lugubre lamento si ripercuoteva follemente da una parete all’altra.

Duefiori si raddrizzò barcollante e si piegò in due preso nella morsa del soffio astrale.

— Che diavolo è questo ? — urlò.

Scuotivento fece per voltarsi e immediatamente fu afferrato e quasi travolto dal vento ululante, mentre poltergeist turbinanti nell’aria lo ghermivano per i piedi.

Hrun allungò un braccio per trattenerlo. Un momento più tardi lui e Duefiori erano stati trascinati nel rifugio dell’altare devastato e giacevano al suolo ansimanti. Accanto a loro splendeva la spada parlante, Kring. il suo campo magico reso cento volte più intenso dalla bufera.

— Reggetevi forte! — gridò Scuotivento.

— Il vento! — gridò di rimando Duefiori. — Da dove viene? E dove va? — Fissando il volto di Scuotivento, ridotto a una pura maschera di terrore, raddoppiò la sua stretta sulla pietra alla quale si teneva aggrappato.

— Siamo condannati — mormorò Scuotivento, mentre sulle loro teste il tetto scricchiolava e si muoveva. — Da dove vengono le ombre? È là che soffia il vento!

Ciò che in effetti stava accadendo, come sapeva il mago, era che lo spirito offeso di Bel-Shamharoth s’inabissava negli strati ctonici più profondi, il suo spirito meditabondo era risucchiato fuori dalle pietre nella regione situata, secondo i sacerdoti più accreditati del mondo-disco, sottoterra e Altrove. Pertanto il suo tempio veniva abbandonato alle devastazioni del Tempo, il quale per migliaia di anni era stato riluttante ad avvicinarlo. Adesso il peso accumulato di tutti quei secondi, improvvisamente liberato, gravava ponderosamente sulle pietre sconnesse.

Hrun guardò le fessure che si andavano allargando e sospirò. Poi si mise due dita in bocca e fischiò.

Stranamente il suono reale risuonò con forza sullo pseudosuono del vortice astrale che si formava al centro della grande lastra ottagonale. Fu seguito da un’eco smorzata curiosamente simile al rimbalzare di strane ossa. E quindi da un suono che non aveva nulla di strano. Era il rumore sordo di zoccoli.

Il cavallo da battaglia di Hrun trotterellò sotto un arco scricchiolante e si fermò vicino al padrone, la criniera ondeggiante al vento. Il barbaro si rizzò in piedi, ripose le sue borse con il tesoro in un sacco appeso alla sella e poi si issò in groppa all’animale. Si chinò ad afferrare Duefiori per la collottola e se lo mise di traverso sulla sella.

Mentre il cavallo si girava Scuotivento, con un salto disperato, si assestò dietro a Hrun, che non fece obiezioni.

Il cavallo percorreva i tunnel con andatura sicura, saltava i mucchi di macerie ed evitava con destrezza le grosse pietre che precipitavano dal tetto. Tenendosi stretto con tutte le sue forze, Scuotivento si guardò indietro.

Non c’era da meravigliarsi se il cavallo avanzava così speditamente. Erano seguiti a ruota, nella ammiccante luce violetta, da una grossa cassa dall’aria minacciosa e da una scatola a immagini che avanzava saltellando pericolosamente sulle sue tre gambe. Così grande era l’abilità del legno del pero sapiente di seguire ovunque il suo padrone, che le bare degli imperatori morti erano tradizionalmente fatte proprio di quel legno…

I fuggiaschi si ritrovarono all’aperto giusto un attimo prima che l’arco ottagonale finalmente si spezzasse e si riducesse in frammenti.

Il sole stava sorgendo. Una colonna di polvere s’innalzò alle loro spalle quando il tempio rovinò al suolo, ma loro non si guardarono alle spalle. Fu un peccato, perché Duefiori avrebbe potuto ritrarre delle immagini insolite perfino per gli standard del mondoDisco.

Nelle rovine fumanti si produsse un movimento. Sembrava che da loro spuntasse un verde tappeto. Poi proruppe una quercia che si ramificò con la velocità di un razzo verde che esplodesse fino a formare un boschetto venerando anche prima che le cime dei suoi vecchi rami avessero smesso di fremere… Un faggio spuntò come un fungo, maturò, marcì e cadde in una nuvola di polvere di legno in mezzo ai giovani germogli che lottavano per venire fuori. Già il tempio era un cumulo mezzo sepolto di pietre muschiate.

Ma il Tempo si accingeva ora a completare il lavoro iniziato. L’interfaccia ribollente tra la magia declinante e l’entropia ascendente si precipitò rombando giù per la collina e raggiunse il cavallo galoppante. I cavalieri, creature del Tempo, non se ne accorsero. Ma esso sferzava la foresta incantata con la frusta dei secoli.

— Impressionante, vero? — osservò una voce vicino al ginocchio di Scuotivento mentre il cavallo caracollava attraverso un sipario di legname marcito e di foglie cadenti.

Nella voce vibrava una strana nota metallica. Scuotivento abbassò lo sguardo su Kring la spada… Nel pomo erano incastonati due rubini. Gli parve che lo fissassero.

Dalla brughiera ai margini del bosco contemplarono la battaglia tra gli alberi e il Tempo: la fine non poteva essere che una sola. La sosta fu quasi per intero spesa nel consumare buona parte dell’orso incautamente venuto a tiro dell’arco di Hrun.

Scuotivento lo osservava al di sopra del suo pezzo di carne unta di grasso. Come eroe. Hrun era ben diverso dal Hrun tutto preso dal bere e gozzovigliare che ogni tanto capitava a Ankh-Morpork. Era cauto come un gatto, agile come una pantera e completamente a suo agio.

"E sono sopravvissuto a Bel-Shamharoth" si disse Scuotivento. "Fantastico."

Duefiori aiutava l’eroe a ispezionare il tesoro rubato dal tempio. Erano per la maggior parte pezzi d’argento ornati di brutte pietre color porpora e raffiguravano ragni, piovre e octarsieri che vivono sugli alberi nelle distese desertiche delle zone centrali.

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