«Un maestro?» intervenne ser Jorah Mormont.
«Marwyn, diceva di chiamarsi» rispose Mirri Maz Duur nella lingua comune. «Dal mare. Da oltre il mare. Le Sette Terre, disse. Terre del Tramonto. Dove gli uomini sono fatti di ferro e i draghi dominano. Lui m’insegnò questa parlata.»
«Un maestro ad Asshai» rimuginò ser Jorah. «E dimmi, sacerdotessa, cosa portava al collo questo maestro?»
«Una catena talmente stretta che quasi lo strangolava, signore di ferro, con anelli fatti di molti metalli.»
Il cavaliere spostò lo sguardo su Dany. «Solo un uomo istruito alla Cittadella di Vecchia Città può portare una catena simile. E quegli uomini sanno molto di guarigioni.»
«Per quale motivo vorresti aiutare il mio khal?» le chiese Daenerys.
«Tutti gli uomini formano un unico gregge» rispose Mirri Maz Duur. «Il Grande Pastore mi ha mandata su questa terra per guarire i suoi agnelli, dovunque io li trovi.»
«Noi non siamo pecore, maegi.» Qotho le assestò un brutale ceffone.
«Basta!» Daenerys era furiosa. «Lei è mia. Non permetterò che le venga fatto del male.»
Khal Drogo borbottò: «E questa freccia deve venire fuori, Qotho».
«È così, grande cavaliere.» Mirri Maz Duur si tastò la guancia colpita. «E il tuo petto dev’essere pulito e ricucito, per evitare che la ferita si corrompa.»
«Allora fallo» comandò khal Drogo.
«Grande cavaliere, i miei strumenti e le mie pozioni si trovano all’interno della casa di dio, dove i miei poteri di guarigione sono più forti.»
«Ti porto io, sangue del mio sangue» si offrì Haggo.
Khal Drogo rifiutò con un gesto. «Non mi serve l’aiuto di uomo alcuno» disse con voce dura e orgogliosa. Si alzò in piedi da solo e torreggiò su di loro, ma un fiotto di sangue sgorgò dalla ferita al torace, dove l’arakh di Ogo gli aveva portato via il capezzolo. Daenerys si spostò rapida al suo fianco. «Io non sono uomo alcuno» gli sussurrò. «Appoggiati a me.» Drogo accettò di porle sulla spalla una delle sue mani gigantesche. Dany accolse parte del suo peso e camminarono assieme verso il tempio di fango essiccato. I tre cavalieri di sangue li seguirono. Dany diede ordine a ser Jorah e al resto dei guerrieri del suo khas di fare la guardia all’ingresso, in modo che nessuno desse fuoco alla struttura con loro dentro.
Superarono una serie di vestiboli fino a raggiungere l’altro spazio principale, situato sotto la cupola a cipolla. Un debole chiarore filtrava da finestre nascoste. Alcune torce ardevano da candelabri alle pareti. Sul pavimento di fango essiccato erano sparse pelli di pecora.
«Là.» Mirri Maz Duur indicò l’altare, una pietra massiccia con venature blu sulla quale erano scolpite immagini di pastori e di greggi. Khal Drogo si sdraiò su di essa. La donna gettò una manciata di foglie secche in un braciere e fumo aromatico si levò a riempire la camera. «Meglio che aspettiate fuori» disse la sacerdotessa agli altri.
«Noi siamo sangue del suo sangue» dichiarò Cohollo. «Qui noi aspettiamo.»
«Sappi questo, moglie del Dio agnello.» Qotho le si avvicinò minaccioso. «Fa’ del male al khal e pari sarà la tua sofferenza.» Estrasse il suo coltello da scuoiamento e le mostrò la lama.
«Non gli farà del male.» Daenerys sentiva di potersi fidare di quella donna abbondante dal naso schiacciato. In fondo, l’aveva salvata dallo stupro.
«Se dovete rimanere, allora aiutate» disse Mirri Maz Duur ai cavalieri di sangue. «Il grande cavaliere è troppo forte per me. Tenetelo fermo mentre estraggo la freccia dalla sua carne.» Nell’aprire una cassapanca di legno istoriato, la sacerdotessa fu costretta a lasciare la presa alla veste stracciata. Prelevò coltelli e aghi, ampolle e scatole. Una volta che ebbe preparato tutto, elevando un canto nella strana lingua Ihazareen, spezzò la freccia ed estrasse la punta uncinata, poi fece uscire lo stelo. Mise a bollire sul braciere una caraffa di vino e versò il liquido fumante sulle ferite. Khal Drogo imprecò contro di lei, ma non si mosse. Mirri Maz Duur ricoprì la ferita di freccia con un impiastro di foglie bagnate, quindi passò a occuparsi dello squarcio al torace. Spalmò la carne viva di un unguento verde pallido, poi mise al suo posto il lembo staccato. Il khal serrò i denti, soffocando un urlo di dolore. La sacerdotessa estrasse un ago d’argento e un rocchetto di filo di seta e iniziò a ricucire la lacerazione. Una volta che ebbe finito, cosparse la pelle con un unguento rosso, coprì anche la seconda medicazione con foglie umide e bendò il torace con un pezzo di pelle d’agnello. «Dovrete recitare le preghiere che io vi dirò e tenere la pelle d’agnello al suo posto per dieci giorni e dieci notti. Ci sarà febbre e prurito e una vasta cicatrice una volta che la guarigione sarà completa.»
Khal Drogo si mise seduto in un improvviso tintinnio di campanelle. «Io faccio canzoni delle mie cicatrici, donna agnello.» Piegò il braccio con piglio fiero.
«Non bere né vino né latte di papavero» lo mise in guardia Mirri Maz Duur. «Dolore tu sentirai, ma devi mantenerti forte nel corpo per combattere gli spiriti velenosi.»
«Io sono khal» dichiarò Drogo con orgoglio. «Io sputo sul dolore e bevo ciò che voglio. Cohollo, il mio gilè.» L’anziano guerriero si allontanò.
«Prima» disse Daenerys alla brutta donna Ihazareen «ti ho udita parlare di canti della nascita…»
«Il letto insanguinato non ha segreti per me, donna d’argento» disse Mirri Maz Duur. «Né ho mai perduto un infante.»
«Il mio tempo si avvicina. Ti chiederò di assistermi nella nascita, se vorrai.»
Khal Drogo rise. «Luna della mia vita, tu non chiedi a una schiava, tu comandi. E lei farà come tu comandi.» Saltò giù dall’altare. «Venite, sangue del mio sangue. Gli stalloni chiamano e questo luogo è cenere. È tempo di cavalcare.»
Haggo seguì il khal fuori dal tempio. Qotho rimase quanto bastò per lanciare a Mirri Maz Duur uno sguardo feroce. «Ricorda, maegi: quanto bene starà il khal, così starai tu.»
«Come tu dici, guerriero.» La sacerdotessa raccolse le proprie ampolle. «Il Grande Pastore veglia sul gregge.»
Il lungo tavolo a cavalletti di pino grezzo era stato sistemato sotto la chioma di un olmo e coperto da una tovaglia di tessuto dorato. Era là, a breve distanza dal suo padiglione, che lord Tywin Lannister cenava assieme ai suoi principali cavalieri e ai suoi lord alfieri. Più in alto, sulla sommità della piatta altura che dominava la strada del Re, sventolava il suo grande vessillo porpora e oro.
Tyrion arrivò in ritardo, indolenzito dalla sella e fin troppo consapevole di quanto ridicolo dovesse apparire mentre arrancava su per il pendio con le sue gambette deformi. Il giorno di marcia era stato lungo ed estenuante. Stava seriamente considerando l’idea di ubriacarsi a dovere, quella sera. Attorno a lui, l’aria del crepuscolo era un caleidoscopio di lucciole. I cuochi stavano servendo la portata della carne: cinque maialini da latte, la pelle abbrustolita e croccante, ciascuno con un frutto diverso in bocca. L’aroma gli fece venire l’acquolina in bocca.
«Chiedo venia» esordì, prendendo posto accanto a suo zio.
«Forse dovrei affidare a te il compito di seppellire i morti, Tyrion» disse lord Tywin. «Se arrivi in ritardo sul campo di battaglia quanto a tavola, il combattimento sarà concluso da un pezzo.»
«Non dubito, padre, che mi lascerai uno o due paesani da far fuori. Non troppi, però, non vorrei apparire avido.» Si riempì una coppa di vino e osservò un servitore che tagliava un maialino. La pelle arrostita scricchiolava sotto la lama del coltello, caldo sugo denso colava dalla carne. Era il migliore spettacolo che Tyrion avesse visto da un pezzo.
Читать дальше