Mai, a memoria di nessuno, l’attesa di una partita era trascorsa in un’atmosfera così elettrica. Alla fine delle vacanze, la tensione tra le due squadre e le loro Case era arrivata al punto di rottura. Nei corridoi esplosero piccole risse, che culminarono in un brutto scontro in cui un quarto anno di Grifondoro e un sesto anno di Serpeverde finirono in infermeria con dei porri che gli spuntavano dalle orecchie.
Per Harry fu un gran brutto periodo. Non poteva andare a lezione senza che qualche Serpeverde non cercasse di fargli lo sgambetto; Tiger e Goyle sbucavano da tutte le parti, e strisciavano via delusi quando lo vedevano circondato da altri ragazzi. Baston aveva dato istruzioni perché Harry venisse scortato ovunque, nel caso che i Serpeverde tentassero di metterlo fuori gioco. Tutta la Casa di Grifondoro raccolse la sfida con entusiasmo, così che per Harry era impossibile arrivare alle lezioni in orario perché era sempre circondato da un’enorme folla rumorosa. Era più preoccupato per la sicurezza della sua Firebolt che per la propria. Quando non la cavalcava, la chiudeva al sicuro nel suo baule, e spesso durante gli intervalli sfrecciava su nella Torre di Grifondoro a controllare che ci fosse ancora.
La sera prima della partita, tutte le attività abituali furono abbandonate nella sala comune di Grifondoro. Anche Hermione mise da parte i libri.
«Non posso studiare, non riesco a concentrarmi» disse nervosamente.
C’era un gran frastuono. Fred e George Weasley affrontavano la tensione comportandosi in modo più chiassoso e scatenato che mai. Oliver Baston era chino sul modellino di un campo da Quidditch sul quale faceva avanzare minuscole figurine con la bacchetta magica, borbottando fra sé. Angelina, Alicia e Katie ridevano agli scherzi di George e Fred. Harry era seduto con Ron e Hermione, in disparte, e cercava di non pensare al giorno dopo, perché tutte le volte che ci pensava aveva l’orribile sensazione che qualcosa di molto grosso lottasse per uscire dal suo stomaco.
«Andrà tutto bene» gli disse Hermione, anche se sembrava decisamente terrorizzata.
«Hai una Firebolt !» disse Ron.
«Sì…» disse Harry, lo stomaco contratto.
Fu un sollievo quando Baston all’improvviso si alzò e disse: «Squadra! A letto!»
Harry dormì male. Prima sognò di aver dormito troppo, e che Baston gli strillava: «Dov’eri? Abbiamo dovuto far giocare Neville al tuo posto!» Poi sognò che Malfoy e il resto della squadra di Serpeverde erano arrivati alla partita a cavallo di draghi. Stava volando a rotta di collo, cercando di evitare una fiammata uscita dalle fauci del destriero di Malfoy, quando gli venne in mente che aveva dimenticato la Firebolt. Precipitò e si svegliò di soprassalto.
Gli ci volle qualche secondo prima di ricordare che la partita non era ancora arrivata, che era al sicuro nel suo letto e che alla squadra di Serpeverde non sarebbe certo stato permesso di giocare a cavallo di draghi. Aveva molta sete. Più piano che poteva, scese dal letto a baldacchino e andò a versarsi dell’acqua dalla brocca d’argento sotto la finestra.
I prati erano calmi e tranquilli. Nemmeno un alito di vento sfiorava le cime degli alberi della foresta proibita; il Platano Picchiatore era immobile e sembrava innocuo. Pareva che le condizioni per la partita sarebbero state perfette.
Harry posò il calice e stava per tornare a letto quando qualcosa catturò la sua attenzione. Un animale si aggirava sul prato d’argento.
Harry scattò fino al comodino, afferrò gli occhiali e se li infilò, poi tornò di corsa alla finestra. Non poteva essere il Gramo… non ora… non appena prima della partita…
Scrutò di nuovo il prato e dopo un minuto di ricerca frenetica lo individuò. Ora costeggiava il bordo della foresta… non era affatto il Gramo… era un gatto… Harry afferrò la cornice della finestra, sollevato, riconoscendo la coda cespugliosa. Era solo Grattastinchi…
Ma era davvero solo Grattastinchi? Harry socchiuse gli occhi e schiacciò il naso contro il vetro. A quanto pareva, Grattastinchi si era fermato. Harry era certo che qualcos’altro si stesse muovendo all’ombra degli alberi.
Un attimo dopo comparve: era un enorme cane nero peloso che si muoveva furtivo sul prato, con Grattastinchi che trotterellava al suo fianco. Harry sgranò gli occhi. Che cosa voleva dire? Se anche Grattastinchi vedeva il cane, come poteva essere un presagio di morte per Harry?
«Ron!» sibilò Harry. «Ron! Svegliati!»
«Mmm?»
«Devi dirmi se vedi qualcosa!»
«È ancora buio, Harry» mormorò Ron intontito. «Che cosa stai blaterando?»
«Laggiù…»
Harry tornò a guardare dalla finestra.
Grattastinchi e il cane erano spariti. Harry si arrampicò sulla cornice della finestra per guardare giù, nell’ombra proiettata dal castello, ma non c’erano. Dov’erano andati?
Un grugnito rumoroso gli disse che Ron si era riaddormentato.
Harry e il resto della squadra di Grifondoro la mattina dopo entrarono nella Sala Grande salutati da un fragoroso applauso. Harry non poté fare a meno di sorridere quando vide che anche i tavoli di Corvonero e di Tassorosso li applaudivano. Al loro passaggio, dal tavolo di Serpeverde si alzò un fischio acuto. Harry notò che Malfoy era ancora più pallido del solito.
Baston passò tutta la colazione esortando la sua squadra a mangiare, ma lui non toccò cibo. Poi si affrettò a farli correre in campo prima che gli altri finissero, per farsi un’idea delle condizioni in cui avrebbero giocato. Mentre uscivano dalla Sala Grande, tutti applaudirono di nuovo.
«Buona fortuna, Harry!» gridò Cho Chang. Harry si sentì arrossire.
«Ok… niente vento… è fin troppo sereno, il sole potrebbe abbagliarvi, state attenti… il terreno è duro, bene, il decollo sarà veloce…»
Baston percorse il campo guardandosi in giro, con la squadra al seguito. Alla fine videro le porte del castello aprirsi in lontananza, e il resto della scuola disperdersi nel prato.
«Agli spogliatoi» disse Baston asciutto.
Nessuno parlò mentre indossavano le divise scarlatte. Harry si chiese se provavano la stessa cosa che provava lui: era come se a colazione avesse inghiottito qualcosa di molto, molto agitato. Dopo quello che parve un attimo, Baston disse:
«Ok, è ora, andiamo…»
Uscirono in campo, accolti da un’ondata di fragoroso entusiasmo. I tre quarti della folla portavano coccarde scarlatte, agitavano bandiere scarlatte con il leone di Grifondoro disegnato sopra o brandivano striscioni con slogan come ’VAI GRIFONDORO!’ e ’LA COPPA AI LEONI’. Dietro la porta di Serpeverde, comunque, erano schierate almeno duecento persone in verde; il serpente argentato di Serpeverde scintillava sulle loro bandiere, e il professor Piton era seduto in prima fila, vestito di verde come tutti gli altri, con in faccia un sorriso sgradevole.
«Ed ecco i Grifondoro!» urlò Lee Jordan, che come al solito faceva la cronaca. «Potter, Bell, Johnson, Spinnet, Weasley, Weasley e Baston. Ampiamente accreditata come la squadra migliore che Hogwarts abbia avuto da parecchi anni…»
Il commento di Lee fu seppellito da una marea di ’buuu’ dal fronte di Serpeverde.
«Ed ecco la squadra di Serpeverde, guidata dal capitano Flitt. Il capitano ha apportato alcune modifiche nello schieramento, e si direbbe che abbia privilegiato la taglia più che l’abilità…»
Altri ’buuu’ dalla folla di Serpeverde. Harry, comunque, pensava che Lee avesse ragione. Malfoy era di gran lunga il più piccolo in campo; tutti i suoi compagni erano enormi.
«I capitani si diano la mano!» disse Madama Bumb.
Flitt e Baston si avvicinarono e si strinsero forte la mano; era come se ciascuno stesse cercando di spezzare le dita dell’altro.
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