«Ci-deve-pur-essere-una-scorciatoia» disse Ron sbuffando mentre salivano la settima rampa di scale e approdavano su un pianerottolo sconosciuto, dove non c’era altro che un grande dipinto di una striscia d’erba appeso al muro di pietra.
«Credo che sia da questa parte» disse Hermione, dando un’occhiata al corridoio vuoto sulla destra.
«Non è possibile» disse Ron. «Da quella parte c’è il sud, si vede un pezzetto di lago dalla finestra…»
Harry stava guardando il quadro. Un grasso pony pomellato grigio si era appena fatto avanti e ora brucava con aria noncurante. Harry era abituato al fatto che i soggetti dei quadri di Hogwarts si muovessero e uscissero dalle cornici per farsi visita, ma osservarli era sempre un divertimento. Un attimo dopo, un basso, tozzo cavaliere in armatura entrò nel quadro sferragliando, all’inseguimento del pony. A giudicare dalle macchie d’erba sulle ginocchiere di metallo, era appena caduto.
«Aha!» urlò, vedendo Harry, Ron e Hermione. «Che razza di villanzoni sono costoro che osano invadere le mie terre! Siete forse venuti a burlarvi di me? Via di qui, canaglie, cani!»
I tre osservarono stupefatti il piccolo cavaliere che sfoderava la spada e prendeva a menare fendenti brutali, saltellando su e giù, furioso. Ma la spada era troppo lunga per lui; un colpo particolarmente brusco gli fece perdere l’equilibrio, e il cavaliere cadde nell’erba, a faccia in giù.
«Tutto bene?» disse Harry avvicinandosi al quadro.
«Indietro, vile spaccone! Indietro, furfante!»
Il cavaliere rialzò la spada e vi si puntellò per rimettersi in piedi, ma la lama penetrò a fondo nell’erba e, per quanto lui tirasse con tutte le sue forze, non riuscì a sfilarla. Alla fine si lasciò cadere di nuovo a terra e sollevò il cimiero per asciugarsi il viso.
«Senta» disse Harry, approfittando della stanchezza del cavaliere, «stiamo cercando la Torre Nord. Non sa dirci la strada, per caso?»
«Una missione!» L’ira del cavaliere svanì in un istante. L’ometto si rialzò in un clangore metallico ed esclamò: «Seguitemi, cari amici, e troveremo la nostra meta, o periremo eroicamente nell’impresa!»
Diede alla spada un altro vano strattone, cercò inutilmente di salire sul grasso pony, rinunciò e gridò:
«Ora in marcia, buoni signori e gentile damigella! Avanti! Avanti!»
E prese a correre sferragliando verso il lato sinistro della cornice, finché non scomparve.
Lo inseguirono lungo il corridoio, guidati dal clangore dell’armatura. Ogni tanto lo vedevano correre attraverso un quadro davanti a loro.
«Siate coraggiosi e di cuor saldo, il peggio deve ancora venire!» esortò il cavaliere, ricomparendo davanti a un gruppo di allarmate dame in crinolina, ritratte in un quadro appeso sul muro di una stretta scala a chiocciola.
Ansimando, Harry, Ron e Hermione salirono i gradini ripidi, sempre più stanchi e confusi, finché finalmente non udirono un mormorio sopra le loro teste e capirono di aver raggiunto la classe.
«Addio!» gridò il cavaliere, infilando la testa in un quadro che raffigurava alcuni monaci dall’aria sinistra. «Addio, miei compagni d’armi! Se mai avrete bisogno di un nobile cuore e nervi d’acciaio, cercate di Sir Cadogan!»
«Sì, senz’altro» mormorò Ron, mentre il cavaliere spariva, «se mai avremo bisogno di un pazzo».
Salirono gli ultimi gradini e sbucarono su un piccolo pianerottolo, dov’era già radunata gran parte della classe. Non c’erano porte intorno, ma Ron diede un colpetto a Harry indicando il soffitto, sul quale si apriva una botola rotonda con una targa di ottone al centro.
«Sibilla Cooman, insegnante di Divinazione» lesse Harry. «Come facciamo a salire?»
Come in risposta alla sua domanda, la botola si aprì all’improvviso, e una scala argentata calò fino ai piedi di Harry. Tutti tacquero.
«Dopo di te» disse Ron sorridendo. Così Harry salì per primo.
Spuntò nell’aula più strana che avesse mai visto. In effetti non aveva l’aspetto di un’aula; sembrava più un incrocio tra un solaio e una sala da tè vecchio stile. Ospitava almeno venti tavolini rotondi, tutti circondati da poltroncine foderate di chintz e piccoli, grassi sgabelli. Il tutto era illuminato da una bassa luce scarlatta; le tende alle finestre erano tirate, e le numerose lampade erano drappeggiate con sciarpe rosso scuro. C’era un caldo soffocante, e il fuoco che ardeva nel camino lambendo un grosso bollitore di rame emanava un profumo intenso, quasi malsano. Gli scaffali che correvano tutto attorno ai muri circolari erano stipati di piume dall’aria polverosa, mozziconi di candele, scatole di vecchie carte da gioco, innumerevoli sfere di cristallo argentate e una gran varietà di tazze da tè.
Ron spuntò da dietro le spalle di Harry mentre la classe si radunava attorno a loro, sussurrando.
«Dov’è?» chiese Ron.
Una voce uscì all’improvviso dall’ombra, una voce dolce e misteriosa.
«Benvenuti» disse. «È bello vedervi in carne e ossa, finalmente».
La prima impressione che Harry ne ebbe fu quella di un grosso insetto luccicante. La professoressa Cooman avanzò nel cerchio di luce del fuoco, e videro che era molto magra; gli spessi occhiali le rendevano gli occhi molto più grandi del normale, ed era avvolta in uno scialle leggero, tutto ricamato di perline. Innumerevoli catene e collane le pendevano dal collo esile, e le mani e le braccia erano cariche di braccialetti e anelli.
«Sedete, ragazzi miei, sedete» disse, e tutti presero posto cautamente nelle poltrone o sprofondarono negli sgabelli. Harry, Ron e Hermione si sedettero attorno allo stesso tavolino rotondo.
«Benvenuti a Divinazione» disse la Cooman, che aveva preso posto in un’ampia poltrona davanti al fuoco. «Io sono la professoressa Cooman. Può darsi che non mi abbiate mai visto. Ritengo che scendere troppo spesso nella confusione della scuola offuschi il mio Occhio Interiore».
Nessuno commentò questa straordinaria dichiarazione. La professoressa Cooman riaccomodò con grazia lo scialle e riprese: «Allora, avete deciso di studiare Divinazione, la più difficile di tutte le arti magiche. Devo però dirvi subito che se non avete la Vista, potrò insegnarvi assai poco. I libri possono farvi progredire solo fino a un certo punto in questo campo…»
Sia Harry che Ron sorrisero e lanciarono un’occhiata a Hermione, allarmata alla notizia che i libri non sarebbero stati di grande aiuto in questa materia.
«Molte streghe e molti maghi, per quanto talento possano avere nel campo delle esplosioni e degli odori e delle sparizioni improvvise, non sono tuttavia in grado di penetrare i misteri velati del futuro» riprese la professoressa Cooman, con gli enormi occhi scintillanti che si spostavano da un volto all’altro. «È un Dono concesso a pochi. Tu, ragazzo» disse improvvisamente rivolta a Neville, che quasi cadde dallo sgabello, «sta bene tua nonna?»
«Credo di sì» rispose Neville con voce tremante.
«Non ne sarei così sicuro se fossi in te, caro» disse la professoressa Cooman mentre il fuoco traeva riflessi dai suoi lunghi orecchini di smeraldo. Neville deglutì. La professoressa riprese tranquillamente.
«Quest’anno ci occuperemo dei metodi base della Divinazione. Il primo trimestre sarà dedicato alla Lettura delle Foglie di Tè. Nel prossimo passeremo alla Lettura della Mario. Comunque, mia cara» disse, rivolgendosi d’un tratto a Calì Patil, «guardati da un uomo coi capelli rossi».
Calì scoccò uno sguardo stupito a Ron, che era dietro di lei, e allontanò la sedia.
«Nell’ultimo trimestre» proseguì la professoressa Cooman, «passeremo alla Sfera di Cristallo, se avremo finito con i Presagi di Fuoco, naturalmente. Purtroppo, a febbraio avremo la classe decimata da una brutta epidemia di influenza. Io stessa perderò la voce. E attorno a Pasqua, uno di noi ci lascerà per sempre».
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