J.K. Rowling - Harry Potter e l'Ordine della Fenice

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Harry Potter e l'Ordine della Fenice: краткое содержание, описание и аннотация

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Il quarto volume delle avventure di Harry Potter ci ha lasciato con il fiato sospeso: Lord Voldemort è tornato. Che cosa succederà ora che l’Oscuro Signore è di nuovo in pieno possesso dei suoi terrificanti poteri? Quanta morte e distruzione seminerà nel tentativo di riprendere il dominio dei mondo? Sono le stesse domande che si pone Harry Potter, disperatamente segregato — come tutte le estati — nella casa dei suoi zii Babbani, lontano dal mondo magico che gli appartiene. Ma qualcosa è cambiato anche in lui. Ormai quindicenne, lo ritroviamo divorato dalla frustrazione, dalla rabbia e dall’ansia di ribellione tipiche della sua età. In uno dei libri più attesi nella storia della letteratura, J.K. Bowling non cessa di stupirci. Tessendo un’altra stupefacente trama, riesce questa volta a dar voce alle inquietudini dell’adolescenza, ad arricchire il suo già mirabolante universo di nuove creature e nuovi indimenticabili personaggi, e anche a metterci in guardia contro la stupidità del potere e di chi lo usa per combattere il talento, il coraggio, la fantasia e la diversità.

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«Ci farai scrivere cento volte la stessa frase?» incalzò George con un sorrisetto.

Gli altri studenti ridevano. Hermione si erse in tutta la sua statura; i suoi occhi erano ridotti a fessure e i capelli cespugliosi sembravano crepitare di elettricità.

«No» rispose, la voce vibrante di rabbia, «ma scriverò a vostra madre».

«Non dici sul serio» boccheggiò George orripilato, facendo un passo indietro.

«Oh, sì» rispose Hermione. «Non posso impedirvi di mangiare quelle stupide cose, ma non dovete darle a quelli del primo anno».

Fred e George erano atterriti. Era chiaro che consideravano la minaccia di Hermione un colpo basso. Con un ultimo sguardo severo, lei rificcò la tavoletta e il sacchetto di Pasticcetti tra le braccia di Fred, e tornò a passi rigidi alla sua poltrona vicino al fuoco.

Ron era scivolato così in basso che il suo naso era quasi allo stesso livello delle ginocchia.

«Grazie per il sostegno, Ron» disse Hermione acida.

«Te la sei cavata benissimo da sola» borbottò Ron.

Hermione fissò il foglio di pergamena intonso per qualche istante; poi disse, tesa: «Oh, è inutile, adesso non riesco a concentrarmi. Vado a dormire».

Spalancò la borsa; Harry pensò che stesse per mettere via i libri, ma invece estrasse due oggetti informi di lana, li posò con cautela su un tavolo vicino al fuoco, li coprì con qualche pezzo di pergamena stropicciata e una piuma spezzata e si ritrasse per ammirare l’effetto.

«Che cosa stai facendo, nel nome di Merlino?» chiese Ron, scrutandola come se temesse per la sua salute mentale.

«Sono berretti per elfi domestici» spiegò lei sbrigativa, riempiendo la borsa di libri. «Li ho fatti quest’estate. Senza magia sono lenta a lavorare ai ferri, ma adesso che sono tornata a scuola dovrei riuscire a farne molti di più».

«Lasci in giro i berretti per gli elfi domestici?» domandò Ron lentamente. «E li copri di immondizia?»

«Sì» rispose Hermione in tono di sfida, gettandosi la borsa sulle spalle.

«Non vale» disse Ron arrabbiato. «Stai cercando di indurii a prendere i berretti con l’inganno. Li liberi quando potrebbero non volerlo».

«Ma certo che vogliono essere liberi!» ribatté subito Hermione, anche se stava arrossendo. «Non provare a toccare quei berretti, Ron!»

E se ne andò. Ron aspettò che fosse sparita nei dormitori femminili, poi tolse l’immondizia dai berretti di lana.

«Almeno dovrebbero vedere quello che tirano su» disse con fermezza. «Comunque…» arrotolò la pergamena sulla quale aveva scritto il titolo del tema per Piton, «è inutile cercare di finirlo adesso, non ci riesco senza Hermione. Non ho la più pallida idea di che cosa bisogna fare con la pietra di luna, e tu?»

Harry scosse il capo, e nel farlo si accorse che il dolore alla tempia destra stava peggiorando. Pensò al lungo tema sulle guerre dei giganti e il dolore lo trafisse acuto. Sapendo benissimo che il mattino dopo avrebbe rimpianto di non aver finito i compiti quella sera, ammucchiò i libri dentro la borsa.

«Vado a dormire anch’io».

Avviandosi alla porta che conduceva ai dormitori passò accanto a Seamus, ma non lo guardò. Harry ebbe la fugace impressione che Seamus avesse aperto la bocca per parlare, ma accelerò e raggiunse la pace confortevole della scala a chiocciola di pietra senza dover sopportare altre provocazioni.

* * *

Il giorno dopo si annunciò plumbeo e piovoso come quello precedente. A colazione Hagrid mancava ancora dal tavolo degli insegnanti.

«Ma, in compenso, oggi niente Piton» disse Ron incoraggiante.

Hermione fece un gran sbadiglio e si versò del caffè. Sembrava vagamente compiaciuta per qualcosa, e quando Ron le chiese che cos’aveva da essere cosi contenta, si limitò a dire: «I berretti sono spariti. Pare che gli elfi domestici vogliano la libertà, dopotutto».

«Non ci scommetterei» le rispose Ron, tagliente. «Non so se contano come vestiti. A me non sembravano affatto dei berretti, piuttosto delle vesciche di lana».

Hermione non gli rivolse la parola per tutta la mattina.

Le due ore di Incantesimi furono seguite da due ore di Trasfigurazione. Sia il professor Vitious che la professoressa McGranitt passarono i primi undici minuti della loro lezione a fare una predica alla classe sull’importanza dei G.U.F.O.

«Quello che dovete ricordare» disse il piccolo professor Vitious con voce gracchiante, appollaiato come sempre su una pila di libri per riuscire a vedere oltre la cattedra, «è che questi esami possono infuenzare il vostro futuro per molti anni a venire! Se non avete ancora pensato seriamente alla vostra carriera, ora è il momento di farlo. E nel frattempo, temo che lavoreremo più che mai per garantire che tutti voi siate all’altezza del vostro talento!»

Poi passarono più di un’ora a ripassare gli Incantesimi di Appello, che secondo il professor Vitious sarebbero senz’altro venuti fuori all’esame di G.U.F.O., e lui completò la lezione assegnando loro il più gran quantitativo di compiti mai dati per Incantesimi.

A Trasfigurazione fu lo stesso, se non peggio.

«Non potete superare un G.U.F.O.» disse la professoressa McGranitt minacciosa, «senza una seria applicazione, esercizio e studio. Non vedo ragione per cui qualcuno in questa classe non dovrebbe ottenere un G.U.F.O. in Trasfigurazione, a patto che lavori sodo». Neville fece un versetto triste e incredulo. «Sì, anche tu, Paciock» continuò la professoressa McGranitt. «Non c’è niente che non vada nel tuo lavoro, a parte la mancanza di sicurezza. Quindi… oggi cominceremo gli Incantesimi Evanescenti. Sono più facili degli Incantesimi di Evocazione, che non dovreste affrontare fino al livello del M.A.G.O., ma sono sempre tra le magie più ardue in cui verrete valutati al G.U.F.O.».

Aveva ragione; Harry trovò gli Incantesimi Evanescenti tremendamente difficili. Alla fine delle due ore né lui né Ron erano riusciti a far sparire le lumache con le quali si stavano esercitando, anche se Ron dichiarò speranzoso che la sua gli sembrava un po’ più pallida. Hermione, d’altra parte, fece svanire con successo la sua lumaca al terzo tentativo, ottenendo un bonus di dieci punti per Grifondoro dalla professoressa McGranitt. Fu la sola a non avere compiti; a tutti gli altri venne ordinato di esercitarsi subito nell’incantesimo, pronti per un nuovo tentativo con le lumache il pomeriggio seguente.

Con un vago senso di panico per la catasta di compiti che li aspettava, Harry e Ron passarono l’ora di pranzo in biblioteca a indagare sugli usi della pietra di luna nella preparazione delle pozioni. Ancora arrabbiata per l’insulto di Ron ai suoi berretti di lana, Hermione non si unì a loro. Al momento di Cura delle Creature Magiche, nel pomeriggio, a Harry faceva di nuovo male la testa.

La giornata era diventata fresca e ventosa e, attraversando il prato che scendeva fino alla capanna di Hagrid al limitare della foresta proibita, sentirono qualche rara goccia di pioggia sul viso. La professoressa Caporal aspettava la classe a una trentina di metri dalla capanna; davanti a lei c’era un lungo tavolo su cavalletti carico di bastoncini. Harry e Ron si stavano avvicinando, quando un alto scoppio di risate risuonò alle loro spalle: si voltarono e videro Draco Malfoy che avanzava, circondato dalla solita banda di compari di Serpeverde. Doveva appena aver detto qualcosa di molto divertente, perché Tiger, Goyle, Pansy Parkinson e gli altri continuarono a sghignazzare di cuore mentre si radunavano attorno al tavolo; e a giudicare da come lo guardavano, Harry indovinò l’argomento della battuta senza troppe difficoltà.

«Ci siete tutti?» abbaiò la professoressa Caporal. «Allora cominciamo. Chi sa dirmi come si chiamano questi?»

Indicò il mucchio di bastoncini davanti a sé. La mano di Hermione scattò in aria. Alle sue spalle, Malfoy fece l’imitazione di lei con i denti sporgenti che saltava su e giù ansiosa di rispondere e Pansy Parkinson diede in una risata che si trasformò quasi subito in un urlo. I bastoncini sul tavolo balzavano in aria rivelandosi minuscole creature di legno simili a folletti, ciascuna dotata di braccia e gambe nodose e marroni, di due dita a rametto al termine di ciascuna mano e di una buffa faccia piatta di corteccia in cui luccicava un paio di occhi marrone scarafaggio.

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