La professoressa Umbridge sedette dietro la cattedra. Harry invece si alzò. Lo guardavano tutti; Seamus era mezzo spaventato, mezzo ammaliato.
«Harry, no!» sussurrò Hermione allarmata, tirandolo per una manica, ma lui allontanò il braccio con uno strattone.
«Quindi secondo lei Cedric Diggory è morto così, da solo, vero?» chiese con voce tremante.
Trattennero tutti il respiro, perché nessuno di loro, tranne Ron e Hermione, aveva mai sentito Harry parlare di ciò che era successo la notte della morte di Cedric. Spostarono gli sguardi curiosi da Harry alla professoressa Umbridge, che aveva alzato gli occhi e lo guardava senza alcuna traccia del suo sorriso posticcio.
«La morte di Cedric Diggory è stata un tragico incidente» rispose in tono gelido.
«È stato un assassinio» disse Harry. Avvertiva il proprio tremito. Non aveva parlato quasi con nessuno della cosa, men che meno davanti a trenta compagni di classe avidi di sapere. «Voldemort l’ha ucciso, e lei lo sa».
Il volto della Umbridge era privo di espressione. Per un attimo, Harry pensò che gli avrebbe urlato contro. Invece disse, con la voce più morbida, più dolcemente infantile che riuscì a trovare: «Venga qui, signor Potter, caro».
Lui calciò via la sedia, oltrepassò Ron e Hermione e raggiunse la cattedra. Sentì il resto della classe trattenere il respiro. Era così arrabbiato che non gli importava di quello che sarebbe successo.
La professoressa Umbridge estrasse un piccolo rotolo di pergamena rosa dalla borsetta, lo srotolò sulla cattedra, intinse la piuma in una boccetta di inchiostro e prese a scrivere in fretta, chinandosi in modo che Harry non potesse vedere quello che scriveva. Nessuno parlò. Dopo un minuto la Umbridge arrotolò la pergamena e la colpì con la bacchetta; il rotolo si sigillò completamente, in modo che lui non potesse aprirlo.
«Lo porti alla professoressa McGranitt, caro» disse la professoressa Umbridge, e gli porse il messaggio.
Lui lo prese e uscì dall’aula senza fiatare, senza nemmeno voltarsi a guardare Ron e Hermione. Sbatté la porta alle proprie spalle, percorse in fretta il corridoio con il biglietto per la McGranitt stretto in mano, e voltando un angolo cozzò contro Pix il Poltergeist, un ometto con una gran bocca che svolazzava sulla schiena a mezz’aria, facendo il giocoliere con parecchi calamai.
«Ma guarda, è Pottino Potter!» chiocciò Pix, lasciando cadere due calamai che si frantumarono a terra e schizzarono le pareti di inchiostro; Harry balzò indietro con un ringhio.
«Alla larga, Pix».
«Oooh, Potteruccio fa i capricci» disse Pix; inseguì Harry lungo il corridoio sfrecciando sopra di lui e guardandolo con astio. «Che cosa c’è questa volta, caro il mio amico Potty? Senti delle voci? Hai delle visioni? Parli delle strane…» e diede in una pernacchia gigante, « lingue? »
«Ho detto di lasciarmi IN PACE!» urlò Harry, scendendo di corsa la più vicina rampa di scale, ma Pix scivolò con la schiena lungo il corrimano.
«In molti son convinti che blateri insensato,
alcuni, più gentili, lo danno per malato,
ma Pix lo sa benissimo che Potty è un po’ suonato…»
«ZITTO!»
Una porta alla sua sinistra si aprì di colpo e la professoressa McGranitt uscì dal suo ufficio con aria cupa e un po’ infastidita.
«Si può sapere perché diamine urli, Potter?» scattò, mentre Pix gongolava allegramente e sfrecciava via. «Perché non sei a lezione?»
«Sono stato mandato da lei».
«Mandato? Come sarebbe, mandato ?»
Le tese il messaggio della professoressa Umbridge. La professoressa McGranitt lo prese, accigliata, lo aprì con un colpo di bacchetta, lo srotolò e cominciò a leggere. I suoi occhi si spostavano da un lato all’altro del foglio dietro gli occhiali quadrati mentre scorreva le parole della Umbridge, e a ogni riga si stringevano di più.
«Entra, Potter».
Harry la seguì nell’ufficio. La porta si chiuse da sola dietro di lui.
«Allora?» chiese la professoressa McGranitt, voltandosi. «È vero?»
«È vero che cosa?» chiese Harry, più aggressivo di quanto non volesse. «Professoressa?» aggiunse, nel tentativo di sembrare più educato.
«È vero che hai urlato contro la professoressa Umbridge?»
«Sì» rispose Harry.
«E le hai dato della bugiarda?»
«Sì».
«Le hai detto che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è tornato?»
«Sì».
La professoressa McGranitt si sedette alla sua scrivania e osservò Harry, accigliata. Poi disse: «Prendi un biscotto, Potter».
«Prendo… che cosa?»
«Prendi un biscotto» ripeté lei impaziente, indicando una scatola di latta stampata con un disegno scozzese in cima a una pila di documenti sulla scrivania. «E siediti».
Già in un’altra occasione Harry si era aspettato di venire bacchettato dalla professoressa McGranitt e invece si era visto assegnare alla squadra di Quidditch di Grifondoro. Sprofondò in una sedia di fronte a lei e prese uno Zenzerotto, confuso e spiazzato come quella volta.
La professoressa McGranitt posò il biglietto della professoressa Umbridge e guardò Harry con molta serietà.
«Potter, devi stare attento».
Harry inghiottì il boccone di Zenzerotto e la fissò. Il suo tono di voce non era affatto quello a cui era abituato; non era sbrigativo, asciutto e severo; era basso e ansioso e in qualche modo molto più umano del solito.
«Una cattiva condotta nella classe della professoressa Umbridge potrebbe costarti molto di più di qualche punto sottratto alla Casa e un castigo».
«Che cosa…?»
«Potter, usa il buonsenso» sbottò la professoressa McGranitt, con un brusco ritorno ai soliti modi. «Sai da dove viene, quindi dovresti sapere a chi riferisce».
Suonò la campana che segnalava la fine della lezione. Sopra di loro e tutto attorno risuonarono i rumori elefantiaci di centinaia di studenti in movimento.
«Qui c’è scritto che ti ha assegnato una punizione per tutte le sere di questa settimana, a partire da domani» disse la professoressa McGranitt, guardando di nuovo il biglietto della Umbridge.
«Tutte le sere della settimana!» ripeté Harry, orripilato. «Ma professoressa, non può…?»
«No, non posso» rispose la professoressa McGranitt in tono piatto.
«Ma…»
«È una tua insegnante e ha tutti i diritti di infliggerti punizioni. Andrai nel suo ufficio domani alle cinque per il primo. Ricorda solo questo: stai attento a Dolores Umbridge».
«Ma ho detto la verità!» esclamò Harry, offeso. «Voldemort è tornato, lei lo sa; il professor Silente sa che è…»
«Per l’amor del cielo, Potter!» inveì la McGranitt raddrizzandosi gli occhiali con rabbia (aveva fatto una smorfia terribile al nome di Voldemort). «Credi davvero che c’entrino la verità o le bugie? Il problema è che devi stare tranquillo e controllarti!»
Si alzò, le narici dilatate e la bocca sottilissima, e anche Harry si alzò.
«Prendi un altro biscotto» disse lei in tono irritato, spingendo la scatola verso di lui.
«No, grazie» rispose Harry freddamente.
«Non essere ridicolo».
Lui ne prese uno.
«Grazie» disse controvoglia.
«Non hai sentito il discorso di Dolores Umbridge al banchetto d’inizio anno, Potter?»
«Sì… ha detto… che il progresso verrà proibito o… be’, voleva dire che… che il Ministero della Magia sta cercando di interferire a Hogwarts».
La professoressa McGranitt lo scrutò per un attimo, poi tirò su col naso, fece il giro della scrivania e gli aprì la porta.
«Be’, sono felice che almeno ascolti Hermione Granger» disse, e gli fece segno di uscire dal suo ufficio.
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