J.K. Rowling - Harry Potter e l'Ordine della Fenice

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Harry Potter e l'Ordine della Fenice: краткое содержание, описание и аннотация

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Il quarto volume delle avventure di Harry Potter ci ha lasciato con il fiato sospeso: Lord Voldemort è tornato. Che cosa succederà ora che l’Oscuro Signore è di nuovo in pieno possesso dei suoi terrificanti poteri? Quanta morte e distruzione seminerà nel tentativo di riprendere il dominio dei mondo? Sono le stesse domande che si pone Harry Potter, disperatamente segregato — come tutte le estati — nella casa dei suoi zii Babbani, lontano dal mondo magico che gli appartiene. Ma qualcosa è cambiato anche in lui. Ormai quindicenne, lo ritroviamo divorato dalla frustrazione, dalla rabbia e dall’ansia di ribellione tipiche della sua età. In uno dei libri più attesi nella storia della letteratura, J.K. Bowling non cessa di stupirci. Tessendo un’altra stupefacente trama, riesce questa volta a dar voce alle inquietudini dell’adolescenza, ad arricchire il suo già mirabolante universo di nuove creature e nuovi indimenticabili personaggi, e anche a metterci in guardia contro la stupidità del potere e di chi lo usa per combattere il talento, il coraggio, la fantasia e la diversità.

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«Ma abbiamo un altro anno davanti prima di quel lieto congedo» continuò Piton piano, «così, che intendiate o no cercare di affrontare il M.A.G.O., consiglio a tutti voi di concentrare i vostri sforzi sul mantenimento dell’alta media che mi aspetto dai miei studenti.

«Oggi prepareremo una pozione che viene richiesta spesso al G.U.F.O.: la Bevanda della Pace, una pozione che calma l’ansia e placa l’agitazione. Attenti: se esagerate con gli ingredienti infliggerete al bevitore un sonno pesante e qualche volta irreversibile, quindi dovete prestare molta attenzione». Alla sinistra di Harry, Hermione si mise un po’ più diritta, ostentando la massima concentrazione. «Gli ingredienti e il metodo» disse Piton, agitando appena la bacchetta, «sono sulla lavagna» (e vi apparvero). «Troverete tutto quello che occorre» e agitò di nuovo la bacchetta, «nell’armadio» (la porta dell’armadio si spalancò). «Avete un’ora e mezza… cominciate».

Proprio come Harry, Ron e Hermione avevano predetto, Piton non avrebbe potuto assegnare una pozione più complicata e insidiosa. Gli ingredienti dovevano essere aggiunti nel calderone nell’ordine e nella quantità esatti; l’intruglio doveva essere mescolato per un preciso numero di volte, prima in senso orario, poi antiorario; il calore della fiamma sul quale sobbolliva doveva essere abbassato esattamente al livello giusto per un determinato numero di minuti prima di aggiungere l’ingrediente finale.

«Un lieve vapore d’argento dovrebbe ora sprigionarsi dalle vostre pozioni» annunciò Piton, a dieci minuti dalla fine.

Harry, che sudava copiosamente, si guardò intorno disperato. Il suo calderone emanava un’abbondante quantità di fumo grigio scuro; quello di Ron sprizzava scintille verdi. Seamus attizzava in modo febbrile le fiamme alla base del suo con la punta della bacchetta, perché erano lì lì per spegnersi. La superficie della pozione di Hermione, tuttavia, era una nebbiolina fosforescente di vapore argenteo, e passando Piton la guardò senza fare commenti, il che voleva dire che non trovava nulla da criticare. Ma davanti al calderone di Harry si fermò, e lo scrutò con un orribile sorriso mellifluo.

«Potter, e questa che cosa sarebbe?»

I Serpeverde in prima fila alzarono lo sguardo eccitati; adoravano quando Piton tormentava Harry.

«La Bevanda della Pace» rispose Harry, teso.

«Dimmi un po’, Potter» disse Piton dolcemente, «sai leggere?»

Draco Malfoy rise.

«Sì» rispose Harry, le dita serrate attorno alla bacchetta.

«Leggimi la terza riga delle istruzioni, Potter».

Harry guardò la lavagna strizzando gli occhi; non era facile decifrare le istruzioni nella bruma di vapore multicolore che riempiva il sotterraneo.

«“Aggiungere la pietra di luna in polvere, mescolare tre volte in senso antioriario, lasciar bollire per sette minuti, poi aggiungere due gocce di sciroppo di elleboro”».

Il suo cuore ebbe un tuffo. Non aveva aggiunto lo sciroppo di elleboro, ma era passato alla quarta riga delle istruzioni dopo aver lasciato bollire la sua pozione per sette minuti.

«Hai fatto tutto quello che c’era scritto alla terza riga, Potter?»

«No» rispose Harry molto piano.

«Prego?»

«No» disse Harry più forte. «Ho dimenticato l’elleboro».

«Lo so, Potter, il che vuol dire che questa porcheria è del tutto inutile. Evanesco » .

La pozione di Harry svanì; lui rimase come un idiota accanto al calderone vuoto.

«Quelli di voi che sono riusciti a leggere le istruzioni riempiano una fiaschetta con un campione della loro pozione, scrivano chiaramente sull’etichetta il loro nome e la portino alla mia scrivania per la verifica» disse Piton. «Compito: trenta centimetri di pergamena sulle proprietà della pietra di luna e i suoi usi nella preparazione di pozioni, da consegnare giovedì».

Mentre tutti attorno a lui riempivano le loro fiaschette, Harry ripose le sue cose, fremente. La sua pozione non era peggiore di quella di Ron, che al momento emanava un odoraccio di uova marce; né di quella di Neville, che aveva raggiunto la consistenza di cemento fresco e che Neville era intento a spalare dal calderone; eppure era lui, Harry, che avrebbe preso zero punti quel giorno. Rificcò la bacchetta nella borsa e si afflosciò sulla sedia, guardando gli altri sfilare fino alla cattedra di Piton con le fiaschette piene e tappate. Al suono della campana fu il primo a uscire, e aveva già cominciato a pranzare quando Ron e Hermione lo raggiunsero nella Sala Grande. Il soffitto era diventato di un grigio ancora più cupo nel corso della mattinata. La pioggia frustava le alte finestre.

«È stato davvero ingiusto» disse Hermione per consolarlo; prese posto vicino a Harry e si servì di carne e purè. «La tua pozione non era nemmeno lontanamente orrida come quella di Goyle; quando l’ha versata, la fiaschetta è andata in frantumi e gli si è incendiato il vestito».

«Già» mormorò Harry, guardando minaccioso il piatto, «quando mai Piton è stato giusto con me?»

Nessuno dei due rispose; tutti e tre sapevano che l’ostilità reciproca tra Piton e Harry era totale dal momento in cui Harry aveva messo piede a Hogwarts.

«Ero convinta che sarebbe andata un po’ meglio quest’anno» disse Hermione in tono deluso. «Voglio dire… insomma…» Si guardò intorno, cauta; c’erano una mezza dozzina di posti vuoti da entrambi i lati e nessuno stava passando «…adesso che fa parte dell’Ordine».

«Il lupo perde il pelo…» disse Ron saggiamente. «Comunque, io ho sempre pensato che Silente fosse pazzo a fidarsi di Piton. Dove sono le prove che ha davvero smesso di lavorare per Voi-Sapete-Chi?»

«Io credo che Silente abbia un sacco di prove, anche se non le racconta a te, Ron» ribatté Hermione.

«Oh, smettetela, voi due» sbottò Harry con veemenza, mentre Ron apriva la bocca per rispondere a tono. Sia lui che Hermione rimasero lì immobili, arrabbiati e offesi. «Non potete darci un taglio?» continuò Harry. «Non fate altro che beccarvi, è una cosa che mi fa impazzire». E, abbandonando il suo arrosto, si gettò di nuovo la borsa in spalla e li piantò lì seduti.

Salì la scalinata di marmo due gradini alla volta, superando i molti studenti che si affrettavano a scendere a pranzo. La rabbia che era appena divampata così a sorpresa ardeva ancora dentro di lui, e la visione delle facce sconvolte di Ron e Hermione gli dava una profonda soddisfazione. Gli sta bene, pensò, perché non la smettono… non fanno altro che bisticciare… farebbero diventare matto chiunque…

Oltrepassò il grande ritratto di Sir Cadogan il cavaliere su un pianerottolo; Sir Cadogan sfoderò la spada e la brandì con ferocia contro Harry, che lo ignorò.

«Toma indietro, vile cane! Fermati e combatti!» strillò Sir Cadogan con voce soffocata dietro la visiera, ma Harry continuò a camminare e, quando il cavaliere tentò di seguirlo correndo in un quadro confinante, fu respinto dal suo abitatore, un grosso levriero iracondo.

Harry passò il resto dell’ora di pranzo da solo, seduto sotto la botola in cima alla Torre Nord. Quindi fu il primo a salire la scala d’argento che portava nella classe di Sibilla Cooman quando suonò la campana.

Dopo Pozioni, Divinazione era la lezione che Harry amava di meno, soprattutto per l’abitudine della professoressa Cooman di predire la sua prematura morte ogni due o tre lezioni. Era una donna sottile, avvolta in strati di scialli e fili di perline scintillanti, e ricordava sempre a Harry un insetto, con quegli occhiali che le dilatavano le pupille. Quando Harry entrò nell’aula la trovò indaffarata a distribuire libri rilegati in pelle consunta su ciascuno dei tavolini dalle gambe esili; la luce emanata dalle lampade coperte da veli e il fuoco che ardeva basso e greve di aromi malsani erano così tenui che parve non accorgersi di lui che prendeva posto tra le ombre. Il resto della classe arrivò nei cinque minuti seguenti. Ron emerse dalla botola, si guardò intorno con attenzione, individuò Harry e andò diritto verso di lui, per quanto fosse possibile andare diritto in mezzo a tavoli, sedie e pouf troppo imbottiti.

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