«Voi lo sapete che cosa volete fare dopo Hogwarts?» chiese Harry agli altri due poco dopo, quando uscirono dalla Sala Grande diretti a Storia della Magia.
«Non proprio» disse Ron lentamente. «Solo che… be’…» Sembrava un po’ imbarazzato.
«Che cosa?» insisté Harry.
«Be’, sarebbe forte diventare Auror» rispose Ron disinvolto.
«Sì, è vero» concordò Harry.
«Però sono, insomma, il meglio» disse Ron. «Bisogna essere bravi sul serio. E tu, Hermione?»
«Non so» rispose lei. «Credo che mi piacerebbe fare qualcosa di davvero utile».
«Un Auror è utile!» esclamò Harry.
«Sì, è vero, ma non è la sola cosa utile» disse Hermione pensosa. «Voglio dire, se riuscissi a far crescere il CREPA…»
Harry e Ron evitarono accuratamente di guardarsi.
Storia della Magia era per opinione comune la materia più noiosa mai concepita dal mondo magico. Il professor Rüf, il loro insegnante fantasma, aveva una voce affannosa e monotona che dava la garanzia quasi assoluta di una pesante sonnolenza entro dieci minuti, cinque quando faceva caldo. Non variava mai la forma delle sue lezioni, ma parlava senza interrompersi mentre gli allievi prendevano appunti, o piuttosto fissavano il vuoto insonnoliti. Harry e Ron fino ad allora erano riusciti a strappare la sufficienza copiando gli appunti di Hermione prima degli esami; solo lei sembrava capace di resistere al potere soporifero della voce di Rüf.
Quel giorno sopportarono tre quarti d’ora di borbottii sulle guerre dei giganti. Harry sentì abbastanza nei primi dieci minuti da intuire che, affidata a un altro insegnante, la materia avrebbe potuto essere vagamente interessante, ma a quel punto il suo cervello si scollegò, e lui trascorse la restante ora e venti a giocare con Ron all’impiccato su un angolo della pergamena, sotto gli sguardi torvi di Hermione.
«Che cosa succederebbe» chiese lei in tono gelido quando uscirono dalla classe per l’intervallo (Rüf fluttuò via attraverso la lavagna), «se quest’anno mi rifiutassi di prestarvi i miei appunti?»
«Verremmo bocciati al G.U.F.O.» rispose Ron. «Se vuoi questo peso sulla coscienza, Hermione…»
«Be’, ve lo meritereste» sbottò lei. «Non ci provate nemmeno ad ascoltarlo, vero?»
«Ci proviamo eccome» ribatté Ron. «È solo che non abbiamo il tuo cervello o la tua memoria o la tua concentrazione… sei più brava di noi, tutto qui… ti pare bello farcelo pesare?»
«Oh, non rifilarmi queste sciocchezze» disse Hermione, ma parve un po’ addolcita mentre marciava davanti a loro nel cortile umido.
Cadeva una pioggerellina fitta e leggera, e i ragazzi riuniti a gruppetti attorno al cortile sembravano come sfocati. Harry, Ron e Hermione scelsero un angolo appartato sotto un balcone che gocciolava pesantemente, si rialzarono i colletti contro la fredda aria di settembre e parlarono di che cosa avrebbe preparato Piton per la prima lezione dell’anno. Erano arrivati a concordare che probabilmente sarebbe stato qualcosa di molto impegnativo, per coglierli alla sprovvista dopo due mesi di vacanze, quando qualcuno voltò l’angolo e venne verso di loro.
«Ciao, Harry!»
Era Cho Chang, e per di più era di nuovo sola. Cosa alquanto insolita: Cho era quasi sempre circondata da una banda di ragazze ridacchianti; Harry ricordava la difficoltà di trovarla da sola per invitarla al Ballo del Ceppo.
«Ciao» le disse, e sentì che la faccia gli si scaldava. Almeno questa volta non sei coperto di Puzzalinfa, si disse. Cho a quanto pareva stava pensando la stessa cosa.
«Allora ti sei liberato di quella roba, eh?»
«Sì» rispose Harry, cercando di sorridere, come se il ricordo del loro ultimo incontro fosse divertente invece che umiliante. «Allora, hai… ehm… passato una bella estate?»
Il tempo di pronunciare queste parole, e desiderò di non averlo fatto: Cedric era stato il ragazzo di Cho, e il ricordo della sua morte doveva aver afflitto la sua vacanza almeno quanto quella di Harry. Qualcosa parve irrigidirsi sul suo volto, ma lei rispose: «Oh, è andato tutto bene, sai…»
«È una spilla dei Tornados?» chiese Ron all’improvviso, indicando la veste di Cho, dove era fissata una spilla azzurro cielo con incisa una doppia “T” d’oro. «Non tieni mica per loro, vero?»
«Sì» rispose Cho.
«Da sempre, o solo da quando hanno cominciato a vincere il campionato?» chiese Ron, con un tono di voce che Harry giudicò eccessivamente accusatorio.
«Tengo per loro da quando avevo sei anni» rispose Cho con freddezza. «Comunque… ci vediamo, Harry».
E se ne andò. Hermione aspettò che Cho fosse a metà cortile prima di scagliarsi contro Ron.
«Sei privo di qualsiasi tatto!»
«Che cosa? Le ho chiesto solo se…»
«Non hai capito che voleva parlare da sola con Harry?»
«E allora? Poteva farlo, non gliel’ho impedito…»
«Perché l’hai aggredita sulla sua squadra di Quidditch?»
«Aggredita? Io non l’ho aggredita, stavo solo…»
«Chi se ne importa se tiene ai Tornados?»
«Oh, andiamo, metà della gente che vedi con quelle spille le ha comprate solo la stagione scorsa…»
«Ma che importanza ha?»
«Vuol dire che non sono dei veri tifosi, saltano sul carrozzone del vincitore…»
«La campanella» disse Harry svogliato, perché Ron e Hermione discutevano a voce troppo alta per poterla sentire. Non smisero di litigare per tutta la strada fino al sotterraneo di Piton, così Harry ebbe il tempo per riflettere che, tra Neville e Ron, sarebbe stato fortunato a sostenere due minuti di conversazione con Cho che poi potesse ricordare senza voler lasciare il paese.
Eppure, pensò mentre si univano alla coda che si allungava fuori dalla classe di Piton, Cho aveva deciso di venire a parlare con lui, no? Era stata la ragazza di Cedric; avrebbe potuto odiare Harry per essere uscito vivo dal labirinto del Tremaghi quando Cedric era morto, eppure gli parlava da amica, non come se lo credesse pazzo, o bugiardo, o in qualche orrendo modo responsabile per la morte di Cedric… sì, aveva proprio deciso di venire a parlare con lui, ed era la seconda volta in due giorni… a quell’idea l’umore di Harry si risollevò. Perfino il cigolio minaccioso della porta del sotterraneo di Piton che si apriva non fece scoppiare la piccola, speranzosa bolla che pareva essersi gonfiata nel suo petto. Entrò in classe dietro a Ron e Hermione e li seguì al solito banco in fondo, dove sedette ignorando i loro battibecchi.
«Seduti» disse Piton con voce fredda, chiudendosi la porta alle spalle.
Non ci fu bisogno di richiamare nessuno all’ordine: nel momento in cui la classe aveva sentito la porta chiudersi, ogni irrequietezza si era placata. La sola presenza di Piton bastava ad assicurare il silenzio in una classe.
«Prima di cominciare la lezione di oggi» disse Piton, raggiungendo la cattedra e facendo scorrere lo sguardo su tutti gli studenti, «ritengo opportuno ricordarvi che il prossimo giugno affronterete un esame importante, durante il quale dimostrerete quanto avete imparato sulla composizione e l’uso delle pozioni magiche. Per quanto alcuni alunni di questa classe siano senza dubbio deficienti, mi aspetto che strappiate un “Accettabile” al vostro G.U.F.O., o incorrerete nel mio… disappunto».
Il suo sguardo questa volta indugiò su Neville, che deglutì.
«Dopo quest’anno, naturalmente, molti di voi smetteranno di studiare con me» continuò Piton. «Io ammetto solo i migliori nella mia classe di Pozioni per il M.A.G.O., il che significa che ad alcuni dovrò dire addio».
I suoi occhi si soffermarono su Harry e le sue labbra si arricciarono. Harry rispose allo sguardo torvo, provando un fiero piacere all’idea che dopo il quinto anno avrebbe potuto piantarla con Pozioni.
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