Tonks si scusò più e più volte, trascinando l’enorme, pesante zampa di troll al suo posto; la signora Weasley abbandonò il tentativo di chiudere le tende e corse su e giù per l’ingresso, Schiantando tutti gli altri ritratti con la bacchetta; un uomo con lunghi capelli neri corse fuori da una porta di fronte a Harry.
«Taci, orrida vecchia strega, TACI!» ringhiò, afferrando la tenda abbandonata dalla signora Weasley.
La vecchia impallidì.
« Tuuuuu! » ululò, gli occhi fuori dalle orbite. « Traditore del tuo sangue, abominio, vergogna della mia carne! »
«Ho… detto… TACI!» ruggì l’uomo, e con uno sforzo formidabile lui e Lupin riuscirono a richiudere le tende.
Gli strilli della vecchia si spensero ed echeggiarono nel silenzio.
Un po’ ansante, Sirius, il padrino di Harry, si allontanò i lunghi capelli scuri dagli occhi e si voltò verso di lui.
«Ciao, Harry» disse in tono cupo. «Vedo che hai fatto conoscenza con mia madre».
CAPITOLO 5
L’ORDINE DELLA FENICE
«Tua…?»
«La mia cara vecchia mamma, sì» disse Sirius. «È un mese che cerchiamo di tirarla giù, ma deve aver gettato un Incantesimo di Adesione Permanente sul retro della tela. Scendiamo, presto, prima che si risveglino tutti quanti».
«Ma che cosa ci fa qui il ritratto di tua madre?» chiese Harry, sconcertato, mentre varcavano la porta e scendevano per primi lungo una rampa di stretti scalini di pietra.
«Non te l’hanno detto? Questa era la casa dei miei genitori» spiegò Sirius. «Ma io sono l’ultimo Black rimasto, quindi adesso è mia. L’ho offerta a Silente come Quartier Generale… praticamente è l’unica cosa utile che sono riuscito a fare».
Harry, che si era aspettato un benvenuto più affettuoso, notò come suonava dura e amara la voce di Sirius. Seguì il padrino in fondo ai gradini, oltre una porta che conduceva in cucina.
Era poco meno tetra dell’ingresso di sopra, una stanza cavernosa con le pareti di pietra viva. La luce proveniva per lo più da un gran fuoco all’altra estremità. Una cortina di fumo di pipa aleggiava nell’aria come vapori di battaglia, attraverso cui affioravano indistinte le forme minacciose di pesanti pentole e padelle di ferro appese al soffitto buio. Molte sedie erano state stipate nella stanza per la riunione, attorno a un lungo tavolo di legno, carico di rotoli di pergamena, calici, bottiglie di vino vuote, e un mucchio di quelli che sembravano stracci. Al capo del tavolo il signor Weasley e il suo figlio maggiore Bill parlavano piano, con le teste vicine.
La signora Weasley si schiarì la voce. Suo marito, un uomo magro, coi capelli rossi, una calvizie incipiente e occhiali di corno, si guardò intorno e balzò in piedi.
«Harry!» esclamò. Si avvicinò per salutarlo e gli strinse forte la mano. «È bello vederti!»
Dietro di lui Harry scorse Bill, che portava ancora i lunghi capelli raccolti in una coda, arrotolare in fretta le pergamene rimaste sul tavolo.
«Tutto bene il viaggio, Harry?» gridò Bill, cercando di raccogliere dieci rotoli in una volta sola. «Malocchio non vi ha fatto venire via Groenlandia, allora?»
«Ci ha provato» disse Tonks, che si fece avanti per aiutare Bill e rovesciò all’istante una candela sull’ultimo foglio. «Oh, no… mi dispiace… »
«Ecco, cara» sospirò la signora Weasley esasperata, e riparò la pergamena con un colpo di bacchetta. Nel lampo di luce provocato dall’incantesimo della signora Weasley, Harry colse uno scorcio di quella che sembrava la pianta di un edificio.
La signora Weasley si era accorta del suo sguardo. Tolse bruscamente la pergamena dal tavolo e la ficcò tra le braccia già sovraccariche di Bill.
«Queste cose dovrebbero essere messe via in fretta alla fine delle riunioni» sbottò, prima di spostarsi verso un’antica credenza, dalla quale prese i piatti per la cena.
Bill estrasse la bacchetta, borbottò « Evanesco! » e i rotoli sparirono.
«Siediti, Harry» disse Sirius. «Hai già conosciuto Mundungus, vero?»
La cosa che Harry aveva scambiato per un mucchio di stracci emise un prolungato sbuffo simile a un grugnito, poi si svegliò con un sussulto.
«Qualcuno mi chiama?» biascicò assonnato. «Sono d’accordo con Sirius…» Alzò una mano molto sporca come per votare; i suoi occhi languidi e iniettati di sangue erano appannati.
Ginny ridacchiò.
«La riunione è finita, Dung» disse Sirius, e si sedettero tutti al tavolo attorno a lui. «Harry è arrivato».
«Eh?» fece Mundungus, scrutando cupo Harry attraverso i capelli rossicci impastati. «Accidenti, allora è arrivato. Sicuro… stai bene, Harry?»
«Sì» rispose.
Mundungus frugò nervosamente nelle tasche, senza smettere di fissare Harry, ed estrasse una pipa nera incrostata di sporcizia. Se la ficcò in bocca, accese il fornello con la bacchetta e trasse una bella boccata. Enormi nuvole fluttuanti di fumo verdastro lo oscurarono in pochi secondi.
«Ti devo le mie scuse» grugnì una voce dal centro della nube odorosa.
«Per l’ultima volta, Mundungus» gridò la signora Weasley, «vuoi smetterla di fumare quella roba in cucina, soprattutto quando stiamo per mangiare?»
«Ah» disse Mundungus. «Giusto. Scusa, Molly».
Mundungus ripose la pipa in tasca e la nube di fumo svanì, ma un acre odore di calzini bruciati rimase nell’aria.
«E se volete cenare prima di mezzanotte avrò bisogno di una mano» disse la signora Weasley, rivolta a tutti quanti. «No, tu resta dove sei, Harry caro, hai fatto un lungo viaggio».
«Che cosa posso fare, Molly?» chiese Tonks entusiasta, balzando avanti.
La signora Weasley esitò con aria preoccupata.
«Ehm… no, è tutto a posto, Tonks, riposati anche tu, per oggi hai fatto abbastanza».
«No, no, voglio dare una mano!» esclamò Tonks allegramente, rovesciando una sedia mentre correva verso la credenza dalla quale Ginny stava scegliendo le stoviglie.
Ben presto una serie di pesanti coltelli tagliuzzavano carne e verdure per conto loro, sotto la sorveglianza del signor Weasley; intanto la signora Weasley mescolava un calderone appeso sopra il fuoco e gli altri prendevano piatti, calici e cibo dalla dispensa. Harry rimase a tavola con Sirius e Mundungus, che continuava a sbattere le palpebre in modo lugubre, guardandolo.
«Hai rivisto la vecchia Figgy?»
«No» rispose Harry. «Non ho visto nessuno».
«Capisci, non è che me ne sarei andato» disse Mundungus chinandosi in avanti, con una nota di supplica nella voce, «ma c’era questa occasione, un vero affare…»
Harry sentì qualcosa strusciare contro le sue ginocchia e sussultò, ma era solo Grattastinchi, il gatto rosso con le gambe storte di Hermione, che girò ancora una volta attorno alle sue caviglie, facendo le fusa, poi balzò in grembo a Sirius e si acciambellò. Sirius lo grattò dietro le orecchie con aria assente e si rivolse a Harry, senza abbandonare la sua espressione cupa.
«Hai passato una bella estate finora?»
«No, schifosa» rispose Harry.
Per la prima volta qualcosa di simile a un ghigno passò sul volto di Sirius.
«Non so proprio di che cosa ti lamenti».
«Che cosa?» disse Harry incredulo.
«Personalmente, avrei accolto con gioia un attacco di Dissennatori. Una lotta mortale per la mia anima avrebbe interrotto piacevolmente la monotonia. Tu credi che ti sia andata male, ma almeno hai potuto uscire e andare in giro, muovere le gambe, buttarti in qualche rissa… io sono chiuso qui dentro da un mese».
«Come mai?» chiese Harry, accigliato.
«Perché il Ministero della Magia mi sta ancora cercando e Voldemort ormai saprà che sono un Animagus, Codaliscia gliel’avrà detto. Così il mio brillante travestimento è inutile. Non c’è molto che possa fare per l’Ordine della Fenice… o almeno è ciò che pensa Silente».
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