«Be’, arrivederci, Harry!» esclamò allegramente Rita Skeeter. «A venerdì sera, allora, Hagrid!»
«Non farà che distorcere tutto quello che le dirà» mormorò Harry sottovoce.
«Purché non li abbia importati illegalmente, quegli Schiopodi» disse Hermione sconfortata. Si scambiarono uno sguardo: era esattamente il genere di cosa che Hagrid avrebbe potuto fare.
«Hagrid si è ficcato in un mucchio di guai prima d’ora, e Silente non lo ha mai licenziato» rispose Ron in tono consolatorio. «Il peggio che può capitare è che Hagrid si debba liberare degli Schiopodi. Ooops… ho detto il peggio? Volevo dire il meglio».
Harry e Hermione risero, e andarono a pranzo un po’ più tranquilli.
Harry si godette appieno le due ore di Divinazione quel pomeriggio; erano ancora alle prese con mappe stellari e predizioni, ma ora che lui e Ron erano tornati amici, la cosa era di nuovo molto divertente. La professoressa Cooman, che era stata così soddisfatta di tutti e due quando avevano predetto la propria orrenda morte, ben presto reagì bruscamente alle loro risatine, che facevano da sottofondo alla sua spiegazione dei vari modi in cui Plutone poteva sconvolgere la vita quotidiana.
«Sarei indotta a credere » disse, in un sussurro mistico che non nascondeva la sua evidente irritazione, «che alcuni di noi» — e scoccò uno sguardo molto eloquente a Harry — «sarebbero un po’ meno frivoli se avessero visto ciò che ho visto io durante il mio esame della sfera la scorsa notte. Mentre ero là seduta, assorta nel mio ricamo, la necessità di consultare l’Occhio mi ha sopraffatta. Mi sono alzata, ho preso posto davanti a esso e ho scrutato nelle sue profondità cristalline… e cosa credete che abbia visto là dentro?»
«Un brutto vecchio pipistrello con gli occhiali enormi?» bisbigliò Ron a mezza voce.
Harry si sforzò intensamente di restare serio.
« La Morte, miei cari».
Sia Calì che Lavanda si portarono le mani alla bocca, terrificate.
«Sì» riprese la professoressa Cooman, e annuì con decisione, «viene, è sempre più vicina, volteggia sopra di noi come un avvoltoio, sempre più bassa… sempre più bassa sui castello…»
Fissò con insistenza Harry, che sbadigliò vistosamente.
«Metterebbe un po’ più paura se non l’avesse già fatto un’ottantina di volte» disse Harry, quando finalmente tornarono all’aria fresca delle scale fuori dall’aula della professoressa Cooman. «Ma se fossi caduto stecchito tutte le volte che me l’ha predetto, sarei un miracolo della scienza medica».
«Saresti una specie di fantasma superconcentrato» sghignazzò Ron, mentre incrociavano il Barone Sanguinario che avanzava nella direzione opposta, i grandi occhi sinistramente fissi. «Almeno non ci ha dato compiti. Spero che Hermione se ne becchi un bel po’ dal professor Vector, adoro non avere da studiare quando lei sgobba…»
Ma Hermione non venne a cena, e non era nemmeno in biblioteca più tardi, quando andarono a cercarla. La sola persona là dentro era Victor Krum. Ron gironzolò dietro gli scaffali per un po’, osservò Krum, discusse bisbigliando con Harry se era il caso di chiedergli l’autografo: ma poi si rese conto che sei o sette ragazze erano appostate nel corridoio lì dietro, intente a discutere la stessa identica cosa, e il suo entusiasmo svanì.
«Chissà dov’è andata» disse Ron, mentre lui e Harry tornavano alla Torre di Grifondoro.
«Non so… Guazzabuglio ».
Ma la Signora Grassa aveva appena cominciato a scattare in avanti quando un rumore di passi affrettati alle loro spalle annunciò l’arrivo di Hermione.
«Harry!» esclamò ansante, fermandosi di colpo dietro di lui (la Signora Grassa la guardò dall’alto inarcando le sopracciglia). «Harry, devi venire — devi venire, è successa una cosa incredibile… per favore…»
Afferrò Harry per un braccio e cercò di trascinarlo indietro nel corridoio.
«Che cosa succede?» le chiese Harry.
«Te lo farò vedere quando saremo là… oh, andiamo, presto…»
Harry cercò con gli occhi Ron, che rispose al suo sguardo, incuriosito.
«Ok» disse Harry, seguendo Hermione lungo il corridoio, mentre Ron gli teneva dietro.
«Oh, non fate caso a me!» gridò loro la Signora Grassa, seccata. «Non scusatevi per avermi disturbato! Devo restare qui appesa a occhi aperti finché non tornate, vero?»
«Sì, grazie» gridò Ron al di sopra della propria spalla.
«Hermione, dove stiamo andando?» chiese Harry dopo che lei li ebbe trascinati giù per sei piani ed ebbe imboccato la scalinata di marmo che portava alla Sala d’Ingresso.
«Vedrete, vedrete fra un minuto!» disse Hermione eccitata.
Ai piedi delle scale voltò a sinistra e corse verso la porta che Cedric Diggory aveva varcato la notte dopo che il Calice di Fuoco aveva sputato il suo nome e quello di Harry. Harry non l’aveva mai oltrepassata prima. Lui e Ron seguirono Hermione giù per una rampa di scalini di pietra, ma invece di finire in un cupo passaggio sotterraneo come quello che portava alla cantina di Piton, si ritrovarono in un ampio corridoio di pietra, ben illuminato da torce, e decorato da allegri quadri che raffiguravano soprattutto cibo.
«Oh, aspetta un po’…» disse Harry lentamente a metà del corridoio. «Aspetta un attimo, Hermione…»
«Cosa?» Lei si voltò a guardarlo.
«So di che cosa si tratta» disse Harry.
Diede una gomitata a Ron e indicò il quadro alle spalle di Hermione. Ritraeva una gigantesca ciotola d’argento piena di frutta.
«Hermione!» esclamò Ron, cominciando a capire. «Stai cercando di incastrarci in quella faccenda di CREPA!»
«No, no, non è così!» disse lei in fretta. «Non è CREPA, Ron…»
«Hai cambiato il nome?» disse Ron guardandola torvo. «Adesso che cosa siamo, il Fronte di Liberazione degli Elfi Domestici? Non ho intenzione di piombare in quella cucina per cercare di farli smettere di lavorare, non lo farò…»
«Non ti sto chiedendo questo!» ribatté Hermione con impazienza. «Sono appena scesa a parlare con loro, e ho scoperto… oh, andiamo, Harry, voglio che tu veda!»
Lo afferrò di nuovo per il braccio, lo trascinò davanti al quadro della ciotola gigante, tese l’indice e fece il solletico alla grossa pera verde, che prese a contorcersi, ridacchiando, e all’improvviso si trasformò in una grossa maniglia verde. Hermione la afferrò, spalancò la porta e spinse con decisione Harry all’interno.
Harry ebbe appena il tempo di scorgere un’enorme stanza dal soffitto alto, con cumuli di pentole e padelle di rame lucente accatastate lungo le pareti di pietra, e un enorme focolare di mattoni all’altro capo, quando qualcosa di piccolo sfrecciò verso di lui dal centro della stanza, squittendo: «Harry Potter, signore! Harry Potter! »
Un istante dopo l’elfo urlatore gli piombò dritto contro lo stomaco, abbracciandolo così forte che credette che gli si spezzassero le costole.
«D-Dobby?» disse, boccheggiando.
«Sì, è proprio Dobby, signore, sì!» disse la vocina acuta da un punto imprecisato nei dintorni del suo ombelico. «Dobby sperava tanto di vedere Harry Potter, signore, e Harry Potter è venuto a trovarlo, signore!»
Dobby lo lasciò andare e fece qualche passo indietro, sorridendogli da sotto in su, gli enormi occhi verdi a forma di palline da tennis traboccanti di lacrime di felicità. Aveva quasi lo stesso aspetto che ricordava Harry: naso a matita, orecchie da pipistrello, mani e piedi lunghi — tutto tranne gli abiti, che erano molto diversi. Quando Dobby lavorava per i Malfoy, indossava sempre la stessa vecchia federa sudicia. Ora, invece, portava il più stravagante assortimento di vestiti che Harry avesse mai visto; era ancora peggio dei maghi camuffati da Babbani alla Coppa del Mondo. In testa aveva un copriteiera con attaccato un bel numero di spille vistose; una cravatta a disegni di ferri di cavallo sul petto nudo, un paio di quelli che sembravano pantaloncini da calcio taglia bambino, e calzini spaiati. Uno era quello che Harry aveva usato per far sì che Lucius Malfoy liberasse Dobby; l’altro era a strisce rosa e arancioni.
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