J. Rowling - Harry Potter e il calice di fuoco

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Harry Potter e il calice di fuoco: краткое содержание, описание и аннотация

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È un momento cruciale nella vita di Harry: ormai è un mago adolescente, vuole andarsene dalla casa degli odiosi Dursley, vuole sognare la Cercatrice del Corvonero per cui ha una cotta tremenda... Intanto, grandiosi avvenimenti si stanno preparando alla scuola di Hogwarts, dove si svolgerà un torneo tra tutte le più importanti scuole di magia. E nonostante non abbia ancora 16 anni, età per iscriversi alla competizione, Harry viene scelto dal Calice di Fuoco per superare prove terrificanti: si troverà faccia a faccia con la morte, come sempre per colpa del perfido Voldemort; e con l’amore.
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 2001.

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Sirius tacque, senza smettere di fissare la parete della caverna. Fierobecco frugava nel terreno roccioso, in cerca di ossa che gli fossero sfuggite.

Alla fine Sirius alzò gli occhi verso Ron. «Hai detto che tuo fratello è l’assistente personale di Crouch? Non potresti chiedergli se ha visto Crouch di recente?»

«Posso provarci» rispose Ron dubbioso. «Meglio non fargli capire che sospetto che Crouch stia combinando qualcosa di losco, però. Percy adora Crouch».

«E già che ci sei potresti cercare di scoprire se hanno qualche indizio su Bertha Jorkins» aggiunse Sirius, indicando un’altra copia della Gazzetta del Profeta.

«Bagman mi ha detto che non ne hanno» rispose Harry.

«Sì, è citato nell’articolo» disse Sirius. «La fa tanto lunga sulla pessima memoria di Bertha. Be’, può essere cambiata da quando la conoscevo io, ma quella Bertha non era affatto smemorata, semmai il contrario. Era un po’ ottusa, ma aveva un’ottima memoria per i pettegolezzi. Cosa che la metteva spesso nei guai, non sapeva mai quando tenere la bocca chiusa. Un bel peso per il Ministero della Magia… forse è per questo che Bagman ha aspettato così tanto a cercarla…»

Sirius emise un gran sospiro e si strofinò gli occhi pesti. «Che ore sono?»

Harry guardò l’orologio, poi gli venne in mente che non funzionava da quando aveva trascorso un’ora nel lago.

«Sono le tre e mezzo» disse Hermione.

«È meglio che torniate a scuola» disse Sirius, alzandosi. «Ora, sentite…» Lanciò un’occhiata particolarmente intensa a Harry. «Non voglio che voi tre scappiate via da scuola per venire a trovarmi, capito? Mandatemi dei messaggi e basta. Voglio ancora sapere se succede qualcosa di strano. Ma non dovete uscire da Hogwarts senza permesso, sarebbe l’occasione ideale se qualcuno vi volesse aggredire».

«Finora nessuno ha cercato di aggredirmi, a parte un drago e un paio di Avvincini» disse Harry.

Ma Sirius lo guardò severamente. «Non m’importa… Tirerò un sospiro di sollievo quando questo Torneo sarà finito, e cioè non prima di giugno. E non dimenticate: se parlate di me tra di voi, chiamatemi Tartufo, d’accordo?»

Tese a Harry il tovagliolo e il fiasco vuoto, e andò ad accarezzare Fierobecco per salutarlo. «Verrò con voi fino all’inizio del villaggio» disse, «così vedo se riesco a scroccare un altro giornale».

Si trasformò di nuovo nell’enorme cane nero prima che uscissero dalla caverna, e i tre amici ridiscesero lungo il fianco della montagna con lui, attraversarono la landa cosparsa di massi e raggiunsero lo steccato. Qui Sirius permise loro di accarezzargli la testa a turno, prima di voltarsi e dirigersi di corsa verso il limitare del villaggio.

Harry, Ron e Hermione riattraversarono Hogsmeade e puntarono verso Hogwarts.

«Chissà se Percy sa tutte queste cose di Crouch» disse Ron mentre risalivano il viale che conduceva al castello. «Ma forse non gl’importa… probabilmente non farebbe che aumentare la sua ammirazione per Crouch. Percy adora le regole. Direbbe solo che Crouch si è rifiutato di violarle per suo figlio».

«Percy non darebbe mai nessuno della sua famiglia in pasto ai Dissennatori» disse Hermione in tono serio.

«Non lo so» rispose Ron. «Se si convincesse che siamo d’intralcio alla sua carriera… Percy è proprio ambizioso, sai…»

Risalirono i gradini di pietra ed entrarono nell’Ingresso, dove gli aromi squisiti della cena aleggiarono verso di loro dalla Sala Grande.

«Povero vecchio Tartufo» disse Ron, ansante. «Deve proprio volerti bene, Harry… pensa un po’, dover vivere di topi».

CAPITOLO 28

LA FOLLIA DEL SIGNOR CROUCH

Domenica dopo colazione Harry, Ron e Hermione salirono alla Guferia per spedire una lettera a Percy e chiedergli, come aveva suggerito Sirius, se avesse visto il signor Crouch ultimamente. Usarono Edvige, perché era tantissimo tempo che non le affidavano un incarico. Quando l’ebbero vista sparire dalla finestra della Guferia, scesero nelle cucine per portare a Dobby i suoi calzini nuovi.

Gli elfi domestici diedero loro un caloroso benvenuto, facendo inchini e riverenze e affannandosi a preparare di nuovo il tè. Dobby fu estasiato da! regalo.

«Harry Potter è troppo buono con Dobby!» squittì, asciugandosi i lacrimoni dagli occhi enormi.

«Mi hai salvato la vita con l’Algabranchia, Dobby, veramente» disse Harry.

«Non è che ci sono ancora quei bigné, eh’?» disse Ron, guardando gli elfi domestici impegnati a sorridere radiosi e inchinarsi.

«Hai appena fatto colazione!» esclamò Hermione irritata, ma un gran vassoio d’argento carico di bigné stava già sfrecciando verso di loro, portato da quattro elfi.

«Dovremmo prendere qualcosa da mandare a Tartufo» sussurrò Harry.

«Buona idea» disse Ron. «Diamo qualcosa da fare a Leo. Non potreste darci un po’ di cibo in più, eh?» disse agli elfi che lo circondavano. Quelli s’inchinarono rapiti e corsero a prendere altra roba.

«Dobby, dov’è Winky?» chiese Hermione, guardandosi attorno.

«Winky è laggiù vicino al fuoco, signorina» disse Dobby piano, le orecchie un po’ afflosciate.

«Oh poverina» disse Hermione quando la vide.

Anche Harry guardò verso il focolare. Winky era seduta sullo stesso sgabello dell’ultima volta, ma si era tanto trascurata che sulle prime non si riusciva a distinguerla dai mattoni anneriti dal fumo che le facevano da sfondo. I suoi abiti erano strappati e sudici. Brandiva una bottiglia di Burrobirra e oscillava sullo sgabello, fissando il fuoco. Mentre la guardavano, singhiozzò sonoramente.

«Adesso Winky ne butta giù sei bottiglie al giorno» sussurrò Dobby a Harry.

«Be’, non è forte, quella roba» disse Harry.

Ma Dobby scosse la testa. «Per un elfo domestico è forte, signore» disse.

Winky singhiozzò di nuovo. Gli elfi che avevano portato i bignè le scoccarono sguardi di disapprovazione mentre tornavano al lavoro.

«Winky si strugge, Harry Potter» mormorò Dobby in tono triste. «Winky vuole andare a casa. Winky crede ancora che il signor Crouch è il suo padrone, signore, e niente di quello che dice Dobby la convincerà che il professor Silente è il suo padrone adesso».

«Ehi, Winky» disse Harry, colto da un’improvvisa ispirazione, avvicinandosi e chinandosi per parlarle, «non sai che cos’ha in mente il signor Crouch, per caso? Perché ha smesso di venire a fare il giudice al Torneo Tremaghi».

Gli occhi di Winky s’illuminarono. Le sue enormi pupille si fermarono su Harry. Si dondolò ancora un pochino e poi disse: «P-padrone ha smesso — hic — di venire?»

«Sì» disse Harry, «non lo vediamo dalla prima prova. La Gazzetta del Profeta dice che è malato».

Winky si dondolò ancora un po’, fissando confusamente Harry. «Padrone — hic — malato?»

Il labbro inferiore prese a tremare.

«Ma non siamo certi che sia vero» intervenne rapida Hermione.

«Padrone ha bisogno della sua — hic — Winky!» piagnucolò l’elfa. «Padrone non può — hic — farcela — hic — tutto solo…»

«Altre persone riescono a fare i lavori di casa da soli, sai, Winky» disse severamente Hermione.

«Winky — hic — non fa solo — hic — i lavori di casa per il signor Crouch!» strillò l’elfa indignata, dondolandosi più forte che mai e versando la Burrobirra sulla camicia già coperta di macchie. «Padrone affida — hic — a Winky — hic — il più importante — hic — il più segreto…»

«Cosa?» chiese Harry.

Ma Winky scosse violentemente la testa, rovesciandosi addosso dell’altra Burrobirra.

«Winky tiene — hic — i segreti del suo padrone» disse in tono riottoso, oscillando forte e guardando Harry in cagnesco con gli occhi strabici. «Tu sta — hic — ficcando il naso, tu sta».

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