Hermione alzò una mano tremante.
«Ottimo!» sorrise Allock. «Veramente ottimo! Lei conquista dieci punti per il Grifondoro! E ora, al lavoro…»
Si chinò per raccogliere una grossa gabbia coperta da un panno e la posò sulla cattedra.
«Ora… un avvertimento! Il mio compito è quello di armarvi contro le più orrende creature note alla stirpe dei maghi! In questa stanza potrete trovarvi a dover affrontare le vostre peggiori paure. Sappiate soltanto che niente di male potrà accadervi fintanto che io sono qui. Vi chiedo solo di rimanere calmi».
Suo malgrado, Harry si sporse oltre la pila di libri per guardare meglio la gabbia. Allock mise una mano sul panno. Ora Dean e Seamus avevano smesso di ridere. Neville, nel suo banco in prima fila, si era fatto piccolo piccolo.
«Devo chiedervi di non gridare» disse Allock abbassando la voce. «Potrebbe aizzarli».
Mentre la classe tratteneva il respiro Allock tolse la coperta.
«Ebbene sì» disse in tono drammatico. «Folletti della Cornovaglia appena catturati».
Seamus Finnigan non riuscì a controllarsi. Sbottò in una risata che neanche Allock riuscì a prendere per un grido di terrore.
«Ebbene?» sorrise a Seamus.
«Be’, non sono… non sembrano molto… pericolosi » disse Seamus soffocando dalle risate.
«Se fossi in te non ne sarei tanto sicuro» disse Allock scuotendo un dito ammonitore in direzione del ragazzo. «Possono essere tipetti discretamente diabolici!»
I folletti erano di colore blu elettrico, alti circa venti centimetri, con visetti appuntiti e voci così penetranti che era come sentire il cicaleccio di un nugolo di pappagallini. Appena tolta la coperta avevano cominciato a ciarlare e a saettare di qua e di là, scuotendo le sbarre e facendo le boccacce a quelli seduti più vicino.
«Bene» disse Allock ad alta voce. «Vediamo che cosa siete capaci di farne!» E aprì la gabbia.
Ci fu un pandemonio. I folletti schizzavano in tutte le direzioni come missili. Due di loro afferrarono Neville per le orecchie e lo sollevarono in aria. Molti si fiondarono contro le finestre, innaffiando di vetri rotti quelli dell’ultima fila. Gli altri si impegnarono a distruggere la classe meglio di un rinoceronte infuriato. Afferrarono i calamai e spruzzarono inchiostro dappertutto, ridussero a brandelli libri e fogli di carta, strapparono i quadri dalle pareti, rovesciarono il cestino della carta, afferrarono borse e libri e li scaraventarono fuori dalle finestre rotte; nel giro di pochi minuti metà della classe si riparava sotto i banchi e Neville oscillava appeso al candelabro sul soffitto.
«Su, muovetevi, radunateli, radunateli! In fondo sono soltanto folletti…» gridava Allock.
Si tirò su le maniche, brandì la bacchetta magica e ruggì: « Peskipiksi Pesternomi! »
Non accadde assolutamente nulla; uno dei folletti ghermì la bacchetta di Allock e scaraventò anche quella fuori dalla finestra. Allock strabuzzò gli occhi e si tuffò sotto la cattedra, evitando per un pelo di essere schiacciato da Neville, che si schiantò al suolo perché il candelabro aveva ceduto.
La campanella suonò e ci fu un fuggi fuggi verso l’uscita. Nella calma relativa che seguì Allock si rialzò in piedi, vide Harry, Ron e Hermione che avevano quasi raggiunto la porta e disse: «Bene, affido a voi il compito di acchiappare quelli che sono rimasti fuori e di rimetterli nella gabbia». Li sorpassò come una saetta e si chiuse rapidamente la porta alle spalle.
«Roba da non credere!» tuonò Ron mentre un folletto gli mordeva un orecchio.
«Vuole semplicemente farci fare esperienza» disse Hermione mentre immobilizzava in un colpo due folletti con un astuto Incantesimo di Congelamento e li rimetteva nella gabbia.
«Esperienza?» disse Harry cercando di agguantare un folletto che si teneva fuori tiro e faceva le linguacce. «Hermione, te lo dico io: non aveva la più pallida idea di quel che stava facendo».
«Sciocchezze» disse Hermione. «Hai letto i suoi libri… Guarda tutte le cose strabilianti che ha fatto…»
«Che dice di aver fatto» bofonchiò Harry.
Capitolo 7
Mezzosangue e mezze voci
Nei giorni successivi, Harry passò molto tempo a mimetizzarsi ogni volta che intravedeva Gilderoy Allock per un corridoio. Più difficile da evitare era Colin Canon, che sembrava avesse imparato a memoria i suoi orari. Niente sembrava emozionarlo di più del chiedergli sei o sette volte al giorno: «Tutto bene, Harry?» e del sentirsi rispondere da lui un laconico ed esasperato «Ciao, Colin».
Edvige ce l’aveva sempre con Harry per il disastroso viaggio in macchina e la bacchetta magica di Ron era ancora in avaria: aveva superato se stessa il venerdì mattina, quando era sfuggita dalle mani di Ron durante la lezione di Incantesimi e aveva colpito il piccolo professor Vitious dritto in mezzo agli occhi, procurandogli un grosso e doloroso foruncolo verde.
Perciò, fra una cosa e l’altra, Harry fu molto contento che fosse arrivato il week-end. Lui, Ron e Hermione volevano andare a trovare Hagrid il sabato mattina. Ma proprio quel sabato Harry fu svegliato da Oliver Baston, il capitano della squadra di Quidditch del Grifondoro, diverse ore prima di quanto avrebbe voluto.
«Che succede?» chiese mezzo intontito.
«Allenamento di Quidditch!» disse Baston. «Giù dalle brande!»
Harry sbirciò fuori della finestra. Sospesa tra il rosa e l’oro del cielo c’era una nebbiolina sottile. Ora che si era svegliato non riusciva a capire come avesse potuto dormire con tutto il baccano degli uccelli.
«Ma Oliver» gracchiò, «è appena l’alba!»
«Appunto» disse Baston. Era un ragazzo del sesto anno, alto e tarchiato, e in quel momento lo sguardo gli brillava di un folle entusiasmo. «Fa parte del nostro nuovo programma di allenamento. Muoviti, prendi il tuo manico di scopa e andiamo» disse concitato. «Nessuna delle altre squadre ha cominciato gli allenamenti, noi saremo i primi in classifica quest’anno…»
Tra brividi e sbadigli Harry scese dal letto e cominciò a cercare la tuta da Quidditch.
«Molto bene, vecchio mio» disse Baston. «Ci vediamo sul campo tra un quarto d’ora».
Trovata la tuta scarlatta e buttatosi sulle spalle il mantello per scaldarsi un po’, Harry scarabocchiò un biglietto per Ron spiegandogli dove era andato e, Nimbus Duemila in spalla, scese la scala a chiocciola che portava alla sala comune. Aveva quasi raggiunto il varco coperto dal ritratto quando udì un rumore alle sue spalle: era Colin Canon che scendeva come un razzo giù per la scala a chiocciola, con la macchina fotografica appesa al collo che oscillava furiosamente e qualcosa stretto in mano.
«Ho sentito qualcuno fare il tuo nome per le scale, Harry! Guarda che cosa ho qui! L’ho fatta sviluppare, volevo mostrartela…»
Harry guardò sbalordito la foto che Colin gli stava sventolando sotto il naso.
Un Allock in bianco e nero strattonava un braccio che Harry riconobbe come suo. Fu con piacere che vide la propria immagine fotografica lottare niente male e rifiutarsi di essere inquadrata. Poi vide Allock rinunciare e cadere, ansimando, contro il bordo bianco della foto.
«Me la firmi?» chiese Colin ansioso.
«No» rispose Harry in tono deciso, guardandosi intorno per controllare che nella stanza non ci fosse nessuno. «Scusami, Colin, ma ho fretta… allenamento di Quidditch».
Si arrampicò su per il varco lasciato libero dal quadro.
«Oh, che bello! Aspettami! Non ho mai visto una partita di Quidditch!»
E Colin si arrampicò dietro di lui.
«Sarà una cosa molto noiosa» si affrettò a dire Harry, ma Colin, che scoppiava di entusiasmo, lo ignorò.
«Tu sei il giocatore più giovane del Grifondoro negli ultimi cento anni, non è vero, Harry? Di’, non è vero?» insistette Colin trotterellandogli a fianco. «Devi essere molto bravo. Io non ho mai volato. È facile? E quella scopa è proprio tua? È la migliore che esiste?»
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