Abraham Merritt - Gli abitatori del miraggio

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Gli abitatori del miraggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Otto milioni di copie vendute per otto libri pubblicati: un record che nessun altro autore fantastico e fantascientifico ha mai eguagliato. Abraham Merritt, che siamo lieti di presentare sulle pagine di « Futuro » con uno dei suoi più noti capolavori, è una figura dominante nella letteratura immaginativa americana. Capostipite di una «scuola» che ha fra i suoi esponenti Fritz Leiber, Jack Vance ed Ira Levin, è il più grande ed affascinante creatore di mondi fantastici. Mondi dimenticati in luoghi inaccessibili, nascosti tra le pieghe del tempo, perduti tra i labirinti di altre sconosciute dimensioni. « Gli abitatori del miraggio » lo presenta in questa vena, che ha una grande tradizione narrativa. Merritt trasporta i suoi personaggi —ed i lettori con essi — dalla magica desolazione del deserto di Gobi, culla dell’uomo. agli universi misteriosi che si celano al di là dell’illusione e del miraggio. Universi popolati da figure mitiche, da genti e creature favolose, su cui domina l’ombra minacciosa del Kraken, che guida l’eterna battaglia fra il Bene ed il Male, incarnati in due figure di donna egualmente enigmatiche ed inafferrabili. Universi alternativi alla grigia realtà contemporanea, che fanno sognare e pensare.

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Mi diede un’occhiata di sottecchi.

«E se fosse vero?»

«Ormai quasi tutti i soldati sono dalla tua parte, Dwayanu. E se fosse vero, avresti dalla tua anche quasi tutto il popolo. Ma Tibur ha amici… anche tra i soldati. E Lur non è debole.»

Costrinse il suo cavallo ad alzare la testa, con cattiveria.

«È meglio che tu uccida anche Lur, finché te la senti, Dwayanu!»

Non risposi. Trottammo lungo i vialetti, senza parlare più. Dovunque c’erano cadaveri, e case sventrate. Uscimmo dalla città, e attraversammo la stretta spianata fino al varco tra le pareti rocciose. In quel momento non c’era nessuno, sulla strada, e passammo la gola inosservati. Uscimmo sullo spiazzo dietro la fortezza. Lì c’erano soldati, moltissimi, e gruppi di prigionieri. Io procedevo al centro del mio squadrone, chino sul collo del cavallo. Dara mi aveva fasciato approssimativamente la testa. Le bende e l’elmo che avevo raccolto nascondevano i miei capelli gialli. C’era molta confusione, e nessuno mi riconobbe. Mi avviai alla porta della torre, dietro la quale eravamo rimasti in agguato mentre le truppe di Karak prendevano il ponte. Entrai con il cavallo e chiusi a mezzo la porta. Le mie donne si raggrupparono all’esterno. Non era probabile che venisse contestato il loro diritto di restare lì. Io mi accinsi ad aspettare Tibur.

Era una dura attesa! La faccia di Jim, davanti al fuoco da campo. La faccia di Jim che mi sorrideva nelle trincee. La faccia di Jim china su di me, quando io giacevo sulla scarpata muscosa, alla soglia del miraggio… la faccia di Jim, rovesciata sotto di me, sulla strada di Sirk…

Tsantawu… Sì, Tsantawu! E tu pensavi che dalla foresta potesse uscire soltanto qualcosa di incantevole!

Evalie? Non m’importava nulla di Evalie in quel momento, preso com’ero in quel limbo che era contemporaneamente ghiaccio e furore incandescente.

«Salva… Evalie!» mi aveva raccomandato Jim. Ebbene, avrei salvato Evalie! A parte questo, lei non contava più dell’Incantatrice… sì, un po’ di più… Avevo un conto da saldare con l’Incantatrice… Con Evalie non ne avevo…

La faccia di Jim… sempre la faccia di Jim… librata davanti a me…

Udii un sussurro.

«Dwayanu… sta arrivando Tibur!»

«Lur è con lui, Dara?»

«No: c’è un gruppo di nobili. Sta ridendo. Porta in arcione la ragazza bruna.»

«Quant’è lontano, Dara?»

«Circa un tiro di freccia. Cavalca lentamente.»

«Quando uscirò, stringetevi dietro di me. Sarà un duello fra me e Tibur. Non credo che i suoi accompagnatori oseranno attaccarmi. Se lo faranno…»

Dara rise.

«Se lo faranno, gli balzeremo alla gola, Dwayanu. Ci sono uno o due amici di Tibur con i quali vorrei regolare il conto. Questo ti chiediamo: non sprecare parole né tempo con Tibur. Uccidilo in fretta. Perché, per gli Dèi, se lui uccide te, per tutte quelle di noi che catturerà ci saranno la vasca bollente e i coltelli degli scuoiatori.»

«Lo ucciderò, Dara.»

Aprii la grande porta, adagio. Adesso potevo vedere Tibur, sul suo cavallo che veniva al passo verso l’estremità del ponte. Sulla sella c’era Evalie. Lei stava afflosciata; i capelli neroazzurrati erano sciolti e le coprivano la faccia come un velo. Aveva le mani legate dietro il dorso, strette da una mano di Tibur. Intorno e dietro il Fabbro c’era una dozzina dei suoi seguaci: erano nobili, e quasi tutti uomini. Avevo notato che, sebbene l’Incantatrice avesse pochi uomini tra le sue guardie, il Fabbro dimostrava una preferenza per loro, come amici e come scorta personale. Teneva girata la testa verso di loro, e la sua voce ruggente di trionfo e la sua risata giungevano fino a me. Ormai nel recinto non c’erano quasi più soldati né prigionieri. Non c’era nessuno tra noi. Mi chiesi dove fosse l’Incantatrice.

Tibur era più vicino, più vicino.

«Pronte, Dara… Naral?»

«Pronte, Signore!»

Spalancai la porta. Spronai il cavallo verso Tibur, tenendomi chino, con il mio piccolo esercito che mi seguiva. Deviai verso di lui rialzando la testa, accostai la faccia alla sua.

Tibur s’irrigidì: mi guardò negli occhi e spalancò la bocca. Capii che quanti lo seguivano erano rimasti inchiodati dallo stesso sbalordimento incredulo. Prima che il Fabbro potesse riprendersi dalla paralisi, gli avevo strappato Evalie dalla sella e l’avevo passata a Dara.

Levai la spada per squarciare la gola di Tibur. Non gli diedi un preavviso. Non c’era tempo per le regole cavalieresche. Per due volte aveva cercato di uccidermi a tradimento. Lo avrei finito in fretta.

Sebbene il mio colpo fosse stato rapido, il Fabbro lo fu ancora di più. Si ributtò all’indietro, scivolò dal cavallo e atterrò sui tacchi, come un gatto. Balzai dal mio stallone prima che avesse alzato a mezzo il suo grosso martello per scagliarlo. Avventai la lama per trapassargli la gola. La parò con il martello. Poi fu preso da una furia folle. Il martello cadde con uno schianto sulla roccia. Si avventò su di me, ululando. Mi avvinghiò con le braccia, imprigionando le mie contro i fianchi, in una stretta di acciaio vivo. Con le gambe cercò di rovesciarmi. Le sue labbra erano ritratte, come quelle di un lupo idrofobo; mi piantò la testa alla base del collo, cercando di lacerarmi la gola con i denti.

Le costole mi scricchiolarono sotto la morsa delle braccia di Tibur. I polmoni mi scoppiavano, la vista si affievoliva. Mi contorsi e mi dibattei per sfuggire a quelle fauci rosse, a quelle zanne affannose.

Udii grida, attorno a me, udii e intravvidi il mulinare dei cavalli. Le dita convulse della mia mano sinistra toccarono la mia cintura… si chiusero su qualcosa… qualcosa che sembrava l’impugnatura di un giavellotto…

Il dardo diabolico di Tibur!

Mi afflosciai, inerte, all’improvviso, nella stretta del Fabbro. Tuonò la sua risata, rauca di trionfo. E per una frazione di secondo, la sua presa si allentò.

Quell’attimo fu sufficiente. Chiamai a raccolta tutte le mie forze e mi liberai dalla morsa. Prima che potesse abbrancarmi ancora, la mia mano era affondata nella cintura e ne aveva estratto il dardo.

L’alzai di scatto e lo piantai nella gola di Tibur, sotto k mascella. Tirai il manico. Le flange affilate come rasoi si aprirono, recidendo arterie e muscoli. La risata belluina di Tibur si cambiò in un orrendo gorgoglìo. Le sue mani cercarono l’impugnatura, la tirarono… la strapparono via…

E il sangue zampillò dalla gola squarciata di Tibur; le ginocchia gli si piegarono; barcollò e cadde ai miei piedi, soffocando… e le sue mani, debolmente, cercavano ancora di abbrancarmi…

Rimasi immobile, stordito, ansando per ritrovare il respiro, con il sangue che mi rombava nelle orecchie.

«Bevi questo, Signore!»

Alzai gli occhi verso Dara. Mi stava porgendo una borraccia di vino. La presi tra le mani tremanti e bevvi a lungo. Il buon vino mi sferzò. Mi staccai di colpo la borraccia dalle labbra.

«La ragazza bruna dei Rrrllya… Evalie. Non è con te?»

«Eccola là. L’ho messa su un altro cavallo. C’è stato da combattere, Signore.»

Guardai in faccia Evalie. Lei ricambiò il mio sguardo con gli occhi castani freddi, implacabili.

«È meglio che usi il resto del vino per lavarti il viso, Signore. Non sei uno spettacolo adatto ad una tenera fanciulla.»

Mi passai la mano sulla faccia e la ritirai bagnata di sangue.

«È sangue di Tibur, Dwayanu, grazie agli Dèi!»

Dara mi portò il mio cavallo. Mi sentii meglio quando fui di nuovo in sella. Gettai un’occhiata a Tibur. Le sue dita si agitavano ancora, debolmente. Mi guardai intorno. Accanto al ponte c’era una compagnia sbandata di arciere di Karak. Alzarono gli archi in atto di saluto.

«Dwayanu! Viva Dwayanu!»

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