Il mio drappello mi parve stranamente ridotto. Chiamai… «Naral!»
«È morta, Dwayanu. Ti ho detto che si è combattuto.»
«Chi l’ha uccisa?»
«Non importa. Quello l’ho fatto fuori io. E i superstiti della scorta di Tibur sono fuggiti. E adesso, Signore?»
«Attendiamo Lur.»
«Non dovremo attendere molto. Sta arrivando.»
Squillò un corno. Mi voltai e vidi l’Incantatrice che attraversava al galoppo lo spiazzo. Le trecce rosse erano sciolte, la spada arrossata: era sporca per la battaglia quasi quanto me. Con lei galoppavano una dozzina scarsa delle sue donne, e una mezza dozzina dei suoi nobili.
L’aspettai. Lur frenò il cavallo davanti a me, scrutandomi con occhi accesi, frenetici.
Avrei dovuto ucciderla come avevo ucciso Tibur. Avrei dovuto odiarla. Ma mi accorsi che non l’odiavo. Tutto l’odio che prima c’era in me sembrava essersi riversato su Tibur. No, non l’odiavo.
Lei sorrise lievemente.
«È difficile ucciderti, Capelli Gialli!»
«Dwayanu… Incantatrice.»
Mi lanciò un’occhiata quasi sprezzante.
«Tu non sei più Dwayanu!»
«Prova a convincere i soldati, Lur.»
«Oh, lo so,» disse lei, e abbassò gli occhi su Tibur. «Così hai ucciso il Fabbro. Bene, almeno sei ancora un uomo.»
«L’ho ucciso per te, Lur!» l’irrisi. «Non te lo avevo promesso?»
Non mi rispose: chiese soltanto, come prima aveva fatto Dara: «E adesso?»
«Attendiamo qui, fino a che Sirk sarà vuota Poi andremo a Karak, e tu cavalcherai al mio fianco. Non mi piace averti alle spalle, Incantatrice.»
Lei parlò sottovoce alle sue donne, poi restò a testa china, riflettendo, senza rivolgermi più la parola.
Bisbigliai a Dara: «Possiamo fidarci delle arciere?»
Lei annuì.
«Ordina loro di attendere e di marciare con noi. E di’ che trascinino il corpo di Tibur in qualche angolo.»
Per mezz’ora passarono i soldati, con i prigionieri e i cavalli, il bestiame e il resto del bottino. Arrivarono al galoppo piccoli drappelli di nobili con i loro seguaci, e si fermarono per parlare: ma alla mia parola e al cenno di Lur, varcarono il ponte. Quasi tutti i nobili parevano sbigottiti e scontenti della mia resurrezione: i soldati mi salutavano gaiamente.
Poi anche l’ultima compagnia a ranghi ridotti uscì dal varco. Io mi aspettavo di vedere Sri, ma non era con quelli: ne dedussi che era stato portato a Karak insieme ai primi prigionieri, o forse era stato ucciso.
«Vieni,» dissi all’Incantatrice. «Di’ alle tue donne di precederci.»
Mi avvicinai ad Evalie, l’issai dalla sella e me la misi in arcione. Non oppose resistenza, ma la sentii ritrarsi da me. Sapevo che era convinta di essere passata da Tibur ad un altro padrone, di essere per me soltanto una preda di guerra. Se non avessi avuto la mente così stanca, penso che ne avrei sofferto. Ma ero troppo sfinito per curarmene.
Varcammo il ponte, tra le nebbie del vapore. Eravamo quasi arrivati alla foresta quando l’Incantatrice rovesciò all’indietro la testa e lanciò un richiamo lungo, ululante. I lupi bianchi irruppero dalle felci. Ordinai alle arciere d’incoccare le frecce. Lur scosse il capo.
«Non devi far loro del male. Vanno a Sirk. Si sono meritati la paga.»
I lupi bianchi corsero attraverso lo spiazzo spoglio verso l’estremità del ponte, l’imboccarono, svanirono. Li udii ululare tra i morti.
«Anch’io mantengo le mie promesse,» disse l’Incantatrice.
Proseguimmo, addentrandoci nella foresta, per tornare a Karak.
XXII
LA PORTA DI KHALK’RU
Eravamo vicini a Karak quando i tamburi del Piccolo Popolo cominciarono a rullare.
Una stanchezza plumbea s’impadroniva di me, sempre più forte. Faticavo a restare sveglio. Il colpo che avevo ricevuto in testa da Tibur era una delle cause: ma avevo preso altri colpi e non avevo mangiato nulla da prima dell’alba. Non riuscivo a pensare, e meno ancora a progettare ciò che avrei fatto dopo essere rientrato a Karak.
I tamburi del Piccolo Popolo mi scossero dal letargo, mi ridestarono completamente. All’inizio scrosciarono come un tuono sopra il fiume bianco. Poi scesero ad un ritmo lento, misurato, carico di minacce implacabili. Sembrava che la Morte fosse ritta sulle tombe vuote e le calpestasse prima di mettersi in marcia.
Al primo scroscio Evalie si raddrizzò, poi ascoltò con tutti i nervi tesi. Trattenni il mio cavallo, e vidi che anche l’Incantatrice si era fermata e stava ascoltando con la stessa intensità di Evalie. C’era qualcosa d’inspiegabilmente inquietante in quel tambureggiare monotono. Qualcosa che andava al di là ed al di fuori dell’esperienza umana… o che non la raggiungeva. Era come se migliaia di cuori messi a nudo battessero all’unisono, in un unico ritmo inalterabile, che non sarebbe cessato fino a quando anche i cuori non si fossero fermati… inesorabile… crescente in un’area sempre più vasta… e si diffondeva, si diffondeva… fino a battere su tutta la terra al di là del bianco Nanbu.
Parlai a Lur.
«Sto pensando che questa è l’ultima delle mie promesse, Incantatrice. Ho ucciso Yodin, ti ho dato Sirk, ho ucciso Tibur… ed ecco la tua guerra con i Rrrllya.»
Non avevo pensato a quel che avrebbe provato Evalie! Si voltò e mi lanciò un lungo, fermo sguardo di sarcasmo; poi disse all’Incantatrice, freddamente, in un uiguro zoppicante: «È la guerra. Non te l’aspettavi, quando hai osato catturarmi? Ci sarà guerra fino a quando il mio popolo non mi riavrà. È meglio che tu stia attenta a come ti servi di me.»
L’autocontrollo dell’Incantatrice si spezzò a quelle parole, e i fuochi a lungo repressi della sua collera esplosero.
«Bene! Ora spazzeremo via una volta per tutti i tuoi cani gialli. E tu verrai scuoiata, o immersa nel calderone… o data a Khalk’ru. Che vincano o perdano… ai tuoi cani resterà ben poco di te. Tu verrai usata come vorrò io.»
«No,» dissi. «Come vorrò io, Lur.»
Gli occhi azzurri divamparono. E gli occhi castani incontrarono i miei, sardonici come prima.
«Dammi un cavallo. Non mi piace il tuo contatto… Dwayanu.»
«Nonostante questo dovrai cavalcare con me, Evalie.»
Entrammo in Karak. I tamburi rullavano, ora forte, ora sommessi. Ma sempre con quel ritmo immutabile, inesorabile. Ora forte, ora piano, forte e piano. Come se la Morte calpestasse le tombe cave… ora rabbiosamente ed ora con leggerezza.
C’era molta gente per le strade. Guardavano tutti Evalie, e bisbigliavano. Non vi furono acclamazioni né grida di benvenuto. Sembravano incupiti, spaventati. Poi capii che erano così intenti ad ascoltare i tamburi da avvedersi appena del nostro passaggio. I tamburi erano più vicini. Li sentivo parlare di postazione in postazione lungo la sponda opposta del fiume. Le lingue dei tamburi parlanti risuonavano più forti delle altre. E continuavano a ripetere: « E-vah-li! Evah-li! »
Attraversammo lo spiazzo aperto, verso la porta della cittadella nera. Mi fermai.
«Tregua, Lur.»
Lei lanciò un’occhiata beffarda ad Evalie.
«Tregua! Che bisogno c’è d’una tregua tra me e te, Dwayanu?»
Io dissi, calmo: «Sono stanco di massacri. Tra i prigionieri vi sono alcuni Rrrllya. Portiamoli dove possono parlare con Evalie e con noi due. Poi ne libereremo una parte, li manderemo oltre il Nanbu, a portare l’annuncio che non intendiamo fare alcun male ad Evalie. Che invitiamo i Rrrllya a inviarci domani un’ambasceria autorizzata a concludere una pace duratura. E che quando la pace sarà conclusa, potranno ricondurre Evalie con loro, e illesa.»
Lur disse, sorridendo: «Dunque… Dwayanu ha paura dei nani!»
Io ripetei: «Sono stanco di massacri.»
«Ahimé,» sospirò lei. «Eppure non una volta sola ho sentito Dwayanu vantarsi che egli mantiene sempre le sue promesse… e mi sono lasciata indurre a pagare in anticipo! Ahimé, Dwayanu è cambiato!»
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