Abraham Merritt - Gli abitatori del miraggio

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Gli abitatori del miraggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Otto milioni di copie vendute per otto libri pubblicati: un record che nessun altro autore fantastico e fantascientifico ha mai eguagliato. Abraham Merritt, che siamo lieti di presentare sulle pagine di « Futuro » con uno dei suoi più noti capolavori, è una figura dominante nella letteratura immaginativa americana. Capostipite di una «scuola» che ha fra i suoi esponenti Fritz Leiber, Jack Vance ed Ira Levin, è il più grande ed affascinante creatore di mondi fantastici. Mondi dimenticati in luoghi inaccessibili, nascosti tra le pieghe del tempo, perduti tra i labirinti di altre sconosciute dimensioni. « Gli abitatori del miraggio » lo presenta in questa vena, che ha una grande tradizione narrativa. Merritt trasporta i suoi personaggi —ed i lettori con essi — dalla magica desolazione del deserto di Gobi, culla dell’uomo. agli universi misteriosi che si celano al di là dell’illusione e del miraggio. Universi popolati da figure mitiche, da genti e creature favolose, su cui domina l’ombra minacciosa del Kraken, che guida l’eterna battaglia fra il Bene ed il Male, incarnati in due figure di donna egualmente enigmatiche ed inafferrabili. Universi alternativi alla grigia realtà contemporanea, che fanno sognare e pensare.

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E pensai che se volevo salvare Evalie… se volevo fare ciò che adesso sapevo di dover fare, a costo della vita, dovevo continuare ad essere, esteriormente, solo Dwayanu. Quello era il mio potere. Non sarebbe stato facile spiegare alle mie soldatesse una trasformazione come quella che avevo subito. Credevano in me e mi seguivano perché ero Dwayanu. Se Evalie, che mi aveva conosciuto come Leif, che mi aveva amato come Leif, che aveva ascoltato Jim, non aveva capito… come potevano capire costoro? No, non dovevano vedere nessun cambiamento.

Mi tastai la testa. Il taglio era lungo e profondo: a quanto pareva, il mio cranio non si era spaccato soltanto perché era troppo solido.

«Dara… hai visto chi mi ha ferito?»

«È stato Tibur, Signore.»

«Ha tentato di uccidermi… Perché non mi ha finito?»

«La sinistra di Tibur non ha mai fallito nel dare la morte. Lui crede che non possa fallire. Ti ha visto cadere… ti ha creduto morto.»

«E la morte mi ha mancato di un capello. Non mi avrebbe mancato, se qualcuno non mi avesse scaraventato da una parte. Sei stata tu, Dara?»

«Sono stata io, Dwayanu. L’ho visto insinuare la mano nella cintura, ho capito cosa stava per fare. Ti ho abbrancato alle ginocchia… in modo che lui non mi vedesse.»

«Perché? Hai paura di Tibur?»

«No. Perché volevo lasciargli credere che non aveva sbagliato il colpo.»

«E perché?»

«In modo che tu avessi un’occasione migliore per ucciderlo, Signore. La tua forza stava dileguando insieme alla vita del tuo amico.»

Guardai attento la mia capitana dagli occhi arditi. Che cosa sapeva? Bene, avrei avuto tempo per scoprirlo. Guardai la pira funebre. Era quasi completa.

«Che cosa ha lanciato, Dara?»

Lei si sfilò dalla cintura un’arma bizzarra, quale non avevo mai visto. L’estremità era appuntita come un pugnale, con quattro costolature affilate come rasoi ai lati. Aveva un manico metallico, lungo venti centimetri, rotondo, simile all’asta di un giavellotto in miniatura. Pesava circa due chili. Era fatta di un metallo che non riconobbi: più completo e più duro del migliore acciaio temperato. In pratica, era un coltello da lancio. Ma nessuna maglia metallica poteva respingere quella punta adamantina, scagliata da un uomo forte come il Fabbro. Dara me la tolse di mano e tirò il corto manico. Immediatamente, le costole scattarono aprendosi come flange. All’estremità erano foggiate come uncini rovesciati. Era un’arma diabolica, se mai ne avevo vista una. Una volta piantata, non c’era modo di svellerla se non tagliando; tirando il manico si facevano scattare le flange che si agganciavano nella carne. La ripresi dalle mani di Dara e me l’infilai nella cintura. Se avevo avuto qualche dubbio su ciò che avrei fatto a Tibur… ora non ne avevo più.

La pira era stata ultimata. Andai a prendere Jim, e ve lo deposi. Lo baciai sugli occhi e gli misi una spada nella mano. Spogliai la sala delle ricche tappezzerie, e lo drappeggiai con quelle. Con una selce, appiccai il fuoco alla pira. Il legno era asciutto e resinoso, e bruciò rapidamente. Guardai le fiamme salire fino a quando il fumo e il fuoco formarono un baldacchino attorno a Jim.

Poi, ad occhi asciutti ma con la morte nel cuore, uscii da quella casa, tra le mie soldatesse.

Sirk era caduta, ed il saccheggio era in corso. Dovunque, dalle case devastate, si levava il fumo. Un distaccamento di soldatesse ci incrociò, trascinando una dozzina di prigionieri: erano tutte donne e bambini, e alcuni erano feriti. Poi vidi che tra quelli che avevo scambiato per bambini c’era un gruppetto di pigmei dorati. Quando mi videro le soldatesse si fermarono, s’irrigidirono e mi guardarono incredule.

Poi una gridò.

«Dwayanu! Dwayanu è vivo!» Alzarono le spade in atto di saluto, lanciando un grido: «Dwayanu!»

Feci un cenno alla capitana.

«Allora credevate che Dwayanu fosse morto?»

«Così ci hanno detto, Signore.»

«E vi hanno detto anche come ero stato ucciso?»

Quella esitò.

«Alcuni dicevano che era stato il Nobile Tibur… per errore… aveva lanciato l’arma contro il comandante di Sirk che ti stava minacciando… e invece ha colpito te… e che il tuo corpo era stato portato via da quelli di Sirk… non so…»

«Basta così, soldatessa. Conduci a Karak i prigionieri. Non indugiare, e non dire che mi hai visto. È un ordine. Per un po’, lascerò che mi si creda morto.»

Le soldatesse si scambiarono strane occhiate, salutarono e passarono oltre. Gli occhi gialli dei pigmei, saturi di un odio velenoso, non mi lasciarono fino a quando non si furono allontanati. Attesi, riflettendo. Dunque era quello che avevano raccontato! Ma dovevano avere paura, altrimenti non si sarebbero presi il disturbo di diffondere la diceria dell’incidente! Presi una decisione. Era inutile aggirarmi per Sirk in cerca di Tibur. Era assurdo farmi vedere, in modo che alle orecchie di Tibur e di Lur arrivasse la notizia che Dwayanu era vivo! Sarebbero venuti da me… senza saperlo. C’era un’unica via per uscire da Sirk: passare per il ponte. Li avrei attesi là. Mi rivolsi a Dara.

Le soldatesse girarono i cavalli, e per la prima volta notai che tutte avevano un destriero. E per la prima volta mi accorsi che erano tutte della mia guardia: e molte di loro avevano fatto parte delle truppe a piedi, ma adesso anche quelle erano a cavallo, e su una dozzina di selle c’erano i colori dei nobili che avevano seguito me, l’Incantatrice e Tibur attraverso il varco di Sirk. Fu Naral che, intuendo la mia perplessità, parlò con il suo abituale tono quasi impudente.

«Queste sono le tue fedelissime, Dwayanu! I cavalli erano senza cavaliere… o almeno, qualcuno lo abbiamo reso tale. Per difenderti meglio se Tibur… commettesse un altro errore.»

Non risposi fino a quando non aggirammo la casa in fiamme e fummo in uno dei vialetti. Poi dissi loro: «Naral, Dara, parliamo un momento.»

Quando ci fummo allontanati un po’ dalle altre, dissi: «Vi devo la vita… soprattutto a te, Dara. Potete chiedermi tutto ciò che sono in grado di darvi e ve lo darò. Vi domando solo… la verità.»

«Dwayanu… te la diremo.»

«Perché Tibur vuole uccidermi?»

Naral replicò, asciutta: «Il Fabbro non era l’unico che ti voleva morto, Dwayanu.»

Lo sapevo, ma volevo sentirmelo dire da loro.

«Chi altri, Naral?»

«Lur… e quasi tutti i nobili.»

«Ma perché? Non gli avevo aperto Sirk?»

«Stavi diventando troppo forte. Dwayanu. Lur e Tibur non accetterebbero mai di venire al secondo posto… o al terzo… o forse di non averlo.»

«Ma avevano già avuto la possibilità…»

«Ma tu non avevi preso Sirk per loro,» osservò Dara.

Naral disse, risentita: «Dwayanu, tu stai giocando con noi. Sai come noi o anche meglio qual era la ragione. Sei venuto qui con quell’amico che hai appena deposto sul rogo funebre. Lo sapevano tutti. Se tu dovevi morire… doveva morire anche lui. Non doveva sopravvivere, magari per fuggire e per condurre altri in questo luogo… perché io so, come sanno altri, che al di fuori di qui c’è la vita e che Khalk’ru non regna supremo, come vorrebbero farci credere i nobili. Bene… e qui vi incontrate tu e il tuo amico. E non solo voi due, ma anche la ragazza bruna dei Rrrllya, la cui morte o la cui cattura potrebbe fiaccare lo spirito del Piccolo Popolo e piegarlo al giogo di Karak. Tutti e tre… insieme! Ma, Dwayanu… era il posto e il momento per colpire! E Lur e Tibur l’hanno fatto: hanno ucciso il tuo amico, e credono di aver ucciso anche te, e hanno catturato la ragazza bruna.»

«E se io uccido Tibur, Naral?»

«Allora ci sarà da combattere. E dovrai stare in guardia, perché i nobili ti odiano, Dwayanu. È stato detto loro che sei contrario all’antica tradizione… che vuoi umiliarli ed innalzare il popolo. Che intendi persino porre fine ai Sacrifici…»

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