Abraham Merritt - Gli abitatori del miraggio

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Otto milioni di copie vendute per otto libri pubblicati: un record che nessun altro autore fantastico e fantascientifico ha mai eguagliato. Abraham Merritt, che siamo lieti di presentare sulle pagine di « Futuro » con uno dei suoi più noti capolavori, è una figura dominante nella letteratura immaginativa americana. Capostipite di una «scuola» che ha fra i suoi esponenti Fritz Leiber, Jack Vance ed Ira Levin, è il più grande ed affascinante creatore di mondi fantastici. Mondi dimenticati in luoghi inaccessibili, nascosti tra le pieghe del tempo, perduti tra i labirinti di altre sconosciute dimensioni. « Gli abitatori del miraggio » lo presenta in questa vena, che ha una grande tradizione narrativa. Merritt trasporta i suoi personaggi —ed i lettori con essi — dalla magica desolazione del deserto di Gobi, culla dell’uomo. agli universi misteriosi che si celano al di là dell’illusione e del miraggio. Universi popolati da figure mitiche, da genti e creature favolose, su cui domina l’ombra minacciosa del Kraken, che guida l’eterna battaglia fra il Bene ed il Male, incarnati in due figure di donna egualmente enigmatiche ed inafferrabili. Universi alternativi alla grigia realtà contemporanea, che fanno sognare e pensare.

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Fosse piaciuto a Dio che l’avessero tagliata prima che qualcuno mi seguisse!

Stavo per parlare, quando una delle mie capitane bussò ed entrò.

«L’oscurità è già scesa e le porte sono chiuse, Signore. Tutti coloro che hanno voluto entrare sono nella cittadella.»

«Sono molti, soldatessa?»

«No, Signore… non più di un centinaio o giù di lì. Gli altri hanno rifiutato.»

«Hanno spiegato le ragioni del rifiuto?»

«Questa domanda è un ordine, Signore?»

«È un ordine.»

«Hanno detto che sono più al sicuro dove stanno. Che i Rrrllya non hanno motivi di risentimento nei loro confronti, perché loro non sono mai stati altro che carne per Khalk’ru.»

«Basta, soldatessa!» La voce dell’Incantatrice era aspra. «Va’! E porta con te i Rrrllya.»

La capitana salutò, girò sui tacchi e se ne andò con i pigmei. Io risi.

«Le soldatesse hanno tagliato la nostra scala per simpatia verso coloro che sono fuggiti da Khalk’ru. Il popolo teme meno i nemici di Khalk’ru che i suoi servitori e macellai. Facciamo bene a concludere questa pace con i Rrrllya, Lur.»

La vidi impallidire, poi arrossire, vidi le nocche delle sue mani sbiancarsi, quando le strinse. Poi sorrise, si versò del vino, alzò il calice con mano ferma.

«Bevo alla tua saggezza… Dwayanu!»

Era un’anima forte… l’Incantatrice! Un cuore di guerriero. Mancava un po’ di tenerezza femminile, certo. Ma non mi sorprendeva che Dwayanu l’avesse amata… a modo suo e per quanto poteva amare una donna.

Nella camera scese il silenzio, stranamente intensificato dal rullare continuo dei tamburi. Non so per quanto tempo rimanemmo seduti in quel silenzio. Ma all’improvviso, il battito dei tamburi si affievolì.

E poi, di colpo, i tamburi smisero, completamente. Il silenzio portò con sé un senso d’irrealtà. Sentii i nervi tesi allentarsi come molle tenute in pressione troppo a lungo. Quel silenzio improvviso mi fece dolorare le orecchie, mi rallentò il battito del cuore.

L’Incantatrice si alzò.

«Tieni con te la ragazza questa notte, Dwayanu?»

«Dormirà in una di queste stanze, Lur. Sarà sorvegliata. Nessuno la potrà raggiungere senza passare attraverso la mia camera.» La guardai, con un’espressione significativa. «Ed io ho il sonno leggero. Non devi aver paura che fugga.»

«Sono lieta perché i tamburi non disturberanno il tuo sonno… Dwayanu.»

Mi rivolse un saluto ironico e se ne andò, insieme a Ouarda.

E all’improvviso la stanchezza s’impadronì nuovamente di me. Mi rivolsi a Evalie, che mi osservava con occhi in cui mi sembrava si fosse insinuato un dubbio. Certo non c’era disprezzo né odio, in quegli occhi. Bene, adesso l’avevo portata dove avevo inteso portarla con tutte quelle manovre. Sola con me. E mentre la guardavo sentivo che, di fronte a tutto ciò che mi aveva visto fare, a tutto ciò che aveva sopportato per causa mia… le parole non servivano. E non riuscivo a trovare quelle che avrei voluto. No, ci sarebbe stato tutto il tempo… l’indomani mattina, forse, quando io avessi dormito… o quando avessi fatto ciò che dovevo fare… allora lei avrebbe dovuto credere…

«Dormi, Evalie. Dormi senza paura… e credimi: tutto ciò che è accaduto sta trovando la sua giusta soluzione. Vai con Dara. Sarai ben protetta. Nessuno può arrivare fino a te se non passando per questa stanza, e qui ci sarò io. Dormi, e non aver paura di nulla.»

Chiamai Dara, le impartii le istruzioni, ed Evalie uscì con lei. Di fronte alla tenda che chiudeva l’accesso alla stanza accanto lei esitò, si girò a mezzo come per dire qualcosa, ma tacque. Poco dopo, Dara ritornò. Mi disse: «È già addormentata, Dwayanu.»

«Dovresti dormire anche tu, amica mia,» le dissi. «E anche tutte quelle che sono state al mio fianco, oggi. Credo che non abbiamo nulla da temere, per questa notte. Scegli quelle di cui puoi fidarti e mettile a guardia del corridoio e della mia porta. Dove l’hai condotta?»

«Nella stanza accanto a questa, Signore.»

«Sarebbe bene che tu e le altre dormiste qui, Dara. C’è una mezza dozzina di stanze a vostra disposizione. Fatevi portare cibi e vino… in abbondanza.»

Dara rise.

«Ti aspetti un assedio, Dwayanu?»

«Non si sa mai.»

«Non ti fidi molto di Lur, Signore?»

«Non me ne fido affatto, Dara.»

Lei annuì e si voltò per andarsene. D’impulso, le dissi: «Dara, tu e le tue compagne dormireste meglio, questa notte, e scegliereste meglio le sentinelle, se ti dicessi che non ci saranno più sacrifici a Khalk’ru finché io avrò vita?»

Trasalì: il suo volto s’illuminò, si addolcì. Mi tese la mano.

«Dwayanu… Io avevo una sorella che è stata data a Khalk’ru. Intendi davvero fare ciò che hai detto?»

«Per la vita del mio sangue! Per tutti gli Dèi viventi! Intendo farlo veramente!»

«Dormi bene, Signore!» La sua voce era soffocata. Passò tra le tende; ma ebbi il tempo di scorgere le lacrime sulle sue guance.

Bene, una donna aveva il diritto di piangere… anche se era un soldato. Anch’io avevo pianto, quel giorno.

Mi versai del vino e sedetti riflettendo, mentre bevevo. I miei pensieri erano incentrati soprattutto sull’enigma di Khalk’ru. E c’era una buona ragione.

Che cos’era Khalk’ru?

Mi sfilai la catena che portavo al collo, aprii il medaglione e studiai l’anello. Poi lo richiusi e lo gettai sulla tavola. Sentivo che era meglio tenerlo lì, anziché sul mio cuore, mentre riflettevo.

Dwayanu aveva dubitato che quella Cosa terribile fosse lo Spirito del Vuoto ed io, che adesso ero Leif Langdon ed un passivo Dwayanu, mi sentivo sicuro che non lo era. Eppure non potevo accettare la teoria di Barr sull’ipnosi collettiva… e potevo escludere con assoluta certezza che si trattasse di un trucco.

Qualunque cosa fosse Khalk’ru, come aveva detto l’Incantatrice, Khalk’ru era. O almeno quella Forma che diventava materiale grazie al rito, all’anello ed allo schermo… era.

Pensai che avrei potuto attribuire ad un’allucinazione l’esperienza nel tempio dell’oasi se non si fosse ripetuta lì, nella Terra Oscurata. Ma non potevo dubitare della realtà dei Sacrifici che io avevo compiuto; non potevo dubitare della distruzione… dell’assorbimento, della dissoluzione delle dodici ragazze. Né della fede di Yodin nel potere del tentacolo nero che avrebbe dovuto eliminarmi, né del suo completo annientamento. E pensai che se le vittime dei sacrifici e Yodin erano nascosti tra le quinte a ridere di me, come aveva detto Barr… allora erano fra le quinte di un teatro in un altro mondo. E c’era l’orrore profondo del Piccolo Popolo, l’orrore di tanti Ayjir… e c’era stata la rivolta nell’antica terra degli Ayjir, nata dallo stesso orrore, che aveva distrutto la Madrepatria con la guerra civile.

No, quale che fosse la Cosa, anche se alla scienza ripugnava ammettere la sua realtà… c’era ancora l’atavismo, la superstizione, come l’avrebbe chiamata Barr: io sapevo che la Cosa era reale. Non di questa terra… no, certamente non di questa terra. E neppure sovrannaturale; o meglio, sovrannaturale solo in quanto poteva uscire da un’altra dimensione, o addirittura da un altro mondo che i nostri cinque sensi non sapevano rivelare.

Pensai che la scienza e la religione sono sorelle, ed è soprattutto per questo che si odiano tanto; che scienziati e religiosi sono eguali in fatto di dogmatismo, d’intolleranza; è per questo che ogni lotta religiosa per l’interpretazione di un credo o di un culto ha il suo parallelo nelle controversie della scienza per un osso o per una pietra.

Eppure, come nelle chiese vi sono uomini la cui mentalità non si è fossilizzata religiosamente, così vi sono uomini nei laboratori le cui menti non si sono fossilizzate scientificamente… Einstein che aveva osato sfidare tutte le concezioni dello spazio e del tempo con il suo spazio quadridimensionale in cui il tempo stesso era una dimensione, e provava l’esistenza dello spazio a cinque dimensioni, al posto delle nostre quattro, le sole percepibili dai nostri sensi, che le percepiscono nel modo sbagliato… la possibilità che una dozzina di mondi roteassero intrecciati con questo… nello stesso spazio… l’energia che noi chiamiamo materia potrebbe essere sintonizzata, in quelli, su altre vibrazioni, ed ognuno di essi potrebbe essere assolutamente ignaro dell’altro… sovvertendo completamente il vecchio assioma secondo il quale due corpi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso tempo.

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