Le aprii la porta.
«Ti ho detto che non desidero più il potere, Lur.»
Se ne andò.
Ritornai alla finestra, accostai una sedia e sedetti a riflettere. All’improvviso, vicino alla cittadella, udii il grido di un lupo. Ululò tre volte, e poi tre volte ancora.
«Leif!»
Balzai in piedi. Evalie mi era accanto. Mi guardava tra i veli dei suoi capelli: i suoi occhi limpidi splendevano… senza più dubbi, odii, paure. Erano come un tempo.
«Evalie!»
Le mie braccia la cinsero; le mie labbra trovarono le sue. «Ho ascoltato, Leif!»
«Tu mi credi, Evalie!»
Mi baciò, mi tenne abbracciato.
«Ma quella donna aveva ragione, Leif. Non puoi ritornare con me nella terra del Piccolo Popolo. Loro non capirebbero mai… mai. E io non vorrei mai abitare a Karak.»
«Allora verrai con me, Evalie… nella mia terra? Dopo che avrò fatto ciò che devo fare… e se non verrò annientato nel farlo?»
«Verrò con te, Leif!»
Pianse un poco, e poi si addormentò tra le mie braccia. La sollevai, la riportai nella sua camera, la coprii con le coperte di seta. Non si svegliò.
Ritornai nella mia stanza. Quando passai accanto alla tavola presi il medaglione, feci per infilarmelo al collo. Lo ributtai sul tavolo. Non avrei portato mai più quella catena. Mi gettai sul letto, con la spada a portata di mano. Mi addormentai.
XXIII
NEL TEMPIO DI KHALK’RU
Mi svegliai due volte. La prima, furono gli ululati dei lupi a destarmi. Sembrava che fossero sotto la mia finestra. Ascoltai, assonnato, e mi riaddormentai.
La seconda volta mi svegliai di colpo da un sogno angoscioso. Mi aveva scosso un rumore nella stanza: di questo ero certo. La mia mano cercò la spada che giaceva sul pavimento accanto al letto. Ebbi l’impressione che nella camera ci fosse qualcuno. Non riuscii a scorgere nulla, in quella verde oscurità. Chiesi, sottovoce: «Evalie! Sei tu?»
Non una risposta, non un suono.
Mi levai a sedere sul letto, spinsi addirittura una gamba fuori dalle coperte per alzarmi. Poi ricordai le sentinelle alla mia porta, e Dara e le sue soldatesse che erano vicine, e mi dissi che era stato solo il mio sogno angoscioso a svegliarmi. Tuttavia per qualche tempo rimasi desto, in ascolto, con la spada in mano. E poi il silenzio mi cullò, mi fece riaddormentare.
Sentii bussare alla mia porta, e mi dibattei per uscire dal sonno. Vidi che l’alba era già passata. Andai alla porta senza far rumore per non destare Evalie. L’aprii, e lì, insieme alle guardie, c’era Sri. L’omettino era venuto ben armato, con le lance e la spada falcata: alle spalle portava appeso uno dei piccoli sonori tamburi parlanti. Mi guardò con espressione amichevole. Gli accarezzai la mano e indicai la tenda.
«Evalie è là, Sri. Vai a svegliarla.»
Mi trotterellò davanti. Salutai le guardie, e mi voltai per seguire il pigmeo. Era fermo davanti alla cortina e mi guardava con occhi che non erano più amichevoli. Disse: «Evalie non c’è.»
Lo fissai, incredulo. Gli passai accanto e mi precipitai in quella stanza. Era vuota. Mi accostai al mucchio di sete e di cuscini su cui aveva dormito Evalie, lo toccai. Non serbava più il suo calore. Con Sri alle calcagna passai nella stanza accanto. Dara e una mezza dozzina di soldatesse stavano dormendo. Evalie non era con loro. Toccai la spalla di Dara. Lei si sollevò a sedere, sbadigliando.
«Dara… la ragazza è sparita!»
«Sparita!» Mi fissò, incredula, come io avevo fissato il pigmeo dorato. Saltò in piedi, corse nella stanza vuota, poi insieme a me nelle altre camere. C’erano le soldatesse addormentate, ma non Evalie.
Tornai correndo nella mia stanza, alla porta. Una rabbia furiosa s’impadronì di me. In fretta, aspramente, interrogai le guardie. Non avevano visto nessuno. Nessuno era entrato; nessuno era uscito. Il pigmeo dorato ascoltava, senza abbandonarmi un attimo con lo sguardo.
Mi mossi per tornare nella stanza di Evalie. Passai davanti alla tavola su cui avevo lasciato il medaglione. Lo presi, lo sollevai; era stranamente leggero… l’aprii…
L’anello di Khalk’ru non c’era!
Fissai furioso il medaglione vuoto, e come una fiamma torturante m’investì la consapevolezza di ciò che poteva significare la sparizione di Evalie e dell’anello. Gemetti, mi appoggiai alla tavola per non cadere.
«Il tamburo, Sri! Chiama il tuo popolo! Ordina che vengano, presto! Forse c’è ancora tempo!»
Il pigmeo dorato sibilò: i suoi occhi divennero minuscole pozze di fuoco giallo. Non poteva avere compreso tutto l’orrore del mio pensiero… ma capì abbastanza. Balzò alla finestra, girò il tamburo e cominciò a lanciare un messaggio dopo l’altro… perentorio, rabbioso, cattivo. Subito arrivarono le risposte… da Nansur, e poi lungo tutto il fiume, e più oltre, ruggivano i tamburi del Piccolo Popolo.
Lur li avrebbe uditi? Non poteva non udirli… ma avrebbe ascoltato? Quella minaccia sarebbe bastata a fermarla? Avrebbe capito che ero sveglio e che il Piccolo Popolo sapeva del suo tradimento… e di Evalie.
Dio! Se Lur udiva… ero in tempo per salvare Evalie?
«Presto, Signore!» Dara mi chiamò, dalla tenda. Il nano ed io accorremmo. Lei indicò la parete laterale. Là, dove si congiungevano due pietre scolpite, pendeva un brandello di seta.
«Lì c’è una porta, Dwayanu! Ecco come l’hanno portata via. Andavano di fretta. La stoffa è rimasta impigliata quando la porta s’è chiusa.»
Cercai qualcosa per sfondare la pietra. Ma Dara stava già premendo qua e là. La pietra si mosse. Sri mi sfrecciò davanti e si lanciò nel passaggio buio. Lo seguii, vacillando, con Dara alle calcagna e poi le altre. Il passaggio era stretto, e non molto lungo. All’estremità c’era un muro compatto. Dara premette di nuovo fino a quando anche questo si aprì.
Irrompemmo nella camera del Gran Sacerdote. Gli occhi del Kraken mi fissavano, mi trapassavano con quella loro imperscrutabile malignità. Eppure mi sembrava che adesso contenessero anche una sfida.
Tutto il furore insensato, l’agitazione cieca della rabbia mi abbandonarono. Giunse una decisione fredda, uno scopo ben preciso che non aveva nulla di concitato… È troppo tardi per salvare Evalie?… Non è però troppo tardi per distruggerti, nemico mio…
«Dara… procuraci dei cavalli. Raduna in fretta tutte le donne di cui ti puoi fidare. Prendi soltanto le più forti. Falle trovare pronte alla porta della strada del tempio… Andiamo a farla finita con Khalk’ru. Diglielo.»
Mi rivolsi al pigmeo dorato.
«Non so se potrò aiutare Evalie. Ma la farò finita con Khalk’ru. Aspetti i tuoi… o vieni con me?»
«Vengo con te.»
Sapevo dove si trovava l’alloggio dell’Incantatrice nella cittadella nera: non era molto lontano. Sapevo che non l’avrei trovata, ma dovevo esserne certo. E forse aveva condotto Evalie al Lago degli Spettri, pensai mentre transitavo davanti a gruppi di soldatesse che mi salutavano inquiete e perplesse. Ma in fondo al cuore sapevo che non era così. Sapevo che era stata Lur a svegliarmi quella notte. Lur, che si era insinuata furtiva tra le tende per prendere l’anello di Khalk’ru. E se l’aveva fatto, c’era una sola ragione. No, non poteva essere al Lago degli Spettri.
Eppure, se era entrata nella mia stanza… perché non mi aveva ucciso? Oppure aveva avuto intenzione di farlo, e aveva dovuto desistere quando mi ero svegliato e avevo chiamato Evalie? Aveva avuto paura di spingersi troppo oltre? Oppure aveva voluto risparmiarmi?
Arrivai nelle sue stanze. Non c’era. Non c’era nessuna delle sue donne. L’alloggio era vuoto, e non c’erano neppure le soldatesse di guardia.
Mi misi a correre. Il pigmeo dorato mi seguì, lanciando grida acute, con i giavellotti nella sinistra, la spada falcata nella destra. Giungemmo alla porta della strada del tempio.
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