Ogni poche ore Orem portava il bambino a Bella per dargli da mangiare. Bella osservava Giovane tutto il tempo; Orem ritirava il suo potere dentro di sé quando era con il bambino, perché Bella potesse sempre controllare che suo figlio non avesse altro cibo che il latte succhiato da lei. Orem le consegnava in silenzio il figlio, e Bella altrettanto in silenzio glielo restituiva quando era sazio.
Ogni volta che Orem le dava il figlio, pensava che non l’avrebbe più rivisto; ogni volta che lo riprendeva, gliene era grato, come per un atto di misericordia, perché gli veniva permesso di vivere ancora un poco. E poiché sentiva la morte così vicina, non sprecava neppure un poco del tempo che aveva con Giovane. In quei giorni, se uno desiderava stare con Orem, non aveva altra scelta che stare anche con Giovane.
Di sera, quando Giovane andava a dormire per le sue dodici ore, Orem si ritirava nella sua stanza e passava la notte a combattere contro Bella. Adesso che suo figlio era nato lei aveva più forza, ed era una lotta costante per tenerla lontana da Palicrovol. Qualche volta Orem pensava: Affretto la mia morte spaventando la Regina. Mi ucciderà e si rinnoverà prima. Dovrei smettere di combatterla, e forse mi lascerà vivere.
Ma sapeva che Bella non l’avrebbe risparmiato, e mentre guardava l’armata di Palicrovol crescere, cominciò a sperare che il Re potesse giungere a salvarlo. Questo è quello che disse a Giovane una volta: che il Re poteva salvarlo.
Giovane era un altro miracolo. Come suo padre e suo nonno, Giovane era bianco di pelle e nero di capelli; come sua madre, era bellissimo di viso. Essendo nato di dodici mesi, la sua vita fu rapida, la sua crescita improvvisa. Riusciva a stare seduto dopo una settimana, e a stare in piedi dopo un mese; prima che arrivasse l’estate fuori dal Parco del Palazzo, sapeva camminare, e correre con le sue corte gambe lungo i sentieri, si nascondeva e cercava, e chiamava Papà o Donoa. Se aveva un nome per Bella, non lo disse mai quando loro potevano sentirlo; certe volte Orem si chiedeva se Bella parlasse mai col bambino, o se gli dava da mangiare in silenzio. Gli spuntarono i denti, ma lei continuava ad allattarlo; Orem gli insegnò a riconoscere le lettere che disegnava sulla polvere, e a chiamarle in due sensi, e ancora Bella lo allattava.
Anche Orem trascorreva ore in tranquillità con Giovane, ma non in silenzio. Stavano sdraiati insieme sull’erba del parco e si raccontavano storie. A nessuno era permesso avvicinarsi, perché come se avessero una stessa volontà, entrambi smettevano di parlare all’arrivo di qualcuno. Bella poteva ascoltare, se voleva, con i suoi arcani poteri, anche se di solito dormiva durante il giorno, quando non allattava il piccolo. L’unica persona a cui era permesso ascoltare di persona era Donnola Bocca-di-Verità. Orem le aveva detto del suo gioco, nella speranza che lei avrebbe finto di essere la madre; lei non finse mai di giocare, ma la sua presenza gli permetteva di avere la sua immaginaria famiglia, se voleva. Anche Giovane l’accettava, come se conoscesse il suo cuore.
Si raccontavano storie. Orem raccontava a Giovane storie della sua vita. Come era cresciuto con suo padre, come sua madre non l’avesse mai amato, i racconti della Casa di Dio e come venne salvato dal fuoco; Glasin il Droghiere, Rainer il Falegname, Pulce e i serpenti; tutte le storie, tranne quelle che avrebbero svelato a Bella, se era in ascolto, che Orem era il Pozzo, il suo nemico. Donnola ascoltò tutte le sue storie e le ricordò.
E anche Giovane raccontava delle storie. Nella sua impossibile vocetta da infante, pronunciando le S blese e trasformando le G in GZ, raccontava le sue storie con faccia seria, e qualche volta si immedesimava talmente che piangeva, e qualche volta si divertiva tanto che rideva. C’era della saggezza nelle sue storie, e non sono state tutte dimenticate.
La storia del vitello da latte
Una volta c’era un vitellino che aveva fame. Voleva succhiare il latte, ma sua madre gli disse: — Vai via, mi stanchi. — Così andò da suo padre, ma il toro disse: — Vai via, non ho le mammelle. — Così il vitellino bevve dalla pozza nei boschi e sulla testa gli crebbero delle corna tanto grandi e pesanti che non poté tenerla sollevata e morì.
La storia del fiore morto
Una volta c’era un fiore che diventò marrone. Dio prese il fiore marrone e lo mise sulla sua finestra, ma non voleva tornare vivo. Il vecchio cervo lo portò sulle corna, ma il fiore non voleva tornare a vivere.
Le due sorelle lo intrecciarono coi loro capelli, ma il fiore non voleva tornare a vivere. Ma papà baciò il fiore e lui tornò vivo e si trasformò in me.
La storia della tempesta di neve
Una volta c’era una tempesta di neve, e cadeva sempre sulla città. Sotto la tempesta di neve c’erano centinaia e centinaia di persone che non erano i servitori o i soldati o Papà o Donoa o nessun altro. La neve cadeva sempre su di loro e li copriva finché non sparivano. Il bambino disse alla tempesta di neve: vieni e cadi su di me. E la tempesta di neve venne e cadde su di lui, e il bambino sparì, proprio come la gente che non era nessuno.
La storia del Re
Il Re è piccolo ma il Re è buono. Il Re non dà mai niente da mangiare e la gente ride di lui quando non c’è ma il Re conosce tutti i sentieri della foresta e un giorno troverà il vecchio cervo che vive nella foresta e mi farà cavalcare su di lui.
La storia del fiume
È un fiume molto grande, e va da una parte all’altra del mondo e torna indietro. I droghieri ci navigano sopra e ì contadini e un milione di fiori, ma Dio non naviga mai sul fiume. Il fiume passa accanto a una piccola casa dove vivono un piccolo uomo e una brutta donna, ma non hanno un bambino piccolo. Poi il papà piantò un seme nella terra e piantò centinaia di semi e tutti i semi crebbero d’oro tranne uno, che era marrone. — Questo seme è marrone come la terra — disse papà; ma gli piaceva lo stesso, così lo mangiò e crebbe dentro di lui e lo fece così pieno che non dovette più mangiare.
Orem piange per la storia di suo figlio
Non so quale delle storie di Giovane fosse, ma mentre stava steso ad ascoltarla, Orem pianse. Pianse in silenzio ma Donnola e Giovane videro le lacrime riempirgli gli occhi. Una lacrima indugiò sull’angolo dell’occhio, come se fosse timorosa di cadere, eppure sapesse che doveva.
Orem si accorse che Giovane aveva interrotto la storia. — Vai avanti — disse.
Ma Giovane non andò avanti… allungò invece una mano verso l’occhio di suo padre e toccò la lacrima. La guardò un momento, sul suo dito, poi si mise il dito in bocca e l’assaggiò, guardando Orem con i suoi occhi meravigliosamente svegli.
Orem sembrò preoccupato per un momento; poi si rilassò. — Bella dorme — disse. — Non vorrei che mi accusasse di dargli da mangiare. — Donnola rise. Per cose piccole come questa i regni nascono e cadono.
Era un’estate dorata nel palazzo, la prima buona estate da tre secoli. Ma poi la neve cominciò a cadere di nuovo fuori dal parco. A ovest, Re Palicrovol d’improvviso si mise in marcia con il suo esercito verso est, verso Inwit. Nel palazzo, Orem cominciò seriamente a sperare che la sua vita sarebbe stata risparmiata. Ma Urubugala si rotolò sul pavimento della Sala della Luna e disse:
“Dodici mesi
sul ramo sei sbocciato.
Dodici ancora
e sarai mangiato.”
La via bassa per uscire dal palazzo
Orem stava uscendo dalla camera della Regina, dopo averle portato Giovane per il pasto serale. Sopra il palazzo le nuvole correvano veloci, gonfie della tempesta che avrebbe sepolto Inwit, se avesse potuto. Fuori dalla porta di Bella, Belfeva lo fermò, con aria di urgenza.
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