Orson Card - I giorni del cervo

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I giorni del cervo: краткое содержание, описание и аннотация

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Sinistri presagi indicano che da Antiqua è salpata una flotta di navi: navi nere, cariche di neri guerrieri, di strani animali capelluti e di armi che portano una morte senza volto. La guerra è imminente. Il Bene e il Male, come nel più epico dei racconti, esploderanno in una battaglia cruenta alla quale parteciperanno anche forze soprannaturali e magiche. Tutti i popoli del continente, superate le antiche divisioni, si uniranno a combattere con l’esercito del Cervo, guidato dal valoroso Dulkancellin. Gli uomini di pace si trasformeranno in guerrieri, e i guerrieri in eroi. La salvezza del continente dipende dal loro coraggio

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— Dimentichi quale dito porta l’anello? Ti obbedirà se le ordini di lasciarti restare.

— Nessuno comanda la Regina.

Tu sì — disse Donnola. — Ma attento a come la comandi, poiché ti ubbidirà con crudele perfezione se parli scioccamente.

— Non voglio andare — disse Orem irato.

Donnola fece un’altra smorfia e barcollò verso Belfeva. — Non per lei. Tuo figlio. Tuo figlio ha iniziato il suo viaggio lungo il fiume, verso il mare. Lei non avrà altro aiuto che il tuo. Nessuno se non il padre può aiutare la nascita di un figlio di dodici mesi.

Orem avrebbe voluto restare, avrebbe voluto scoprire perché Donnola soffriva così. Ma sapeva che Donnola era saggia, che Donnola non mentiva; se aveva detto che doveva andare da Bella, sarebbe andato.

Il parto

La Regina non era nella sua solita camera da letto. Né c’erano dei servitori a cui chiedere. Orem non sapeva dove poteva essere andata. Aveva un solo modo per scoprirlo: allargò la sua ragnatela sul palazzo e la trovò incendiata di argentea dolcezza, aspra al suo udito, silenziosa al suo tocco.

Percorse i corridoi verso il luogo dove sapeva di trovarla, ma sempre i corridoi curvavano, sempre le porte si aprivano su una stanza sbagliata. Se ne rese conto quando passò da un corridoio in una stanza, poi cambiò idea e tornò sui suoi passi… per scoprire che il corridoio aveva cambiato direzione. La parte più corta adesso era a destra. La Regina Bella era dove pensava che fosse, ma la magia del palazzo sviava tutte le strade. Lasciò allora che il suo potere si allargasse attorno a lui come un mantello, sbattendo contro i muri, rompendo gli incantesimi, rivelando le porte dove avrebbero dovuto essere. Quella non era la magia dell’illusione, attraverso cui invariabilmente vedeva. Era una vera manipolazione, e Orem temeva che trovandola le avrebbe svelato chi era in realtà.

Trovò le sue damigelle radunate davanti a una porta, preoccupate.

— È dentro? — chiese.

— E sola — rispose una. — Ci proibisce di entrare.

— Non lo proibirà a me — disse Orem, e bussò.

— Vai via — sentì una voce soffocata dall’interno.

— Entro — disse. Ed entrò.

Bella giaceva sola in mezzo a un lungo letto stretto. Era nuda, le gambe allargate, le ginocchia sollevate. Delle lenzuola erano state legate alle cinque colonne del letto. Due le tenevano i piedi, due le mani, e a questi Bella si aggrappava con forza. L’ultimo era appoggiato sul cuscino, e quando un’ondata di dolore l’assaliva, Bella si voltava e l’afferrava fra i denti, agitando la testa e scuotendo il lenzuolo, come un cane con uno straccio. Era coperta di sudore. Il lamento acuto che le usciva dalla gola non era un suono umano. Del sangue le colava dall’apertura dove si era affacciata la testa del bambino. La testa era grande, violacea e coperta di sangue, e non riusciva a passare. Bella lo guardò con occhi grandi come quelli di una cerva, pieni di dolore e paura. Gli occhi lo seguirono mentre girava attorno al letto e si fermava vicino alla sua faccia. Anche in quelle condizioni, mentre masticava il lenzuolo, era bellissima, la più femminile delle donne.

— Bella — disse Orem.

In quel momento il dolore passò, lei ebbe un brivido e lasciò andare il lenzuolo.

— Bella — ripeté Orem. — Non hai nessuna magia per fermare il dolore?

Lei rise senza allegria. — Piccolo sciocco, Piccolo Re, non esiste magia che abbia potere sul parto. Il dolore dev’essere provato, o il bambino muore.

E il dolore tornò, e Bella mugugnò e si contorse, mentre i muscoli della pancia le si contraevano. La testa del bambino non fece alcun progresso. Bella lo guardò con un’implorazione negli occhi. Cosa voleva da lui? Che ponesse fine al dolore? Ma non poteva farlo.

— Dimmi cosa fare e lo farò — disse Orem.

— Fare? — gridò lei. — Fare? Insegna tu a me cosa fare, marito!

Il bambino sarebbe morto; questo Orem poteva capirlo. Un bambino che non esca in fretta una volta spuntata la testa muore. No, figlio mio , disse in silenzio.

— Qualcuno non può sopportare il dolore per te?

Lei annuì. Sì, e sussurrò. — Non contro la volontà dell’altro.

— Allora scarica il dolore su di me — disse lui — così che il bambino vivrà.

— Un uomo! — disse lei con disprezzo. — Questo dolore?

— Guarda l’anello al tuo dito e obbediscimi. Allontana il dolore.

Non appena ebbe pronunciato quelle parole, i suoi movimenti convulsi si arrestarono. Il suo respiro pesante tornò normale, la tensione sulle lenzuola si allentò. Aspettò che il dolore gli arrivasse addosso… ma non venne. Non ebbe tempo per pensarci, perché d’improvviso la carne si aprì, incredibilmente, le ossa del bacino di Bella si separarono, e il bambino scivolò facilmente sulle lenzuola. Era impossibile che Bella potesse operare una simile trasformazione con tanta tranquillità, eppure subito le ossa tornarono ad avvicinarsi, e la donna raccolse il bambino. Non c’era placenta, non c’era cordone ombelicale.

— Slegami i piedi — sussurrò Bella. Leccò il muco dalla faccia del bambino. Il piccolo pianse e Bella lo cullò, se lo portò al seno, guidò la sua bocca al capezzolo, poi sospirò e incrociò le gambe, mettendosi comoda. Orem notò con stupore che la sua pancia non era per nulla floscia, ma perfetta, come se non avesse mai portato un bambino; in verità, Bella aveva di nuovo il corpo indicibilmente perfetto che aveva amato, e lui non poté fare a meno di desiderarla ancora, per quanto la temesse e la odiasse.

— Comandami ancora, mio Piccolo Re — disse lei. — Mi fa piacere obbedire.

— Ma il dolore non è arrivato a me — disse lui.

— Non mi hai ordinato di darlo a te. — Sorrise trionfante.

Lui ripensò alle sue parole, e non riuscì a ricordare bene. In qualche maniera l’aveva raggirato, ma non era abbastanza astuto da capire come. — Lasciami tenere il bambino.

— Anche questo è un comando?

— Solo se… se non gli farà del male.

Bella rise e gli porse il bambino. Orem lo guardò, lo prese fra le braccia. Aveva già visto dei piccoli appena nati, i suoi nipoti, e aveva aiutato ad accudire i trovatelli, nella Casa di Dio. Ma questo bambino era più pesante, e teneva il suo corpo in maniera diversa. Orem guardò la faccia del piccolo, e questi lo guardò con occhi grandi e gli sorrise.

Sorrise. Pochi minuti dopo la nascita, e il bambino sorrideva.

— Nato dopo dodici mesi — disse Bella.

Orem ricordò suo padre, Avonap, ricordò le sue braccia forti capaci di buttarlo in aria, dandogli la sensazione di volare come un uccello, e di prenderlo al volo con la sicurezza con cui i rami di un albero accolgono uno stormo. Le mie braccia sono forti abbastanza per un bambino così piccolo. E d’improvviso fu Avonap nel suo cuore, e desiderò il piccolo. Orem da piccolo aveva amato suo padre più della sua vita; è questo il genere di bambino che, diventato grande, ama suo figlio con una devozione che non può essere spezzata. Tu non puoi saperlo, Palicrovol, ma ci sono uomini così, e non sono più deboli di te; tu sei soltanto più povero di loro.

Immediatamente Orem seppe che doveva avere quel figlio, anche se solo per un po’. — Mi permetterai di vederlo ogni volta che vorrò — disse.

— È un comando?

— Sì.

Lei rise. — Allora obbedirò.

— E non farai nulla per impedirgli di conoscermi e di amarmi, e io lui.

— Osi troppo, Piccolo Re — disse lei. Questa volta non rise.

— Lo comando.

— Non sai cosa stai facendo.

— Fino a quando vivrò, ti comando di lasciare che lo conosca e lo ami, e lui ami me! — Lei non poteva rifiutargli quello: non osò chiederle di più, non osò chiederle di lasciarlo vivere un momento di più di quanto avesse già in mente.

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