— La Regina Bella vi ha cercato.
— Oh — disse Orem.
— Desidera che andiate subito da lei.
Per un momento terribile pensò che la sua guerra con lei fosse già terminata, che l’avesse scoperto e che intendesse ucciderlo subito. Non si sentiva più così coraggioso come il giorno prima sul portico. Poi si rese conto che se era la sua morte che lei cercava, non avrebbe affidato il messaggio a quel mite servitore.
Perciò lo seguì fino a un luogo del labirinto che non aveva saputo esistesse; l’appartamento di Bella era ben mascherato, sia con la magia che con l’illusione di abili artigiani. Tuttavia, essendo andato da lei una volta con una guida, l’illusione per Orem era svanita, e avrebbe potuto ritrovare facilmente la strada. Quanto agli incantesimi, non funzionavano per nulla con lui.
La Regina Bella giaceva sul letto, guardando dalla finestra quando lui arrivò. Il servitore lo lasciò immediatamente solo con lei. La porta si chiuse, e la Regina si voltò verso Orem.
— Mio Piccolo Re — disse.
La sua bellezza era immutata, ma la stanchezza non poteva essere nascosta. Dopo tutto, era una bellezza vivente quella che lei aveva, e la sua faccia non era inespressiva. Bella era stanca, era preoccupata, era adirata, e la sua pancia era gonfia del figlio che aveva portato per undici mesi.
Solo allora venne in mente a Orem che la gravidanza poteva aver prosciugato le sue forze, e che fosse questa la ragione per cui lei non era stata in grado di reagire con prontezza ai suoi attacchi notturni.
— Temo di averti ignorato troppo a lungo — disse.
— Mi sono fatto degli amici.
— Lo so — disse lei. — Donnola mi dice che sei una piacevole compagnia.
Orem non poté nascondere il fatto che gli faceva piacere sapere che Donnola avesse detto una cosa simile… era abbastanza giovane per dare alla cosa più importanza di quanta ne avesse. — Davvero?
— C’è tuo figlio nella mia pancia, lo sai. Sono stanca di aspettare, e il bambino mi pesa. Dovresti tenermi allegra.
— Come?
— Raccontami qualcosa. Raccontami della tua casa in campagna. Raccontami della tua giovinezza. Dicono che le vostre storie di contadini siano divertenti.
Fu un’ora grottesca quella che trascorse con Bella, raccontando storie di Waterswatch Alta alla donna che intendeva ucciderlo. Lo infastidiva raccontare a lei di suo padre e di sua madre, ma quali altre storie poteva raccontarle? Lei rise un poco quando le disse dei suoi primi tentativi di fare il soldato, e di come il sergente l’aveva giudicato inadatto. Parve interessata a ogni cosa, anche a come un contadino sa quando il grano è pronto per essere mietuto, e se una mucca è pregna di due gemelli, e quali sono i segni di un temporale imminente.
— Guarda fuori e dimmi se sta per arrivare un temporale.
Orem guardò. — Nessun temporale per oggi o domani — disse.
— Ma ci sarà lo stesso un temporale. Per il sangue del Cervo, non vedo l’ora che arrivi.
Orem si voltò a guardarla, chiedendosi se parlasse del temporale o del bambino che cresceva in lei. Teneva le mani intrecciate sulla pancia gonfia sotto le coperte del letto, ma non guardava né la finestra né la pancia. Quando fosse nato il bambino la sua vita sarebbe rapidamente terminata, lo sapeva.
Ma senza dubbio sarebbe vissuto fino a vedere suo figlio. Senza dubbio il suo futuro non gli avrebbe vietato questo.
Alla fine, verso mezzogiorno, lei si stancò di lui.
— Vai adesso — mormorò. — Ho bisogno di dormire.
Orem si avviò verso la porta, con un canto di trionfo nel cuore. Aveva bisogno di dormire, sicuro. Era opera sua, e sarebbe passato molto tempo prima che riuscisse di nuovo a dormire bene, se poteva fare a modo suo.
Ma lei lo fermò sulla soglia. — Torna da me — disse. — Domani, alla stessa ora.
— Sì, mia signora — rispose Orem.
— Ti ho trattato male, vero? — disse lei.
— No — mentì Orem.
— Gli dèi sono inquieti — disse Bella. — Non sopportano la disciplina. E tu?
Orem non comprese. — Sono sotto disciplina?
— L’ho notato solo oggi. Assomigli a lui.
— Chi?
— Lui — disse lei. — Lui. — Poi si voltò per dormire, e Orem uscì.
Orem non comprese, e io non glielo dissi, ma tu sai, vero Palicrovol? Cominciò ad amarlo, allora. E una parte della ragione per cui lo amò, fu che assomigliava a te. Ti fa ridere. Trecento anni di tortura, e il suo odio per te si era trasformato in amore. Non che intendesse liberarti. Mai. Ma lo stesso dovrebbe lusingarti. Sei il tipo di nemico che il tuo nemico ama.
Questo è il modo in cui i sentieri delle nostre vite si intrecciano e si separano. Se l’avesse mandato a chiamare il giorno prima, lui avrebbe potuto amarla. Ma lo cercò solo quando cominciò ad avere paura; e non ebbe paura finché lui non cominciò a disfare il suo lavoro; e lui non disfece il suo lavoro fino a quando non ebbe smesso di amarla. Se solo potessimo stare fuori dalle nostre vite e guardare quello che facciamo, potremmo porre rimedio a tanti danni prima che siano fatti.
Il racconto della nascita del figlio di Orem e di Bella, il nipote bastardo di Re Palicrovol, il bambino più bello e intelligente del mondo.
L’anello infuocato
La guerra di Orem contro la Regina lo rese quasi frenetico durante il giorno, come se dovesse consumare una parte della forza che le rubava. Avvicinandosi il giorno del parto, la incalzò sempre più, così che lei passava le giornate esausta, dopo aver combattuto inutilmente tutta la notte. Orem invece passava le giornate in giochi sempre più attivi. Timias e Belfeva erano sorpresi, ma si unirono contenti a lui, anche quando indulgeva in pazzie come correre a cavallo sul terreno di parata, o fare a gara con Timias per vedere chi di loro riusciva a scagliare il giavellotto più lontano. Timias non era il tipo da lasciarlo vincere, e così Orem, che non aveva mai avuto alcun addestramento nelle arti marziali, invariabilmente perdeva. Ma insisteva con grande determinazione, e gradualmente migliorò.
Quando Bella cominciò ad avere le doglie, Orem stava arrampicandosi su un muro del palazzo, in gara con Timias. Era una gara in cui l’agilità e la perseveranza contavano più della forza e della pratica, e Orem stava vincendo. Era quasi arrivato in cima, quando sentì un dolore acuto, come la fiamma di una candela, al mignolo sinistro. Guardò e vide che l’anello di rubino era infuocato. Non poteva toglierselo senza cadere per un centinaio di piedi. Sopportò, arrivò in cima, e solo allora cercò di toglierselo. Non ci riuscì. Donnola e Belfeva erano lì. — Aiutatemi — disse Orem.
— Non puoi togliertelo — disse Donnola. — L’anello di rubino brucerà finché il figlio non sarà nato. Ma non brucia veramente. Comunque dovresti essere contento: è la prova che il figlio non solo è tuo, ma è anche un maschio.
— Il bambino sta per nascere — disse Orem. Dunque era l’ultimo giorno della sua vita, ne era certo. Andò al bordo del tetto e aiutò Timias a salire.
— Hai vinto — disse Timias sorpreso. — Non credevo che ce l’avresti fatta.
— Continuavo a guardare in basso — disse Orem. — Il pensiero della morte mi rendeva veloce.
D’improvviso Donnola gridò di dolore.
— Cosa succede? — chiesero, ma lei non volle dirlo.
— Orem — disse — devi andare da tua moglie.
— Al parto? Il padre?
— A questo parto, con quella madre, sì. — Fece una smorfia di dolore.
— Cos’è? Che ti succede?
— Aiutami a tornare nella mia stanza, Belfeva — disse Donnola. — E tu, Piccolo Re, va da tua moglie.
— Ma non mi ha mandato a chiamare — disse Orem. In verità, preferiva passare l’ultimo giorno della sua vita con chiunque ma non con Bella.
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