NO. QUANDO LA SABBIA FINIRÀ, È IL MOMENTO IN CUI DOVREI MORIRE. SARÒ NELLO SPAZIO TRA LA VITA E L’ALDILÀ.
«Bill, sembrava che quella cosa cavalcasse… credevo che fosse un cavallo, magari molto magro, ma…»
È UNO STALLONE SCHELETRICO. DI GRANDE IMPATTO MA POCO PRATICO. NE HO AVUTO UNO MA GLI È CADUTA LA TESTA.
«Un po’ come frustare un cavallo morto, direi».
AH, AH. MOLTO DIVERTENTE, SIGNORINA FLITWORTH.
«Credo che in un momento come questo tu possa smettere di chiamarmi signorina Flitworth» disse lei.
RENATA?
Lei trasalì. «Come fai a sapere il mio nome? Ah. Probabilmente l’hai visto scritto, no?»
INCISO.
«Su una di quelle clessidre?»
SÌ.
«Con tutta la sabbia del tempo che scorre?»
SÌ.
«Tutti ne hanno una?»
SÌ.
«Perciò tu sai quanto…»
SÌ.
«Dev’essere strano, sapere… le cose che sai tu…»
NON CHIEDA.
«Non è giusto, però. Se sapessimo quando moriremo, vivremmo molto meglio».
SE LA GENTE SAPESSE QUANDO MORIRÀ, CREDO CHE NON VIVREBBE AFFATTO.
«Oh, molto enigmatico. E che ne sai tu, Bill Porta?»
TUTTO.
Binky percorse una delle sparute strade del paese fino all’acciottolato della piazza. Non c’era nessuno in giro. In città come Ankh-Morpork la mezzanotte era solo sera tardi, perché non c’era una notte cittadina, solo la sera che svaniva nell’alba. Ma qui la gente regolava la propria vita su cose come il tramonto e chicchiricchì pronunciati male. Mezzanotte voleva dire mezzanotte.
Anche con la tempesta che infuriava sulle colline, la piazza era silenziosa. Il ticchettio dell’orologio nella torre, impercettibile di giorno, ora sembrava rimbombare tra gli edifici.
Mentre si avvicinavano, qualcosa vibrò nelle sue viscere di ruote dentate. La lancetta dei minuti si spostò con uno scatto, e si fermò sul 9. Sul quadrante si aprì uno sportellino e due figurine meccaniche uscirono, con aria di grande importanza, e batterono su una campanella con un grande sforzo apparente.
Ting-ting-ting.
Le figurine si misero in fila e tornarono ondeggiando nell’orologio.
«Sono lì da quando ero bambina. Li ha fatti il bis-bisnonno del signor Simnel» disse la signorina Flitworth. «Mi sono sempre chiesta cosa facevano tra un rintocco e l’altro. Pensavo che avessero una casetta o qualcosa del genere, là dentro».
NON CREDO. SONO SOLO COSE. NON SONO VIVI.
«Mmm. Be’, sono là da centinaia di anni. Magari la vita è una cosa che si acquista col tempo?»
SÌ.
Attesero in silenzio, a parte i piccoli colpi della lancetta dei minuti che si arrampicava su per la notte.
«È… stato un piacere averti qui, Bill Porta».
Lui non rispose.
«Per come mi hai aiutato con il raccolto e tutto».
È STATO… INTERESSANTE.
«Ho sbagliato a farti perdere tempo, solo per un mucchio di grano».
NO. IL RACCOLTO È IMPORTANTE.
Bill Porta aprì la mano. Apparve la clessidra.
«Ancora non capisco come fai».
NON È DIFFICILE.
Il sibilo della sabbia crebbe di intensità fino a riempire la piazza.
«Hai delle ultime parole da dire?»
SÌ. NON VOGLIO ANDARE.
«Be’. Stringato come sempre».
Bill Porta vide con sorpresa che lei cercava di tenergli la mano.
In alto, le due lancette della mezzanotte si unirono. Dall’orologio venne un ronzio. La porticina si aprì. Gli automi marciarono fuori. Si fermarono ai lati della campanella, si inchinarono l’uno all’altro e sollevarono i martelli.
Dong.
Poi si sentì un cavallo al galoppo.
I margini del campo visivo della signorina Flitworth si riempirono di chiazze rosse e blu, come i lampi del ricordo di un’immagine, ma senza l’immagine.
Se girava in fretta la testa, con la coda dell’occhio poteva vedere piccole figure ammantate di grigio che fluttuavano lungo i muri.
Il Fisco, pensò. Sono venuti a controllare che vada tutto come previsto.
«Bill?» disse.
Lui richiuse la mano sulla clessidra d’oro.
ORA COMINCIA.
Il galoppo si fece più forte, rimbombando tra gli edifici alle loro spalle.
RICORDI: NON CORRE NESSUN PERICOLO.
Bill Porta tornò nell’oscurità.
Poi riapparve momentaneamente.
FORSE, aggiunse, e si ritrasse nel buio.
La signorina Flitworth sedette sui gradini dell’orologio, cullando la bambina sulle ginocchia.
«Bill?» azzardò.
Una figura a cavallo entrò nella piazza.
Montava in effetti lo scheletro di un cavallo. Fiamme azzurre scoppiettavano sulle ossa della creatura mentre galoppava; la signorina Flitworth si ritrovò a chiedersi se fosse un vero scheletro, animato in qualche modo, qualcosa che un tempo era stato dentro un cavallo, oppure una creatura scheletrica nata così. Era un ragionamento ridicolo, ma era meglio che concentrarsi sulla spaventosa realtà che si stava avvicinando.
Lo strigliava, o gli dava solo una lucidata?
Il cavaliere smontò. Era molto più alto di Bill Porta, ma l’oscurità della veste nascondeva qualsiasi dettaglio. Aveva in mano qualcosa che non era esattamente una falce, ma che poteva aver avuto una falce tra i suoi antenati, allo stesso modo in cui anche il più sofisticato degli strumenti chirurgici ha nel suo passato un bastoncino. Era lontanissimo da qualsiasi cosa avesse mai toccato del fieno.
La figura avanzò a grandi passi verso la signorina Flitworth, con la falce appoggiata alla spalla, e si fermò.
Lui dov’è?
«Non so di che stai parlando» rispose la signorina Flitworth. «E se fossi in te, giovanotto, darei da mangiare a quel cavallo».
La figura parve avere dei problemi a digerire l’informazione, ma finalmente arrivò a una conclusione. Abbassò la falce e guardò la bambina.
Lo troverò, disse. Ma prima…
Si irrigidì.
Una voce alle sue spalle disse: BUTTA LA FALCE, E VOLTATI LENTAMENTE.
Qualcosa dentro la città, pensò Windle. Le città crescono piene di gente, ma sono anche piene di commercio, negozi, religioni e…
Che stupidaggine, si disse. Sono solo cose. Non sono vive.
Forse la vita è una cosa che si acquisisce.
Parassiti e predatori, ma non del genere che affligge animali e vegetali. Erano una specie di forma di vita grande, più lenta, metaforica, che viveva alle spalle delle città. Però l’incubazione avveniva nelle città. Ora ricordava, come poteva ricordare tutto, di aver letto da studente di certe creature che deponevano le uova all’interno di altre creature. Per mesi non aveva toccato né frittate né caviale, per precauzione.
E le uova… dovevano assomigliare alle città, in modo che i cittadini le portassero a casa. Come le uova di cuculo.
Chissà quante città sono morte in passato? Accerchiate da parassiti, come una barriera corallina circondata dalle stelle marine. Si erano svuotate, avevano perso qualsiasi spirito.
Si alzò.
«Dove sono andati tutti, Bibliotecario?»
«Oook oook».
«Proprio come loro. Avrei dovuto farlo anch’io, scappare senza pensare. Gli dei li benedicano e li aiutino, se mai riescono a trovare il tempo tra le loro eterne beghe famigliari».
E poi pensò: ‘E adesso? Ho pensato, e ora cosa faccio?’
’Scappo, naturalmente. Però piano’.
Il centro del mucchio di carrelli non era più visibile. Stava succedendo qualcosa. Una luce azzurrina aleggiava sull’enorme piramide di metallo contorto, e al centro del mucchio balenavano ogni tanto dei lampi di luce. I carrelli ci si schiantavano contro come asteroidi che si aggregavano attorno al nucleo di un nuovo pianeta, ma alcuni facevano una cosa diversa. Si infilavano in tunnel aperti nella struttura, e sparivano nel nucleo scintillante.
Poi ci fu un movimento in cima al cumulo, e qualcosa si fece strada attraverso il metallo rotto. Era una punta scintillante, che reggeva un globo del diametro di circa due metri. Per un paio di minuti non fece granché, poi quando il vento lo essiccò, si spaccò e finì in pezzi.
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