Si abbottonò il cappotto.
«Non funzionerà» disse Ludmilla.
«Proverò con i maghi. Dovrebbero essere tolleranti». Era così piena di sé che tremava, come un piccolo pallone da calcio arrabbiato.
«Sì, ma dici sempre che non ascoltano» disse Ludmilla.
«Devo provarci. A proposito, cosa fai fuori dalla tua stanza?»
«Oh, mamma. La odio, quella stanza. Non c’è bisogno di…»
«Non si è mai troppo cauti. E se ti venisse in mente di dare la caccia alle galline dei vicini? Che direbbero nel quartiere?»
«Non ho mai sentito il minimo impulso a dare la caccia alle galline, mamma» disse stancamente Ludmilla.
«O inseguire i carri abbaiando».
«Quelli sono i cani, mamma».
«Torna nella tua stanza, chiuditi a chiave e fai un po’ di cucito, da brava».
«Lo sai che non riesco a tenere bene l’ago, mamma».
«Provaci. Fallo per tua madre».
«Sì, mamma» disse Ludmilla.
«E non ti avvicinare alla finestra. Non vogliamo innervosire nessuno».
«Sì, mamma. E tu accendi la premonizione. La tua vista non è più buona come una volta».
La signora Torta guardò la figlia salire le scale. Poi si chiuse la porta d’ingresso alle spalle e si avviò verso l’Università Invisibile, dove aveva sentito che c’erano fin troppe stranezze di tutti i tipi.
Chiunque avesse osservato l’avanzare della signora Torta avrebbe notato un paio di dettagli strani. Malgrado l’andatura incostante, nessuno la urtava. Non è che gli altri la evitassero; semplicemente, lei non si trovava dove stavano loro. A un certo punto esitò ed entrò in un vicolo. Un secondo più tardi un barile rotolò giù da un carro che stava scaricando fuori da una taverna e si andò a sfasciare sul selciato dove doveva trovarsi lei. La signora Torta uscì dal vicolo e scavalcò i rottami, borbottando fra sé.
Passava molto tempo a borbottare. La sua bocca era in costante movimento, come se cercasse di rimuovere qualcosa di fastidioso da un dente in fondo.
Raggiunse gli alti cancelli neri dell’Università ed esitò ancora, come per ascoltare una voce interiore.
Poi si fece di lato e aspettò.
Bill Porta aspettava, steso nell’oscurità del fienile. Sotto, sentiva di tanto in tanto un suono da Binky: un movimento lieve, un ruminare di mandibola.
Bill Porta. E così, ora aveva un nome. Naturalmente ne aveva sempre avuto uno, ma era il nome di ciò che personificava, non di chi era. Bill Porta. Aveva un bel suono. Signor Bill Porta. Cav. William Porta. Billy P… no. Billy no.
Bill Porta si accomodò meglio nella paglia. Pescò dalla veste la clessidra d’oro. Il calo della sabbia nella metà superiore era percepibile. La rimise via.
E poi c’era questo ‘sonno’. Sapeva cos’era. La gente ci passava parecchio tempo. Presumibilmente aveva uno scopo. Lo stava osservando con interesse. Avrebbe dovuto analizzarlo.
La notte si allungò sul mondo, inseguita con freddezza da un nuovo giorno.
Ci fu un tramestio nel pollaio dall’altra parte dell’aia «Chicchirà… ehm».
Bill Porta fissò il tetto del fienile.
«Chicchirò… ehm».
Una luce grigia filtrava tra le fessure.
Eppure solo un momento fa c’era stata la luce rossa del tramonto!
Erano svanite sei ore.
Bill tirò fuori la clessidra. Sì. Il livello era decisamente sceso. Mentre aspettava di fare l’esperienza del sonno, qualcosa aveva rubato parte della sua… vita. Non se n’era nemmeno accorto…
« Chi… chicchi… ehm».
Scese dal fienile e uscì nella nebbia sottile del mattino.
Le galline più anziane lo guardarono con diffidenza quando sbirciò nella loro casa. Un vecchio gallo dall’aria piuttosto imbarazzata gli lanciò un’occhiataccia e scrollò le piume.
Dalla casa venne un rumore metallico. Un vecchio cerchio di ferro da botte era appeso accanto alla porta, e la signorina Flitworth lo stava picchiando vigorosamente con un mestolo.
Bill si avvicinò per indagare.
PERCHÉ QUESTO BACCANO, SIGNORINA FLITWORTH?
Lei si voltò con il mestolo a mezz’aria.
«Dio buono, cammini come un gatto!» disse.
UN GATTO?
«Volevo dire che non ti ho sentito». Fece un passo indietro e lo squadrò da capo a piedi.
«C’è ancora qualcosa di te che non riesco a capire, Bill Porta» disse. «Ma non so che cosa».
Lo scheletro alto due metri la guardò stoicamente. Gli pareva di non avere nulla da dire.
«Cosa vuoi per colazione?» chiese la vecchia. «Non che faccia molta differenza. C’è solo porridge».
Più tardi pensò: ‘Deve averlo mangiato, perché la scodella è vuota. Ma perché non me lo ricordo?’
E poi c’era la faccenda della falce. Sembrava che non ne avesse mai vista una prima. Lei gli indicò i manici e il tirante per la lama. Lui li osservò educatamente.
COME LA AFFILA, SIGNORINA FLITWORTH?
«È già affilata, dio buono».
COME LA AFFILA DI PIÙ?
«Non si può. Non si può affilare più di così».
Lui provò un fendente, a vuoto, poi scosse la testa con disapprovazione.
E poi c’era l’erba.
L’erba secca era alta sulla collina dietro la fattoria, che dava sul campo di grano. La signorina Flitworth lo osservò per un po’.
Era il metodo più interessante che avesse mai visto. Non avrebbe nemmeno mai pensato che fosse tecnicamente possibile.
Alla fine disse: «Bene. Hai un bel fendente».
GRAZIE, SIGNORINA FLITWORTH.
«Ma perché un filo d’erba alla volta?»
Bill Porta osservò la fila ordinata di steli.
C’È UN ALTRO MODO?
«Ne puoi tagliare parecchi alla volta, sai».
NO. NO. UN FILO ALLA VOLTA. UNO SOLO.
«Non ne taglierai molti, così» disse la signorina Flitworth.
FINO ALL’ULTIMO, SIGNORINA FLITWORTH.
«Sì?»
SI FIDI DI ME.
La signorina Flitworth lo lasciò fare e tornò in casa. Andò alla finestra della cucina e rimase a osservare la figura scura in lontananza, che si spostava oltre la collina.
Chissà che cosa ha fatto?, pensò. Avrà un Passato. Sarà un Uomo del Mistero. Magari ha commesso una rapina e tiene un Basso Profilo.
Ha già tagliato una fila intera. Uno stelo alla volta, ma più in fretta di uno che taglia un fascio alla volta…
L’unica lettura alla quale la signorina Flitworth si dedicava era L’Almanacco del Contadino e il Catalogo delle Sementi, che poteva durare un anno intero al gabinetto se nessuno stava male. Oltre a fornire sobrie informazioni sulle fasi lunari e la semina, indulgeva con un certo piacere morboso nel resoconto delle stragi, delle rapine a mano armata e dei disastri naturali che affliggevano l’umanità, con questo genere di titoli: ‘15 giugno, anno dell’Ermellino Estemporaneo: oggi, 150 anni fa, una pioggia anomala di gulasch uccide un uomo a Quirm’ oppure ‘Chume, il famigerato Lanciatore di Aringhe, fa 14 vittime’.
La cosa importante in tutto questo era che accadeva molto lontano, forse per qualche intervento divino. Le uniche cose che succedevano nella zona di solito erano dei furti di pollame o l’apparizione di qualche troll. Naturalmente sulle colline c’erano anche banditi e rapinatori, ma andavano d’accordo con i residenti ed erano essenziali per l’economia locale. Ma comunque, la signorina si sentiva molto più sicura con qualcun altro in giro.
La figura scura sulla collina era già a buon punto con la seconda fila. Alle sue spalle, l’erba tagliata avvizziva al sole.
HO TERMINATO, SIGNORINA FLITWORTH.
«Vai a dare da mangiare al maiale, allora. Si chiama Nancy».
NANCY, ripeté Bill, rigirando la parola in bocca come a volerla esaminare da ogni lato.
«Come mia madre».
ANDRÒ A DAR DA MANGIARE AL MAIALE NANCY, SIGNORINA FLITWORTH.
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