Orson Card - Alvin l'apprendista

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Alvin l'apprendista: краткое содержание, описание и аннотация

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In un mondo dominato da magie, incantesimi e misteriose potenze negative, nasce Alvin “Settimo figlio di un settimo figlio” che possiede tutte le energie positive del Creato ed è destinato a combattere per la salvezza degli uomini e della Terra. Il giorno in cui nacque Alvin, Peggy — colei che vede tutti i futuri possibili — ne lesse il destino carico di dolori e pericoli, ma vide anche la missione a cui era predestinato. Una missione che gli avrebbe dato la gloria di essere ricordato come il costruttore di un mondo migliore.

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Non del tutto, almeno. Tuttavia, come gli altri abitanti di Vigor Church, non avrebbe più lasciato quel luogo. Avrebbe passato il resto dei suoi giorni là, dove non sarebbe stato costretto a incontrare troppi stranieri, così da poter dimenticare per qualche giorno il massacro dei Rossi. L’intera famiglia sarebbe rimasta laggiù insieme agli abitanti del villaggio e delle campagne circostanti: avrebbero trascorso in quei luoghi il resto dei loro giorni, finché tutti coloro che portavano la maledizione non fossero morti, partecipi della stessa vergogna e della stessa solitudine, quasi fossero un vincolo di parentela. Tutti fino all’ultimo.

Tutti tranne me. La maledizione non mi ha colpito. Me li sono lasciati tutti dietro le spalle.

Inginocchiato su quella tomba, Alvin si sentì orfano. E in realtà era come se lo fosse. Inviato laggiù come apprendista, sapeva che qualunque cosa avesse imparato o fatto, i suoi familiari non sarebbero mai andati a trovarlo. Certo, ogni tanto avrebbe potuto tornarsene in quel tetro, grigio villaggio. Ma Vigor Church somigliava a un cimitero più di quella collinetta erbosa; infatti, sebbene lì fossero sepolti dei morti, nella città vicina c’erano vita e speranza, c’era gente che poteva vivere la propria vita senza guardarsi continuamente alle spalle.

Anche Alvin doveva guardare davanti a sé. Doveva trovare la via che l’avrebbe condotto a realizzare il suo destino. Tu sei morto per me, Vigor, fratello mio sconosciuto. Ancora non ho capito perché era così importante che io restassi in vita. Quando lo scoprirò, spero che tu possa essere orgoglioso di me. Che tu possa pensare che valesse la pena di morire per me.

Esaurito ogni pensiero, sgravato il suo cuore, Alvin fece una cosa che non avrebbe mai pensato di fare. Guardò sotto terra.

Ma non scavando, attenzione. Il dono di Alvin gli permetteva di esplorare il sottosuolo senza usare gli occhi. Come quando guardava nella pietra. Ora, a qualcuno l’idea di guardare sotto terra dove giace il corpo del proprio fratello potrebbe sembrare una specie di profanazione. Ma era l’unico modo che Alvin aveva a disposizione per vedere colui che era morto nel tentativo di salvargli la vita.

Perciò chiuse gli occhi e guardò sotto terra e trovò le ossa dentro la cassa di legno ormai fradicio. La corporatura… Vigor era stato un giovanotto grande e grosso, come era logico aspettarsi da uno capace di agguantare e deviare un albero trascinato dalle acque di un fiume. Ma l’anima non c’era più e, pur sapendo bene che non l’avrebbe trovata, Alvin ne rimase in qualche modo deluso.

Il suo sguardo si portò distrattamente verso i corpicini che a malapena si distinguevano dalla terra, e poi al vecchio corpo contorto del Nonno, chiunque egli fosse, ancora ben riconoscibile, sepolto da non più di un anno.

Ma la sepoltura più recente era un’altra. Una tomba senza pietra tombale. Il corpo di una ragazza morta da non più di un giorno, con ancora addosso la carne che i vermi non avevano ancora cominciato a intaccare.

Alvin si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa. Subito dopo la sua mente fu attraversata da un pensiero che lo gettò nella costernazione. Possibile che la ragazza sepolta fosse la fiaccola? Sua madre aveva detto che era scappata, ma quando la gente scappa non è difficile che torni indietro morta. Perché mai la madre avrebbe dovuto disperarsi così, altrimenti? La figlia della locandiera, sepolta senza nemmeno una pietra tombale… Tutto ciò poteva far pensare solo a cose orribili. Che fosse fuggita macchiandosi di colpe talmente vergognose che i suoi stessi genitori non avevano voluto mettere sulla sua tomba neanche un segno di riconoscimento? Altrimenti perché lasciarla così, senza una pietra?

«Che cosa c’è che non va, ragazzo?»

Alvin si voltò di scatto trovandosi a faccia a faccia con un uomo. Un tipo robusto con un’aria che s’indovinava tranquilla, ma che in quel momento non lasciava presagire niente di buono.

«Che ci fai in questo cimitero, ragazzo?»

«Io sono venuto a trovare mio fratello, signore» disse Alvin.

L’uomo rifletté qualche istante, rasserenandosi. «Allora appartieni a quella famiglia. Ma se non ricordo male i ragazzi più giovani avevano all’incirca la tua età quando…»

«Sono quello che è nato quella notte.»

A quelle parole l’uomo allargò le braccia e strinse Alvin in un affettuoso abbraccio. «Ti hanno chiamato Alvin, non è vero?» esclamò. «Proprio come tuo padre. Da queste parti lo chiamiamo Alvin Bridger, il ‘fabbricante di ponti’. È diventato una specie di leggenda. Lasciati guardare: sei proprio diventato grande! Il settimo figlio di un settimo figlio, venuto a visitare il suo luogo natale e la tomba di suo fratello. Naturalmente verrai a stare alla locanda. Sono Horace Guester, come avrai già capito. Sono felice di conoscerti. Ma non sei un tantinello grande per avere solo… dieci o undici anni?»

«Quasi dodici. Tutti dicono che sono alto per la mia età.»

«Spero che tu sia contento della pietra che abbiamo messo sulla tomba di tuo fratello. Da queste parti era molto ammirato, anche se tutti noi l’abbiamo conosciuto solo da morto.»

«Mi piace» disse Alvin. «È una bella pietra.» E poi, spinto da un impulso più forte di lui, anche se forse era un’imprudenza, fece la domanda che gli bruciava dentro. «Mi chiedo, signore, perché ieri qui è stata sepolta una ragazza, senza pietra né cartello con il suo nome.»

Horace Guester impallidì. «C’era da aspettarselo» sussurrò. «Un rabdomante o qualcosa del genere. Il settimo figlio. Che Dio ci aiuti.»

«Ha forse fatto qualcosa di brutto per essere sepolta così?» chiese Alvin.

«No» rispose Horace. «Dio mi è testimone, ragazzo, che questa ragazza fu nobile in vita e morì virtuosamente. La sua tomba non reca alcun nome perché questa casa possa restare un rifugio per altri come lei. Ma tu, ragazzo, promettimi che non dirai mai a nessuno quello che hai scoperto. Causeresti grandi sofferenze a decine e centinaia di anime smarrite sulla strada che dalla schiavitù conduce alla libertà. Potrai credermi, fidarti di me ed essere mio amico? Sarebbe un dolore troppo grande, perdere mia figlia e diffondere questo segreto, tutto in un solo giorno. Poiché non ho potuto serbare il segreto con te, tu dovrai serbarlo insieme a me, Alvin, ragazzo mio. Promettimi che lo farai.»

«Se si tratta di un segreto onorevole lo manterrò, signore» ribatté Alvin. «Ma quale segreto onorevole può indurre un uomo a seppellire sua figlia senza una pietra?»

Horace spalancò gli occhi, poi rise sino a farsi venire le lacrime agli occhi. Quando riprese il controllo di se stesso, diede ad Alvin una pacca sulla spalla. «Quella sepolta lì non è mia figlia, ragazzo! Che cosa te l’ha fatto pensare? È una ragazza nera, una schiava fuggiasca diretta al Nord, morta la notte scorsa.»

Alvin allora si rese conto per la prima volta che il corpo era troppo piccolo per essere quello di una ragazza di sedici anni. Si sarebbe detto quello di una bambina.

«E il bambino che avete in cucina è suo fratello?»

«Suo figlio» spiegò Horace.

«Ma è così piccola» disse Alvin.

«Questo non ha impedito al suo padrone bianco di metterla incinta, ragazzo. Non so quale sia la tua opinione sulla schiavitù, o se tu ci abbia mai pensato, ma se non l’hai fatto ti prego di farlo adesso. La schiavitù è qualcosa per cui un uomo bianco può rubare la virtù di una fanciulla e continuare ad andare in chiesa la domenica, mentre lei piange per la vergogna e porta in seno il suo bastardo.»

«Siete un Emancipazionista, vero?» chiese Alvin.

«Credo di sì» rispose il locandiere. «Ma credo pure che tutti i bravi cristiani in cuor loro siano Emancipazionisti.»

«Lo penso anch’io» disse Alvin.

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