Orson Card - Alvin l'apprendista

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Alvin l'apprendista: краткое содержание, описание и аннотация

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In un mondo dominato da magie, incantesimi e misteriose potenze negative, nasce Alvin “Settimo figlio di un settimo figlio” che possiede tutte le energie positive del Creato ed è destinato a combattere per la salvezza degli uomini e della Terra. Il giorno in cui nacque Alvin, Peggy — colei che vede tutti i futuri possibili — ne lesse il destino carico di dolori e pericoli, ma vide anche la missione a cui era predestinato. Una missione che gli avrebbe dato la gloria di essere ricordato come il costruttore di un mondo migliore.

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Ma non appena l’ebbe pensato, capì che era una stupidaggine. Il fabbro era un uomo che lavorava sodo, tutto qui, un uomo che si guadagnava da vivere con un mestiere di cui qualsiasi città aveva bisogno, se voleva prosperare. A giudicare dalle dimensioni dei recinti per i cavalli da ferrare, e dalle cataste di barre di ferro che attendevano di essere trasformate in vomeri e falci, scuri e mannaie, gli affari gli andavano piuttosto bene. Se imparo questo mestiere, non patirò mai la fame, pensò Alvin, e la gente sarà sempre felice di avermi intorno.

Ma c’era dell’altro: qualcosa che riguardava il fuoco e il ferro rovente. Ciò che accadeva in quel luogo era in relazione con l’atto del creare. Alvin lo capì ripensando a quando lavorava con la pietra nella cava di granito, al modo in cui aveva tagliato la macina per il mulino di suo padre. Comprese che col suo dono forse avrebbe potuto entrare nel ferro e fare in modo che prendesse la forma da lui voluta. Ma aveva qualcosa da imparare anche dalla fucina e dal martello, dal mantice, dal fuoco e dall’acqua della tinozza per la tempra, qualcosa che l’avrebbe aiutato a diventare ciò per cui era nato.

Perciò adesso nel fabbro non vedeva più un poderoso estraneo, ma ciò che lui stesso sarebbe diventato. Anche lui avrebbe avuto nelle spalle e nel dorso muscoli così, che si gonfiavano a ogni movimento. Alvin era un ragazzo robusto, come c’era da aspettarsi da uno che fin da piccolo aveva spaccato legna, segato tavole, alzato pesi e trasportato ogni genere di carichi nelle fattorie dei vicini in cambio di qualche spicciolo. In quel genere di lavori, però, ogni movimento veniva compiuto con tutto il corpo. Uno sollevava la scure, e quando l’abbassava era come se il corpo fosse tutt’uno con il manico, e al colpo contribuissero insieme le gambe, le anche e il dorso. Il fabbro invece reggeva con le tenaglie la barra di ferro, la reggeva con tanta destrezza e precisione che, quando il braccio destro scendeva col martello, il resto del suo corpo non faceva il minimo movimento, e il braccio sinistro restava immobile come una roccia. Quel movimento dava al corpo del fabbro una forma diversa, costringeva le braccia ad acquistare molta più forza, e i muscoli si radicavano nel collo e nello sterno assumendo un rilievo che non avrebbero mai raggiunto nel corpo di un contadino.

Alvin si concentrò sul modo in cui i suoi stessi muscoli si sviluppavano, e capì immediatamente dove sarebbero avvenuti i cambiamenti. Grazie al suo dono, riusciva a farsi strada nella carne viva con la stessa facilità con cui riusciva a determinare la forma interna della pietra. Perciò anche in quel momento esplorava dall’interno il proprio corpo, insegnandogli a cambiare in modo da preparare la strada al lavoro che lo attendeva.

«Ragazzo?» lo interpellò il fabbro.

«Signore» rispose Alvin.

«Hai per caso qualche commissione per me? Noi due non ci conosciamo, vero?»

Alvin fece un passo avanti, porgendo al fabbro la lettera di suo padre.

«Leggila tu, ragazzo. I miei occhi non sono più quelli di una volta.»

Alvin spiegò il foglio. «Da parte di Alvin Miller di Vigor Church. A Makepeace, fabbro di Hatrack. Questo è mio figlio Alvin, che avete accettato come apprendista fino all’età di diciassette anni. Lavorerà sodo e farà tutto quello che gli direte; voi in cambio gl’insegnerete tutto ciò che un uomo ha bisogno di sapere per diventare un bravo fabbro, come sta scritto negli articoli da me firmati. È un bravo ragazzo.»

Il fabbro prese il foglio e se lo avvicinò agli occhi. Mosse le labbra nel ripetere qualche frase. Poi sbatté il foglio sull’incudine. «Proprio una bella uscita» esclamò. «Ti rendi conto di essere in ritardo di quasi un anno, ragazzo? Avresti dovuto arrivare l’estate scorsa. Ho rifiutato tre apprendisti perché tuo padre mi aveva dato la sua parola che saresti venuto, e siccome non l’ha mantenuta sono rimasto per un anno intero senza aiuto. Ora dovrei accettarti perdendo un anno di contratto, e per giunta senza una parola di scusa.»

«Mi spiace, signore» disse Alvin. «Ma l’anno passato da noi c’è stata la guerra. Ero partito per venire qui, ma sono stato catturato dai Choc-Taw.»

«Catturato dai… Ehi, ragazzo, non raccontarmi fandonie. Se fossi stato davvero catturato dai Choc-Taw, adesso non avresti quella bella capigliatura! E probabilmente ti mancherebbe anche qualche dito.»

«Sono stato salvato da Ta-Kumsaw» spiegò Alvin.

«Ah, certo, e sicuramente hai conosciuto il Profeta in persona e hai camminato sulle acque insieme a lui!»

In effetti le cose erano andate proprio così. Dal tono di voce del fabbro, però, Alvin capì che non sarebbe stato il caso di dirglielo. Perciò tacque.

«Dove hai messo il cavallo?» chiese il fabbro.

«Non ho cavallo» disse Alvin.

«La data che tuo padre ha scritto su questa lettera è quella di due giorni fa! Se non sei venuto a cavallo, come hai fatto?»

«Sono venuto di corsa.» Non appena l’ebbe detto, Alvin capì di aver commesso un errore.

« Di corsa? » sbottò il fabbro. « A piedi nudi? Dal Wobbish a qui devono esserci quattrocento miglia o giù di lì. Dovresti avere i piedi a brandelli, consumati fino alle ginocchia! Non raccontarmi frottole, ragazzo! In questa fucina non c’è posto per i bugiardi!»

Alvin aveva una possibile via di uscita, e lo sapeva. Avrebbe potuto spiegare che era capace di correre come un Rosso. Makepeace Smith non gli avrebbe creduto, e allora Alvin avrebbe dovuto dimostrarglielo. Sarebbe stato facile. Poteva piegare una barra di ferro semplicemente carezzandola. Poteva schiacciare insieme due pietre formandone una sola. Ma Alvin aveva già deciso che non era il caso di far mostra dei suoi poteri. Come avrebbe potuto compiere il suo apprendistato se la gente avesse cominciato a venire a frotte per farsi tagliare pietre da focolare, aggiustare ruote o fare quei lavori di riparazione per i quali Alvin era così portato? E poi in vita sua non si era mai sognato di far mostra del suo dono solo per dimostrare di che cosa era capace. A casa aveva usato il suo dono solo quando ce n’era stato bisogno.

Perciò si attenne alla sua decisione di non lasciar trapelare in alcun modo i suoi poteri. Di non rivelare a nessuno ciò che era capace di fare. Limitarsi a imparare, come un ragazzo qualsiasi, lavorare il ferro come faceva il fabbro, lasciando che i muscoli gli modellassero lentamente le braccia e le spalle, il torace e il dorso.

«Scherzavo» disse Alvin. «Un tale mi ha lasciato montare il suo cavallo di ricambio.»

«Non è il genere di scherzi che io apprezzo» ribatté il fabbro. «Non mi piace che tu venga a raccontarmi bugie con questa disinvoltura.»

Che cosa poteva rispondergli? Non poteva nemmeno affermare di non avere mentito, perché in realtà aveva mentito… raccontando che un tale l’aveva fatto montare sul suo cavallo. Perciò era un bugiardo, proprio come sosteneva il fabbro… sia pure per la ragione sbagliata.

«Mi dispiace» disse Alvin.

«Non ti prendo, ragazzo. Tanto più che non sono nemmeno tenuto a farlo, visto che arrivi con un anno di ritardo. E, una volta qui, per prima cosa mi racconti una frottola. Non mi sta bene.»

«Mi dispiace, signore» ripeté Alvin. «Non succederà più. Dalle mie parti non ho fama di bugiardo e, se me ne date l’occasione, vedrete che anche qui sarò conosciuto per uno che riga diritto. La prima volta che mi scoprite a raccontare una bugia o a non compiere il mio dovere, potete cacciarmi e io non dirò una sola parola. Datemi solo la possibilità di dimostrarlo.»

«Non sono nemmeno convinto che tu abbia veramente undici anni, ragazzo.»

«Eppure è così, signore. Lo sapete anche voi. Siete stato voi stesso, con le vostre braccia, a tirar fuori mio fratello Vigor dalle acque del fiume la notte che sono nato… Almeno così mi ha raccontato mio padre.»

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