«Pensi di poter fissare questo ferro da solo, Alvin?» aveva chiesto il fabbro. «La cavalla è grossa, ma anche tu sei cresciuto di qualche pollice dall’ultima volta che ti ho guardato.»
«Sì» aveva risposto con semplicità il ragazzo.
«Ehi, un momento, fermi tutti» era intervenuto Hank Dowser. «Picklewing è l’unica bestia che ho, e non posso andare a comprarmene un’altra. Se il tuo apprendista vuole imparare a fare il maniscalco, lo faccia col cavallo di qualcun altro.» E già che aveva detto quello che pensava, Hank, come un vero idiota, non si era fermato. «E poi mi piacerebbe sapere chi è che comanda in questa bottega» aveva concluso.
Ecco, quella era precisamente l’ultima cosa che avrebbe dovuto dire. Hank se ne rese conto non appena quelle parole gli furono sfuggite di bocca. Non si chiede mai al padrone di una bottega chi è a comandare, per lo meno di fronte all’apprendista. E difatti le orecchie di Makepeace Smith si fecero di porpora, e lui si drizzò in tutta la sua altezza, con quelle braccia che sembravano cosce di bue e quelle mani che avrebbero potuto strangolare un orso, e disse: «Qui comando io, e se dico che il mio apprendista è all’altezza di un lavoro, questo significa che è all’altezza, e se non ti va puoi portare la tua bestia a ferrare da qualche altra parte».
«Ehi, amico, trattieni i cavalli!» fece Hank Dowser.
«In effetti sto proprio trattenendo il tuo cavallo» ribatté Makepeace Smith. «O per lo meno la zampa. Anzi, devo dire che il tuo cavallo in questo momento mi sta pesando abbastanza. E adesso prova ancora a chiedermi chi è che comanda nella mia fucina.»
Chiunque abbia la testa bene avvitata sulle spalle capisce che provocare il fabbro che sta ferrando il tuo cavallo non è più intelligente che infastidire le api cui vuoi prendere il miele. Hank Dowser si augurò soltanto che Makepeace fosse un po’ più conciliante delle api. «Ma certo» disse. «Mi sono spiegato male. Solo, mi ha sorpreso che ti lasciassi dire dal tuo apprendista che cosa dovevi fare.»
«Be’, il fatto è che ha un dono» replicò Makepeace Smith. «Questo ragazzo, Alvin, sa come stanno le cose dentro lo zoccolo del cavallo… Dov’è che il chiodo può tenere, dove si conficcherebbe nella carne tenera, questo genere di cose. È un maniscalco nato. E se lui mi dice di non piantare un chiodo, sta’ sicuro che quel chiodo io non lo pianto, perché altrimenti il cavallo sì azzopperebbe o impazzirebbe dal dolore.»
Hank Dowser sorrise e fece un passo indietro. Era una giornata afosa, ecco tutto, ecco perché tutti erano così suscettibili. «Rispetto i doni degli altri» concluse. «Proprio come gli altri devono rispettare il mio.»
«In questo caso, ho tenuto il tuo cavallo fin troppo a lungo» sbottò il fabbro. «Ecco, Alvin, il ferro sistemalo tu.»
Se il ragazzo avesse sorriso, avesse sogghignato o avesse detto qualcosa per vantarsi, Hank avrebbe avuto un buon motivo per infuriarsi. Invece Alvin si accoccolò con i chiodi in bocca e fissò il ferro allo zoccolo anteriore sinistro. Picklewing gli si appoggiava alla spalla, ma il ragazzo era alto e robusto, sebbene sul viso non gli si scorgesse traccia di barba, e in quanto a muscoli sotto la pelle sembrava il gemello del suo padrone. Non gli ci volle più di un minuto, sempre col cavallo appoggiato alla spalla, per inchiodare il ferro al suo posto. Nel frattempo, Picklewing non rabbrividì neanche una volta, né si mise a scalpitare come faceva di solito quando sentiva i chiodi. E ora che Hank ci pensava su un momento, gli era sempre sembrato che Picklewing favorisse un tantino quella zampa, come se qualcosa nello zoccolo le avesse fatto male. Ma succedeva da tanto tempo che Hank ormai non ci faceva più caso.
L’apprendista indietreggiò di qualche passo, sempre senza mostrare alcun segno di compiacimento. Quel ragazzo non aveva fatto assolutamente nulla che non andasse, eppure Hank continuava a provare per lui una rabbia del tutto irragionevole.
«Quanti anni ha?» chiese.
«Quattordici» disse Makepeace Smith. «È arrivato da me che ne aveva undici.»
«Un po’ grandicello per cominciare, eh?» commentò Hank.
«È arrivato con un anno di ritardo, per via della guerra con i Rossi e i francesi… Viene dalle parti del Wobbish.»
«Anni duri» borbottò Hank. «Fortuna che all’epoca mi trovavo nell’Irrakwa, a scavar pozzi per i mulini a vento lungo la ferrovia che stavano costruendo. Quattordici anni, eh? Alto com’è, ho idea che non te l’abbia raccontata giusta.»
Se al ragazzo non piaceva sentirsi dare del bugiardo, non lo diede a vedere. E questo irritò ancor di più Hank Dowser. Quel ragazzo era come un pruno sotto la sella… qualunque cosa facesse, mandava Hank su tutte le furie.
«No» disse il fabbro. «Della sua età siamo sicuri. È nato proprio a Hatrack, quattordici anni fa, mentre i suoi passavano di qui diretti a ovest. Il suo fratello più grande è sepolto là sulla collina. Comunque è grande per la sua età, eh?»
Più che di un ragazzo, sembrava che parlassero di un cavallo. Ma Alvin l’apprendista non parve darsene per inteso. Ritto in piedi, attraversava entrambi con lo sguardo quasi fossero di vetro.
«Dunque gli restano quattro anni di contratto?» chiese Hank.
«Un po’ di più. Finché non avrà quasi compiuto i diciannove anni.»
«Be’, se è così bravo, immagino che ben presto riscatterà gli anni che gli rimangono e si metterà in proprio.» Hank guardò il ragazzo, però questi non parve entusiasta dell’idea.
«Credo di no» disse Makepeace Smith. «Con i cavalli è in gamba, ma alla forgia è più sbadato. Qualsiasi fabbro è capace di fare un ferro da cavallo, ma per fare un vomere o una ruota ci vuole un vero fabbro, e in questo caso avere il dono per ferrare i cavalli non serve proprio a niente. Pensa un po’, ai miei tempi come capo d’opera ho fatto un’ancora! All’epoca però stavo nel Netticut. Non credo che da queste parti le ancore siano molto richieste.»
Picklewing sbuffava e picchiava gli zoccoli per terra, tuttavia non scalpitava come fanno i cavalli quando i ferri nuovi danno loro fastidio. Erano quattro buoni ferri, ben fissati. Questo accrebbe ulteriormente l’irritazione di Hank verso l’apprendista, anche se lui stesso non riusciva a capirne il motivo. Il ragazzo aveva sistemato l’ultimo ferro di Picklewing, su una gamba che nelle mani di un altro maniscalco avrebbe potuto azzopparsi per sempre. Il ragazzo gli aveva fatto del bene. E allora perché quella rabbia che covava sotto la superficie, facendosi più bruciante qualsiasi cosa il ragazzo facesse o dicesse?
Hank si scrollò di dosso quei pensieri. «Be’, ecco un lavoro ben fatto» disse. «Adesso tocca a me.»
«Ecco, tutti e due sappiamo che un pozzo vale più di una ferratura» esclamò il fabbro. «Perciò sappi che se hai bisogno di qualcos’altro, sarò qui per servirti.»
«Non temere, Makepeace Smith, la prossima volta che il mio ronzino avrà bisogno di ferri mi vedrai di nuovo qui.» E siccome Hank Dowser era un buon cristiano e provava vergogna per la sua antipatia verso il ragazzo, aggiunse una parola di lode per quest’ultimo. «Finché questo ragazzo resterà con te mi rivedrai sicuramente, visto il dono che si ritrova.»
Il ragazzo non diede segno di aver udito il complimento, e il fabbro si limitò a ridacchiare. «Non sei l’unico a pensarla così» concluse.
In quel momento, Hank Dowser capì una cosa che altrimenti avrebbe potuto sfuggirgli. Quel dono del ragazzo per la ferratura dei cavalli era un ottimo richiamo per la clientela, e Makepeace Smith era esattamente il tipo d’uomo capace di tenersi l’apprendista fino all’ultimo giorno del contratto, giusto per approfittare della fama che il ragazzo si era fatto come uno che metteva buoni ferri senza azzoppare un solo cavallo. In casi del genere, un padrone avido doveva soltanto affermare che alla forgia il ragazzo era un disastro o roba del genere, e in questo modo aveva il pretesto per tenerselo stretto. Nel frattempo il ragazzo avrebbe conferito alla bottega di Makepeace la fama della migliore mascalcia dell’Hio orientale. Quattrini a palate per Makepeace Smith, e al ragazzo neanche uno spicciolo, né soldi né libertà.
Читать дальше