La legge era la legge, e il fabbro non la stava violando: aveva diritto ai servigi del ragazzo fino all’ultimo giorno. Ma era consuetudine lasciar libero l’apprendista non appena avesse imparato il mestiere e fosse abbastanza maturo da farsi strada da solo. Altrimenti, se l’apprendista non avesse avuto la speranza di anticipare il momento della libertà, che senso aveva darsi tanto da fare, sudare sette camicie per imparare il più presto possibile? Si diceva che persino i proprietari di schiavi delle Colonie della Corona permettessero ai loro schiavi migliori di guadagnare qualche soldo con lavoretti extra, in modo che, una volta diventati vecchi, potessero riscattare la propria libertà.
No, Makepeace Smith non violava alcuna legge, però violava la consuetudine del rapporto fra padroni e apprendisti, e Hank per questo lo giudicò male; era un cattivo padrone colui che teneva con sé un ragazzo al quale non poteva insegnare più nulla.
Eppure, pur sapendo che il ragazzo aveva ragione e il padrone torto, Hank guardava il ragazzo e il suo cuore grondava gelido odio. Hank rabbrividì, e subito cercò di scrollarsi di dosso quella sensazione.
«Hai detto che avevi bisogno di un pozzo» disse Hank Dowser. «Ti serve per bere, per lavarti o per la fucina?»
«Fa qualche differenza?» chiese il fabbro.
«Sì, penso di sì» ribatté Hank. «Per bere hai bisogno d’acqua pura, e per lavarti d’acqua che non porti malattie. Ma per lavorare nella fucina, penso che al ferro non importi un accidente se si raffredda in acqua limpida o fangosa… Ho ragione o no?»
«La sorgente in alto si sta seccando. Ogni anno che passa butta sempre meno» spiegò il fabbro. «Ho bisogno di un pozzo sul quale possa far conto. Profondo, con acqua limpida e pura.»
«Sai bene perché la sorgente butta sempre meno» disse Hank. «Qui intorno tutti si sono messi a scavar pozzi, e questi succhiano l’acqua prima che riesca a filtrare fino alla sorgente. Se ne scavi uno anche tu, probabilmente sarà la volta che si esaurirà del tutto.»
«Non mi sorprenderebbe» annuì il fabbro. «Ma i pozzi degli altri non posso certo farli sparire, e anch’io ho bisogno d’acqua. Se mi sono stabilito qui è stato per via del ruscello, e adesso me l’hanno fatto seccare. Forse potrei trasferirmi da qualche altra parte, ma ho una moglie e tre marmocchi, e poi questo posto mi piace, mi piace davvero. Perciò, piuttosto che andarmene, preferisco scavare un pozzo.»
Hank salì fino alla macchia di salici che crescevano lungo il ruscello, vicino al punto nel quale esso aveva origine, sotto un vecchio deposito ormai in disuso. «È vostro?» chiese.
«No, appartiene al vecchio Horace Guester, il padrone della locanda.»
Hank trovò un ramoscello di salice che si biforcava proprio come faceva al caso suo, e cominciò a inciderlo col coltello. «Pare che questo deposito non serva più a molto.»
«Il ruscello si sta seccando, come ti dicevo. Per metà estate non c’è acqua sufficiente a mantener freschi i recipienti con il latte. E se uno non può farci conto per tutta l’estate, un deposito così non serve a nulla.»
Hank praticò un’ultima intaccatura e il ramo si staccò dal salice. Con il coltello, ne appuntì la parte più grossa e lo ripulì accuratamente da protuberanze e irregolarità, levigandolo il più possibile. Certi rabdomanti non si curavano affatto di lisciare la bacchetta, limitandosi a toglierne le foglie e lasciando le estremità tutte sfrangiate, ma Hank sapeva che l’acqua non era sempre disposta a lasciarsi trovare, e in questi casi era necessaria una bacchetta di salice ben pulita e levigata. Altri usavano una bacchetta pulita, ma sempre la stessa, un anno dopo l’altro, ovunque andassero; tuttavia nemmeno così andava bene — Hank lo sapeva per esperienza — perché la bacchetta doveva essere tagliata da un salice o talvolta da un noce che fosse cresciuto con le radici nell’acqua che uno sperava di trovare. Tra i rabdomanti c’erano molti ciarlatani, anche se Hank non riteneva opportuno dirlo in giro. Il più delle volte anche loro trovavano l’acqua, per il semplice motivo che, nella maggior parte dei posti, se si scava abbastanza a fondo prima o poi l’acqua si trova. Hank però lo faceva secondo tutte le regole. Hank aveva il dono. Al momento giusto sentiva la bacchetta di salice tremargli fra le mani, avvertiva il canto dell’acqua salire fino a lui dal sottosuolo. E nemmeno si accontentava del primo segno d’acqua. Cercava acqua pura, acqua che scorresse vicino alla superficie, dove fosse facile attingerla. Per lui trovare l’acqua era una questione di orgoglio.
Ma per quell’apprendista, come si chiamava, Alvin?… Per lui non era la stessa cosa. O uno sapeva sistemare un ferro senza azzoppare il cavallo, o non lo sapeva fare. Se avesse azzoppato anche un solo cavallo, la gente ci avrebbe pensato due volte prima di tornare a farsi ferrare una bestia da lui. Nel caso del rabdomante invece non sembrava che fosse così importante trovare l’acqua ogni volta. Bastava dire di essere un rabdomante, andarsene in giro con una bacchetta, e la gente era disposta a pagarti per cercar l’acqua, senza preoccuparsi minimamente se avevi il dono oppure no.
Hank si chiese allora se non fosse proprio quello il motivo per cui provava tanta ostilità per quel ragazzo… perché il ragazzo si era già fatto un nome per la qualità del suo lavoro, mentre Hank non si era fatto alcun nome anche se probabilmente era l’unico vero rabdomante che quella gente avrebbe avuto occasione di vedere per un bel pezzo.
Hank si mise a sedere sulla sponda erbosa del ruscello e si sfilò gli stivali. Quando si chinò in avanti per appoggiare il secondo stivale su una roccia asciutta dove era meno facile che si riempisse d’insetti, scorse due occhi ammiccare dall’ombra di una fitta macchia di cespugli. A Hank venne quasi un accidente, perché prima pensò di aver visto un orso, e poi pensò di aver visto un Rosso in caccia di scalpi di rabdomanti, anche se da quelle parti erano anni che non si vedevano né orsi né Rossi. No, era solo un negretto dalla pelle chiara nascosto tra i cespugli. Quel ragazzino era un sangue misto, mezzo Bianco e mezzo Nero, Hank lo capì non appena si fu riavuto dalla sorpresa. «Che cosa stai guardando?» domandò.
Gli occhi si chiusero e il visetto scomparve. I cespugli tremarono e ondeggiarono al passaggio di qualcuno che si allontanava rapidamente a quattro zampe.
«Non preoccuparti di lui» disse Makepeace Smith. «È solo Arthur Stuart.»
Arthur Stuart! Non solo nelle Colonie della Corona, ma anche nella Nuova Inghilterra o negli Stati Uniti, non c’era una sola persona che non conoscesse quel nome. «Allora sarai felice di sapere che io sono il Lord Protettore» ridacchiò Hank Dowser. «Perché se il re avesse la pelle di quel colore, sarebbe una notizia che mi procurerebbe tre pasti gratis in qualsiasi città tra l’Hio e il Suskwahenny fino all’ultimo dei miei giorni.»
Makepeace Smith rise di cuore. «No, quel nome è una trovata di Horace Guester. Horace e la vecchia Peg Guester si sono presi il bambino in casa perché i suoi veri genitori sono troppo poveri per mantenerlo. Anche se non credo che il motivo stia tutto qui. Chiaro di pelle com’è, non c’è da stupirsi se a Mock Berry non va di vederlo seduto a tavola con gli altri suoi figli, tutti neri come il carbone.»
Hank Dowser cominciò a togliersi i calzini. «Non vorrai mica insinuare che il vecchio Horace Guester se lo sia preso perché è lui il responsabile del fatto che il bambino abbia la pelle così chiara?»
«Tappati la bocca con una zucca, Hank, prima di dire una cosa del genere» lo rimproverò Makepeace. «Horace non è quel tipo d’uomo.»
«Resteresti sorpreso nel sapere chi è risultato essere quel tipo d’uomo» replicò Hank. «Anche se certamente non oserei mai pensare una cosa del genere a proposito di Horace Guester.»
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